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Emporio: la moda nell'arte e al cinema

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“La moda è un ripetersi di ciò che c’è già stato”, un eterno ritorno che si ripropone a cadenza più o meno regolare. È così che Antonella Ballerini, scrittrice piacentina, immagina le tendenze fra cento o duecento anni. Nell’ambito dell’evento “Impronte di donna”, Antonella interviene sul tema “Riflessioni sulla donna nell’arte” presentando il libro “Volevo l’abito di Angelica”, un viaggio fra le varie epoche e culture per scoprire i vestiti, gli abiti e la moda al femminile. A intervistarla è Elena Stendardi, docente del Liceo artistico “Cassinari”.

La moda nell’arte

Prima degli abiti, Antonella si sofferma sulle donne che li indossano: fra Cinque e Seicento troviamo Isabella d’Este, Eleonora da Toledo, Artemisia Gentileschi e la “ragazza con l’orecchino di perla”. “Dimenticata per tre secoli, Artemisia Gentileschi viene riscoperta e valorizzata solo nel 1916 dal critico Roberto Longhi.” Non è l’unico caso di donne dimenticate: di recente Beatrice Venezi, direttore d’orchestra, ha raccolto nel libro “Le sorelle di Mozart” alcune “storie di interpreti dimenticate, compositrici geniali e musiciste ribelli”. “La donna che sta dietro al celebre dipinto di Vermeer è una serva, ma l’orecchino di perla appartiene alla moglie dell’artista. Questo aspetto nasconde retroscena da «gossip»”. Poi ci sono le imperatrici, come Maria Teresa e Maria Luigia d’Austria: quest’ultima, pur vivendo nell’Ottocento, incarna ancora la moda “stile Impero”. Da non dimenticare anche l’abito “stellato” della principessa Sissi nel film “Sissi. Destino di una imperatrice”. Tra Otto e Novecento troviamo Giovanni Boldini con la sua “Signora in rosa”, dipinta con effetto dinamico che suggerisce un movimento, quasi ad anticipare un aspetto caratterizzante del Futurismo. “Come non citare Frida Kahlo, che nell’autoritratto «Le due Frida» si ritrae con un vestito occidentale e uno messicano, a indicare le sue due anime.”

La moda al cinema

A dare il titolo all’opera di Antonella Ballerini è l’abito bianco che Angelica indossa nella scena del ballo del film “Il Gattopardo” di Luchino Visconti. In “Via col vento”, gli abiti di Rossella O’Hara caratterizzano le fasi della sua vita: “Se da giovane Rossella indossava abiti sbarazzini, all’età di trent’anni suo marito la costrinse a indossare un abito “volgare”, che lei riuscì a portare comunque con grande coraggio e personalità.”

La moda come arte

“Nel Novecento, Paul Poiret segna un punto di svolta, eliminando lo scomodo busto dagli abiti femminili e creando una gonna stretta a vita alta.” A lui si ispira Madeleine Vionnet, stilista e imprenditrice, rivolgendosi a un pubblico aristocratico. Ad avere più successo, però, è la sua “dirimpettaia” Coco Chanel, che si rivolge a un pubblico “normale”.

Gli anni della Guerra e il Dopoguerra

Se prima della Guerra era la gioia di vivere a caratterizzare la moda, negli anni ’40 la crisi economica arriva anche negli atelier: dalla genialità di Coco Chanel nasce il tailleur, un nuovo abito che permette di utilizzare meno stoffa. Negli anni ’50, la moda riprende a fiorire: nel film “La finestra sul cortile”, Grace Kelly sfoggia il “Paris Dress”, celebre vestito in bianco e nero.

La moda diventa arte

Con Roberto Capucci, l’abito esce dalla sua pura concretezza e diventa un “concetto”: in occasione dell’Expo di Lisbona 1992, Capucci crea l’abito “Oceano”, utilizzando ben 172 sfumature di azzurro. È di Capucci anche l’abito che Rita Levi Montalcini indossa nell’86 alla consegna del Nobel.
Tra cento o duecento anni, quale sarà l’elemento che ancora sarà in grado di suscitare interesse?” – domanda la prof.ssa Stendardi – “Oggi di innovativo non c’è nulla. In futuro immagino nuovi tessuti, che magari non hanno bisogno di essere lavati…”

