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Cives. Il Vescovo: «La pace si può scrivere solo con l’armonia, conciliando le diversità»


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“In Italia manca una seria politica di accoglienza. Non si può sempre rincorrere le emergenze, perché l’emergenza che si risolve si ripresenta allo sbarco successivo”. Così il vescovo mons. Adriano Cevolotto, intervenuto alla serata finale del corso di formazione Cives all’Università Cattolica del Sacro Cuore di Piacenza. Il momento conclusivo, ogni anno, riassume i concetti chiave emersi durante il corso e li ha cala nel contesto cittadino con l’aiuto di personalità legate al territorio. Insieme al Vescovo, al tavolo di venerdì 10 marzo hanno preso parte l’assessore alle Politiche giovanili, all’Università e alla Ricerca del Comune di Piacenza Francesco Brianzi e il vicepresidente della Fondazione di Piacenza e Vigevano Mario Magnelli, introdotti da Sara Groppi e intervistati da Francesco Perini, Susanna Rossi e Francesco Petronzio. Prima degli interventi, sei studenti universitari – Edoardo Premoli, Chiara Alessi, Lucrezia Fedeli, Arianna Giansante, Luca La Placa e Francesca Cervi – hanno esposto sinteticamente i contenuti appresi nel corso delle dodici serate susseguitesi da ottobre a marzo.

“Per costruire ponti di Pace”
“La scelta del tema di quest’anno – ha detto Sara Groppi in apertura – ci è sembrata quasi obbligata: parlare di conflitto, sulla base di ciò che sta succedendo, è sembrato necessario. Forse la scorsa estate, quando abbiamo dato corpo al programma, speravamo di ritrovarci a fare una retrospettiva sul tema della guerra: purtroppo è andata diversamente”. Per declinare il tema, che per la ventiduesima edizione è stato “Zona franca. Per costruire ponti di Pace”, il corso si è affidato a competenze e a linguaggi diversi. “La musica e la poesia, durante la serata Teojazz, le immagini di una vita che continua nonostante la guerra, con Lorenzo Tugnoli, la parola come strumento di lettura che influenza la vita di tutti i giorni, con padre Antonio Spadaro”, ha ripercorso Groppi. La “zona franca” è stata intesa dagli organizzatori della rassegna culturale come un luogo al di fuori del conflitto, in cui ci si sente al riparo e fuori dalle conseguenze. “Ma lo stesso Cives è anche un po’ la nostra zona franca – ha sottolineato la coordinatrice nell’introduzione – uno spazio libero e un punto di osservazione da cui è possibile riflettere sul mondo e sulle dinamiche che ci circondano, e quindi, forse, sentirsi un po’ meno fuori dalle conseguenze”.

Dove si trova la pace?
Un punto cruciale dell’edizione appena conclusa è stato uscire dalla definizione negativa e incompleta di “pace” come “assenza di guerra”. La pace, per essere vissuta appieno, va costruita con piccole azioni quotidiane. Secondo il Vescovo, la pace è “la speranza che, partendo da interessi diversi, si possa arrivare oltre la limitazione imposta dalle visioni personali”. Dall’interesse del singolo, dunque, al bene comune. “La pace non si può scrivere con le parole della vittoria, ma solo con l’armonia, mettendo insieme e conciliando diversità e opposti”. La riflessione di Mario Magnelli è partita, invece, dall’arte come collante sociale e generazionale. “Come Fondazione – ha detto – abbiamo pensato, in occasione del trentennale celebrato nel 2022, di restituire alla città uno spazio dimenticato: il complesso di Santa Chiara. E per farlo abbiamo coinvolto i giovani, secondo un’idea di arte che si rifà al concetto della bottega rinascimentale. È stato coinvolto un artista (Antonio Cotecchia, nda) per realizzare un murale con la collaborazione degli studenti delle scuole superiori. Terminato l’evento, invece di destinare l’opera a un ripostiglio e quindi al dimenticatoio, l’abbiamo donata all’Enaip, un luogo in cui ragazze e ragazzi costruiscono il proprio futuro. L’arte può creare connessioni inedite, inesplorate, che possono costruire ponti”. Da un’altra forma di arte ha preso vita l’impulso per la pace secondo Francesco Brianzi. “La musica è un’armonia di contrasti – ha riflettuto – fra consonanze e dissonanze, così come l’impegno politico che cerchiamo di portare avanti. Nella città di Piacenza vedo la pace nella rete, una parola che spesso la politica usa per comodità, ma che invece è fondamentale per costruire qualcosa di positivo. Per rispondere ai bisogni è necessario fare fronte comune. La pace vive dove si crea lo spazio per accoglierla”.

Può la nostra città offrire opportunità, spazi,  per pensare di costruire un futuro comune?
“Siamo sicuri che i giovani vogliano prenderseli questi spazi? Quanto siamo disposti a metterci in gioco perché ciò accada?”, è con altre due domande che ha aperto la sua risposta l’assessore Brianzi, che poi ha affermato l’intenzione e confermato l’azione del Comune di Piacenza al fine di incentivare il dialogo costruttivo fra le diverse parti. “In consiglio comunale – ha esemplificato – la difficoltà politica si manifesta tutti i giorni. Non solo fra maggioranza e minoranza, ma a volte anche all’interno degli schieramenti. Ma anche un sano dibattito è fondamentale e può portare frutto”. Magnelli ha poi ribadito l’importanza di conciliare il bene individuale col bene comune, mentre il Vescovo ha condotto il discorso sul tema della comunicazione. “Il tempo dell’emergenza Covid ci ha uniti nel pensare che ci saremmo salvati insieme – le parole di mons. Cevolotto – ma poi siamo tornati come eravamo prima. Ogni tanto si sceglie di disattivare il canale informativo, seguendo un meccanismo di difesa da un carico che sembra insopportabile e quindi ci porta a estraniarci. Viviamo un contesto in cui la necessità di essere parte di un sistema globale predomina sulla forza che abbiamo di sopportarne il peso”. Però gli spazi, quando si vogliono sfruttare, esistono. “È la prima volta in cui vedo così tanti giovani partecipare a questo incontro finale di Cives”, ha concluso.

