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Analizzati gli aspetti della cultura medioevale legati al culto, a magia, esoterismo, simboli e tradizioni

mistero

Perché parlare di Medioevo “misterioso”? È la domanda che ha interrogato i relatori del convegno, il 10 giugno, in palazzo Vescovile a Piacenza, proprio sul tema Medioevo “misterioso” tra archeologia, miracoli, esoterismo, simboli e tradizioni. L’evento, coordinato dalla prof.ssa Paola Galetti, docente presso Alma Mater Studiorum, Università di Bologna, Dipartimento di Storia, Culture e Civiltà, ha scandagliato il millennio medievale che nella cultura contemporanea è spesso visto come un altrove con caratteri positivi o negativi, a volte indecifrabili in quanto molto lontani dalla nostra esperienza odierna.

Il culto di San Giacomo e la danza nel Medioevo

Dopo i saluti delle autorità, fra cui quella del vescovo mons. Adriano Cevolotto che ha fatto gli onori di casa, il convegno è iniziato con il contributo di Leonardo Mascanzoni, professore di Storia Medievale all’Università degli Studi di Bologna che ha sviscerato il tema: “Misterioso, miracoloso, meraviglioso e simbolico nel culto iacobeo compostellano”.
Il culto di S. Giacomo che ha come principale fonte storica il Codex Calixtinus di Santiago de Compostela del XII secolo, rivela valenze di particolare suggestione quanto agli aspetti misteriosi attribuiti alla figura del santo. Mascanzoni ha spiegato le tre principali tipizzazioni di san Giacomo quale patrono dei pellegrini, prodigioso taumaturgo ed invincibile guerriero della fede cristiana contrapposta all’Islam.

“Rituali coreutici magici e maledetti nel Medioevo”, è l’argomento sviluppato da Angelica Montanari dell’Università di Bologna che si è soffermata sulla coreutica, l’arte della danza, nel medioevo prendendo spunto da un misterioso episodio del XII secolo, detto dei danzatori di Kölbigk: un gruppo di ragazzi costretti a ballare ininterrottamente per un anno, dopo essere stati maledetti da un sacerdote.

La magia e la vita di San Colombano

“Mangiare preghiere, bere incantesimi. Casi di grafofagia religiosa e magica nell’Alto Medioevo”. A riguardo di ciò, Andrea Maraschi, docente all’Università di Bologna, ha analizzato il caso dell’Ordalia del pane e del formaggio. L’ordalia è il termine nato nel medioevo per indicare il «giudizio di Dio», e cioè ogni prova rischiosa (per es., del duello, dell’acqua bollente o fredda, del ferro rovente) alla quale veniva sottoposto un accusato, e il cui esito, considerato come diretta manifestazione della volontà divina, era determinante per il riconoscimento dell’innocenza o della colpevolezza dell’accusato stesso.
Maraschi ha contestualizzato il rito ordalico facendo riferimenti ad esempi di grafofagia, ovvero quella branca magica che prevede l’ingerimento della scrittura per far sì che l’incantesimo vada a buon fine o una virtù venga acquisita. Il docente ha evidenziato come tale antica pratica sia stata cristianizzata nell’alto medioevo e sfruttata a scopi sia religiosi che medicinali.

“Tra le righe delle fonti agiografiche. La vita di San Colombano di Giona di Susa”, è il tema trattato da Paola Galetti, prof.ssa di Alma Mater dell’Università di Bologna, che ha focalizzato l’attenzione sulle fonti agiografiche del Medioevo e sulle diverse possibilità di lettura, in particolare soffermandosi sulla “Vita Sancti Columbani”, il fondatore del monastero di Bobbio in Val Trebbia, scritta dal confratello Giona di Susa.