Prossimi appuntamenti

“Impronte di donna” si concluderà il prossimo weekend con Rita Casalini della Caritas Diocesana e la collaborazione di Mondo Aperto e Sentieri nel Mondo, sul tema “Donne come ponti tra culture”, in programma sabato 20 novembre alle 18. Domenica 21 alle ore 18 ci sarà una Performance teatrale in più lingue a cura di TEV.LAB e Associazione Aquilone. Per accedere agli eventi è necessario prenotarsi scrivendo a info [AT] emporiosolidalepiacenza [DOT] it

 

Francesco Petronzio

Pubblicato il 16 novembre 2021

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Sottocategorie

  • Un libro per capire le differenze tra cristianesimo e islam e costruire il dialogo

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    “La grande sfida che deve affrontare il cristianesimo oggi è di coniugare la più leale e condivisa partecipazione al dialogo interreligioso con una fede indiscussa sul significato salvifico universale di Gesù Cristo”. Con questa citazione del cardinale Raniero Cantalamessa si potrebbe cercare di riassumere il senso e lo scopo del libro “Verità e dialogo: contributo per un discernimento cristiano sul fenomeno dell’Islam”, scritto dal prof. Roberto Caprini e presentato di recente al Seminario vescovile di via Scalabrini a Piacenza grazie alle associazioni Confederex (Confederazione italiana ex alunni di scuole cattoliche) e Gebetsliga (Unione di preghiera per il beato Carlo d’Asburgo).

    Conoscere l’altro

    L’autore, introdotto dal prof. Maurizio Dossena, ha raccontato come questa ricerca sia nata da un interesse personale che l’ha portato a leggere il Corano per capire meglio la spiritualità e la religione islamica, sia da un punto di vista storico sia contenutistico. La conoscenza dell’altro - sintetizziamo il suo pensiero - è un fattore fondamentale per poter dialogare, e per conoscere il mondo islamico risulta di straordinaria importanza la conoscenza del Corano, che non è solo il testo sacro di riferimento per i musulmani ma è la base, il pilastro portante del modus operandi e vivendi dei fedeli islamici, un insieme di versi da recitare a memoria (Corano dall’arabo Quran significa proprio “la recitazione”) senza l’interpretazione o la mediazione di un sacerdote. Nel libro sono spiegati numerosi passi del Corano che mettono in luce le grandi differenze tra l’islam e la religione cristiana, ma non è questo il motivo per cui far cessare il dialogo, che secondo Roberto Caprini “parte proprio dal riconoscere la Verità che è Cristo. Questo punto fermo rende possibile un dialogo solo sul piano umano che ovviamente è estremamente utile per una convivenza civile, ma tenendo sempre che è nella Chiesa e in Cristo che risiede la Verità”.

    Le differenze tra le due religioni

    Anche il cardinal Giacomo Biffi, in un’intervista nel 2004, spiegò come il dovere della carità e del dialogo si attui proprio nel non nascondere la verità, anche quando questo può creare incomprensioni. Partendo da questo il prof. Caprini ha messo in luce la presenza di Cristo e dei cristiani nel Corano, in cui sono accusati di aver creato un culto politeista (la Santissima Trinità), nonché la negazione della divinità di Gesù, descritto sempre e solo come “figlio di Maria”. Queste divergenze teologiche per Caprini non sono le uniche differenze che allontanano il mondo giudaico-cristiano da quello islamico: il concetto di sharia, il ruolo della donna e la guerra di religione sono aspetti inconciliabili con le democrazie occidentali, ma che non precludono la possibilità di vivere in pace e in armonia con persone di fede islamica. Sono chiare ed ampie le differenze religiose ma è altrettanto chiara la necessità di dover convivere con persone islamiche e proprio su questo punto Caprini ricorda un tassello fondamentale: siamo tutti uomini, tutti figli di Dio. E su questo, sull’umanità, possiamo fondare il rispetto reciproco e possiamo costruire un mondo dove, nonostante le divergenze, si può convivere guardando, però, sempre con certezza e sicurezza alla luce che proviene dalla Verità che è Gesù Cristo.

                                                                                                   Francesco Archilli

     
    Nella foto, l’autore del libro, prof. Roberto Caprini, accanto al prof. Maurizio Dossena.

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