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Zoja e Bellocchio ricordano la riforma Basaglia: «Voleva cambiare la società per evitare alle menti di ammalarsi»

xnl

“La scuola basagliana era connessa con l’idea di cambiare, liberando i malati di mente, anche la società affinché permettesse di non ammalarsi”. Così il regista bobbiese Marco Bellocchio ricorda le lotte per cambiare la situazione dei malati psichiatrici negli anni ’70, culminate con la Legge Basaglia che nel 1978 sancì la chiusura dei manicomi. Allo psichiatra Franco Basaglia, artefice di una vera e propria riforma sociale, Xnl ha dedicato la serata di mercoledì 14 marzo, nel centenario della nascita: alle riflessioni di Bellocchio e dello psicanalista Luigi Zoja, moderate dal giornalista di Repubblica Antonio Gnoli, è seguita la visione collettiva di “Matti da slegare”, film documentario del 1975 con cui Bellocchio, insieme a Silvano Agosti, Stefano Rulli e Sandro Petraglia, sosteneva le idee rivoluzionarie di Basaglia.

L’ingiustizia sociale faceva ammalare

“Negli anni ’70 vedevamo Basaglia come un rivoluzionario – ricorda Marco Bellocchio –, la sua fu un’esperienza entusiasmante che non va separata dal clima politico di quegli anni di contestazione, rivoluzione, cambiamento. La scuola basagliana era connessa con l’idea di cambiare, liberando i malati di mente, anche la società affinché permettesse di non ammalarsi, perché Basaglia era convinto che la malattia mentale derivasse dall’ingiustizia sociale: chi si ammalava era lo sfruttato, il povero, l’abbandonato, chi era stato maledetto dalla sorte sociale. Se fossero cambiati i rapporti di classe molti pazienti del manicomio avrebbero potuto non ammalarsi: molte persone, dopo la chiusura dei manicomi, hanno ripreso una vita normale. Una caratteristica del film (Matti da slegare, ndr) è che passa attraverso esperienze terribili, è fatto di personaggi tutti feriti, colpiti ma soprattutto da un destino che partiva da condizioni di famiglia terribilmente sfortunate. Questo credo sia il carattere di un film che abbiamo girato con molta libertà e senza alcuna preparazione. Quando abbiamo fatto l’inchiesta nei manicomi, fra il ’71 e il ’72, l’animo rivoluzionario si era già affievolito: eravamo prudenti, ci accostavamo con un coinvolgimento attivo a questi temi. E l’aspetto ideologico passava in secondo piano. Film, o documentari, di questo tipo riescono nel momento in cui si individuano dei personaggi che ben rappresentano la riforma basagliana”.

“Negli anni siamo regrediti”

La grande novità, oltre che sanitaria, “è stata socio-politico-culturale” sostiene Luigi Zoja, che in quegli anni lavorava in Svizzera “dove la realtà era già molto diversa da quella italiana”. “Dal punto di vista della salute mentale – dice lo psicanalista – c’è stata una grandissima innovazione che ha lasciato il segno, Basaglia è noto a livello mondiale per la sua riforma che porta a interrogarsi su cos’è l’Italia e su ciò che non è attuato: abbiamo leggi basate su una Costituzione nata dal superamento dell’esperienza fascista. La riforma ha portato dei progressi ma gli anni hanno portato dei regressi, negli ultimi anni specialmente sul piano socio-economico e delle libertà individuali”. “Basaglia ci ha detto che la malattia mentale dipende da varie cause, e gli psicofarmaci curano solo una parte, quella dei sintomi. Negli ultimi cinquant’anni è cambiato più che in tutta la storia recente della psichiatria. Tutto continua a cambiare e nel nuovo secolo ci sono nuovi trend: il coefficiente di intelligenza, che nel secolo scorso continuava ad alzarsi e ora si sta abbassando, ci parla di una nuova normalità, di un analfabetismo di ritorno legato a un uso eccessivo di Internet. È cambiato tutto e le strutture in Italia non ci aiutano”.

Un film “gentile”

A gremire la sala del secondo piano di palazzo Xnl circa 400 persone, a cui se ne aggiungono 250 che hanno seguito la serata in streaming dall’auditorium del Conservatorio Nicolini. In apertura hanno preso la parola la consigliera della Fondazione Elena Uber, medico, e la direttrice artistica di Bottega Xnl Fare Teatro e Fare Cinema Paola Pedrazzini. Presente anche il nipote omonimo di Franco Basaglia che ha sottolineato come il film di Bellocchio, ambientato nell’ospedale psichiatrico di Colorno, sia “fondamentale” perché “ha spostato l’attenzione”, “si parla sempre di Trieste e Gorizia ma non della situazione parmense”. “Visto adesso – il commento di Antonio Gnoli – non è più un film politico: al posto della bruttezza c’è una grande gentilezza nel modo di accostarsi al mondo”. Nell’apertura dell’incontro, il giornalista ha ricordato le influenze della filosofica contemporanea, dell’esistenzialismo e di Husserl nella rivoluzione di Basaglia.

Francesco Petronzio

Pubblicato il 15 marzo 2024

Nella foto, sinistra Marco Bellocchio, Antonio Gnoli e Luigi Zoja.

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