Il cibo nel medioevo e i rifacimenti dei manufatti nel corso dei secoli

Si è parlato anche di “Tavole monastiche: aspetti e curiosità su cibo e bevande”. Nella storia del monachesimo l’attenzione al cibo e alla disciplina è sempre stata molto accurata. Gabriele Archetti, professore di Storia Medievale all’Università cattolica del Sacro Cuore, ha ripercorso questo tema con particolare riguardo al periodo medievale e alla regola di san Benedetto, offrendo una chiave di lettura per comprendere le norme che per secoli hanno caratterizzato l’ascetismo cristiano e preceduto l’odierna “dieta mediterranea”, inclusa nella lista dei beni immateriali dell’umanità dell’Unesco.

“Immagini neomedievali e recuperi artistici tra Otto e Novecento”, è il contributo di Francesca Stroppa, ricercatrice di Storia dell’arte all’Università Cattolica, che ha ripercorso la lunga storia dei manufatti medievali che, nel corso dei secoli successivi, hanno conosciuto ripetute e rinnovate chiavi di lettura. Alcuni esempi in questo senso come la Sagra di San Michele a Susa, la corona ferrea a Monza, il broletto o il monastero di Santa Giulia a Brescia sono emblematici di una temperie culturale e artistica che ha attraversato l’Europa all’inizio del Novecento.

Reliquie e proverbi

“Itinerari dei culti, dei santi e delle loro reliquie”. L’intervento di Beatrice Borghi, docente all’Università di Bologna, ha focalizzato l’attenzione sul significato di pellegrinaggio e di reliquia: l’altro elemento distintivo che ha portato alla realizzazione di quei sentieri, di quelle strade, di quelle chiese, di quelle opere costruite nel nome dell’aiuto reciproco.

“Simboli, credenze e mistero nei proverbi di età medievale”. Le espressioni proverbiali in latino e nelle lingue vernacolari di età medievale ci restituiscono tracce dell’importanza che i miracoli dei santi rappresentavano, come pure le credenze e le pratiche religiose, nell’immaginario collettivo del Medioevo. Francesca Pucci Donati, ricercatrice all’Università di Bologna, ha individuato tali contenuti nella cultura dell’Occidente medievale, tenendo conto delle diverse tradizioni testuali da cui essi sono derivati.

Il culto delle acque e i licantropi nel Medioevo

“Il culto delle acque in Romagna tra la Tarda antichità e il Medioevo: fonti scritte e archeologiche”. L’intervento, a più voci, di Daniele Bortoluzzi, Marco Cavalazzi, Ferruccio Cortesi e Antonio Curci, ricercatori e docenti dell’Università di Bologna, ha illustrato il progetto Val Fantella. Un lavoro di archeologia dei paesaggi, iniziato nel 2019, che ha come obiettivo lo studio degli insediamenti e dei luoghi di culto e di sepoltura - dalla Preistoria al periodo moderno-contemporaneo - nell’omonima valle dell’appennino forlivese. Il progetto sta permettendo di ricostruire una mappatura di una serie di siti archeologici, tra cui cappelle rurali e castelli, in parte prima sconosciuti, in una zona centrale dell’appennino romagnolo.

“Lupi e licantropi nel Medioevo”. Un potente simbolo dell'altro in noi, è l'uomo lupo o lupo mannaro, presente in numerose civiltà. Riccardo Rao, docente di Storia medievale e Storia dell'ambiente e degli animali presso l'Università degli Studi di Bergamo, ha cercato di mostrare come il medioevo riprenda dalle culture arcaiche e greco-latine, il mito del licantropo. Gli intellettuali medioevali - per il professore di Bergamo - hanno lavorato in maniera originale su due aspetti: da un Jato l'associazione della figura dei licantropi ai nobili, ai re e ai tiranni, che prende corpo sin dai secoli centrali del medioevo (X-XIV), secondo un uso che ha un chiaro carattere metaforico e che è legata all'agire contro l'ordine e la legge; dall'altro, l'abbinamento degli uomini lupo alle figure ai margini della società, che diviene prevalente alla fine del medioevo e che finisce invece per essere creduto come reale.

