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Storie di uomini e di vette: alla Camoteca il racconto della montagna

camo

Le parole hanno il potere di cullare, trasportare, innalzare. Basta chiudere gli occhi e farsi guidare. Così tramite le pagine, e chi sa leggerle e interpretarle, è possibile sentirsi alpinisti: il vento che taglia le orecchie, il bianco lucente della neve, la durezza della roccia, sensazioni da vivere e rivivere mediante i racconti di chi ha deciso non solo di provarle ma di cristallizzarle e imprimerle affinché non venissero dimenticate. Per questo la montagna, che fu grande passione di don Paolo Camminati – “Camo” –, è stata protagonista per una sera nel luogo a lui dedicato, la Camoteca, attraverso i libri, altra sua grande esigenza. “Lunedilibri” è il titolo del ciclo di incontri fatti di parole e musica che gli amici e i parenti del Camo propongono ormai da diverso tempo. A far parlare le righe, nella serata dell’11 dicembre, Sara Groppi e Giovanni Groppi, accompagnati dalla chitarra elettrica di Gabriele Garlaschelli.

Gli alpinisti “eroi” del dopoguerra

Annosa è la discussione che riguarda l’etica dell’alpinismo; certa è invece la necessità, per chi lo pratica e lo ama, di raggiungere la vetta. Da qui il tema della serata, “Verso l’alto. Storie di uomini e di vette”. “Negli anni Cinquanta e Sessanta – ha ricordato Giovanni Groppi –, dopo la Seconda guerra mondiale, la gente aveva bisogno di eroi, e l’alpinista era un personaggio che sfidava le condizioni più estreme per raggiungere l’obiettivo: la vetta, appunto. Per questo, gente come Walter Bonatti riempiva le pagine dei giornali. Andrea Oggioni, nato nel 1930, conobbe Bonatti sulle montagne della Grigna. Da lì nacque l’idea e la storia delle loro arrampicate”. Nell’esperienza estrema del viaggio verso la vetta c’è un concentrato di valori ed emozioni: la cordata si fa insieme, l’obiettivo si raggiunge se ci sono le condizioni. E, come dice Erri De Luca, “in montagna c’è più solidarietà che a fondo valle”.

La morte sospesa

Chi ama il rischio, però, sa che gli effetti collaterali possono essere fatali. La moglie di Walter Bonatti viene svegliata di soprassalto alle tre e mezza di notte da una chiamata sconosciuta che la avverte che suo marito è in pericolo mentre, giunto ormai quasi alla vetta del Freney, insieme ai suoi compagni di cordata, si imbatte in una bufera di neve. Era il 14 luglio 1961. Per i sette alpinisti, costretti a tornare sui propri passi, la discesa fu un calvario. Quattro di loro – un italiano, Andrea Oggioni, e tre francesi, Pierre Kohlmann, Robert Guillaume e il 21enne Antoine Vieille – arrivati ormai allo stremo delle forze, morirono. Walter Bonatti, Roberto Gallieni e Pierre Mazeaud riuscirono a sopravvivere. Ad aspettarli a Courmayeur c’era il giornalista Emilio Fede. “Perché voi vi siete salvati e gli altri sono morti?”, chiese, “Siamo gli unici che avevano una donna e un amore ad aspettarli”, fu la risposta di Bonatti.

Francesco Petronzio

Nella foto, i partecipanti all'incontro alla Camoteca.

Pubblicato il 12 dicembre 2023

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