Nel complesso il Convegno ha voluto cogliere i vari aspetti della parola “mistero” che rimanda a qualcosa di non immediatamente percepibile e che costituisce oggetto di fascinazione. Gli approfondimenti degli studiosi si sono basati su un’attenta lettura delle fonti, scritte e materiali, in molti casi intrecciandosi tra loro in modo variegato, ed hanno offerto una panoramica molto interessante sul Medioevo, dando un contributo di valore sull’età di mezzo.

Riccardo Tonna

Pubblicato l'11 giugno 2022

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Sottocategorie

  • Un libro per capire le differenze tra cristianesimo e islam e costruire il dialogo

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    “La grande sfida che deve affrontare il cristianesimo oggi è di coniugare la più leale e condivisa partecipazione al dialogo interreligioso con una fede indiscussa sul significato salvifico universale di Gesù Cristo”. Con questa citazione del cardinale Raniero Cantalamessa si potrebbe cercare di riassumere il senso e lo scopo del libro “Verità e dialogo: contributo per un discernimento cristiano sul fenomeno dell’Islam”, scritto dal prof. Roberto Caprini e presentato di recente al Seminario vescovile di via Scalabrini a Piacenza grazie alle associazioni Confederex (Confederazione italiana ex alunni di scuole cattoliche) e Gebetsliga (Unione di preghiera per il beato Carlo d’Asburgo).

    Conoscere l’altro

    L’autore, introdotto dal prof. Maurizio Dossena, ha raccontato come questa ricerca sia nata da un interesse personale che l’ha portato a leggere il Corano per capire meglio la spiritualità e la religione islamica, sia da un punto di vista storico sia contenutistico. La conoscenza dell’altro - sintetizziamo il suo pensiero - è un fattore fondamentale per poter dialogare, e per conoscere il mondo islamico risulta di straordinaria importanza la conoscenza del Corano, che non è solo il testo sacro di riferimento per i musulmani ma è la base, il pilastro portante del modus operandi e vivendi dei fedeli islamici, un insieme di versi da recitare a memoria (Corano dall’arabo Quran significa proprio “la recitazione”) senza l’interpretazione o la mediazione di un sacerdote. Nel libro sono spiegati numerosi passi del Corano che mettono in luce le grandi differenze tra l’islam e la religione cristiana, ma non è questo il motivo per cui far cessare il dialogo, che secondo Roberto Caprini “parte proprio dal riconoscere la Verità che è Cristo. Questo punto fermo rende possibile un dialogo solo sul piano umano che ovviamente è estremamente utile per una convivenza civile, ma tenendo sempre che è nella Chiesa e in Cristo che risiede la Verità”.

    Le differenze tra le due religioni

    Anche il cardinal Giacomo Biffi, in un’intervista nel 2004, spiegò come il dovere della carità e del dialogo si attui proprio nel non nascondere la verità, anche quando questo può creare incomprensioni. Partendo da questo il prof. Caprini ha messo in luce la presenza di Cristo e dei cristiani nel Corano, in cui sono accusati di aver creato un culto politeista (la Santissima Trinità), nonché la negazione della divinità di Gesù, descritto sempre e solo come “figlio di Maria”. Queste divergenze teologiche per Caprini non sono le uniche differenze che allontanano il mondo giudaico-cristiano da quello islamico: il concetto di sharia, il ruolo della donna e la guerra di religione sono aspetti inconciliabili con le democrazie occidentali, ma che non precludono la possibilità di vivere in pace e in armonia con persone di fede islamica. Sono chiare ed ampie le differenze religiose ma è altrettanto chiara la necessità di dover convivere con persone islamiche e proprio su questo punto Caprini ricorda un tassello fondamentale: siamo tutti uomini, tutti figli di Dio. E su questo, sull’umanità, possiamo fondare il rispetto reciproco e possiamo costruire un mondo dove, nonostante le divergenze, si può convivere guardando, però, sempre con certezza e sicurezza alla luce che proviene dalla Verità che è Gesù Cristo.

                                                                                                   Francesco Archilli

     
    Nella foto, l’autore del libro, prof. Roberto Caprini, accanto al prof. Maurizio Dossena.

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