La strategia culturale

Fondazione
“Da quando ho assunto questo incarico – ha dichiarato Magnelli – l’obiettivo che mi sono posto è quello di far uscire la Fondazione dalla logica del «Bancomat» per farla diventare una leva di cambiamento, uscire da un ruolo gregario per assumerne uno da protagonista. Oggi, essere considerati sponsor elettivo di associazioni impegnate nel campo della cultura è per noi motivo di orgoglio”. Il vicepresidente ha poi parlato del progetto più ambizioso che la Fondazione di Piacenza e Vigevano ha intrapreso nel recente passato. “Abbiamo ristrutturato un palazzo in via Santa Franca per destinarlo a eventi di arte contemporanea. Sarebbe stato molto più semplice affidare a un’agenzia la politica culturale di Xnl, ma abbiamo deciso di prendercene cura personalmente, immaginando un luogo in cui possano convivere arte figurativa, musica, cinema, teatro. E le parole di un bambino che, uscito da una mostra (“Sul vestito lei ha un corpo” di Meris Angioletti e Ulla von Brandenburg sulla figura di Sonia Delaunay, nda), ha detto di essersi perso in un labirinto di colori, mi hanno dato la conferma che noi adulti siamo troppo imprigionati nelle trappole cognitive. Bisogna ritrovare il valore di guardare le cose con gli occhi di un bambino”.


Diocesi
L’impegno che il Vescovo ha dichiarato di voler riprendere è il dialogo con i detenuti della casa circondariale di Piacenza. Ma la cultura, secondo mons. Cevolotto, passa anche dall’accoglienza. “La comunità cristiana incontra persone che fuggono, è pericoloso che qualcuno decida quali sono i luoghi d’origine da cui è legittimo o meno partire. A Moroto, in Uganda, ho visto coi miei occhi cosa vuol dire vivere in una situazione conflittuale: ogni notte si sentivano colpi di kalashnikov provenienti dalla strada. All’inizio mi spaventai, ma poi mi dissero che era normale. Chi parte non ha prospettive di futuro, e perciò accogliere significa farci carico tutti di questa necessità. Il territorio va pensato come una realtà in cui c’è bisogno l’uno dell’altro. Se c’è pace c’è futuro, se c’è futuro c’è pace”.


Comune
“Una missione che ci è stata affidata dalle Nazioni Unite è l’Agenda 2030 per lo sviluppo sostenibile. Davanti ai 17 obiettivi la prima domanda che ci si è posti è stata «Dove siamo noi?», e la risposta non ha potuto ignorare la situazione non rosea in cui il Comune si trovava a livello amministrativo”. “Ha perso la città, ha perso un sogno, abbiamo perso il fiato per parlarci, ha perso la città, ha perso la comunità, abbiamo perso la voglia di aiutarci”, citando la canzone di Niccolò Fabi, Brianzi è giunto alla conclusione che quell’“utopia di città” è ormai molto lontana, ma ha assicurato che “con le istituzioni si potrà fare ancora tanto”.

“La comunità cristiana si fa carico di problemi che dovrebbe risolvere qualcun altro”
Un tema che da ormai più di un decennio tiene banco sistematicamente nel dibattito pubblico è quello dell’immigrazione. Il Vescovo ha portato alla luce la mancanza di una seria politica di accoglienza nel nostro Paese. “Non si può sempre rincorrere le emergenze per tamponarle e poi aspettare la successiva, perché così il problema si ripresenterà e ogni volta le soluzioni saranno difficili da trovare”. Al contrario, in Uganda esiste una strategia precisa. “Il piano di accoglienza dei profughi del Sud Sudan, un milione e mezzo di persone, è sostenuto dagli italiani di Africa Mission. Capanne dove ogni famiglia, a seconda del numero di componenti, ha a disposizione tutto il necessario, dagli appezzamenti di terra al denaro. L’Italia fa un lavoro di sostegno in questo progetto in Uganda, mentre a casa propria non riesce a organizzarsi in modo definitivo con un piano efficace”. Cosa servirebbe? “Creiamo un osservatorio che gestisca le esigenze del territorio per distribuire le persone che arrivano, dando loro le condizioni per stare qui. Regole e prospettive. Come Chiesa e comunità cristiana mi sembra di essere solo sfruttati perché abbiamo la possibilità di risolvere i problemi che, dal punto di vista dell’impianto, dovrebbe risolvere qualcun altro”.


Francesco Petronzio

Nella foto: il tavolo dei relatori

Pubblicato l'11 marzo 2023

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Sottocategorie

  • Un libro per capire le differenze tra cristianesimo e islam e costruire il dialogo

    uslam


    “La grande sfida che deve affrontare il cristianesimo oggi è di coniugare la più leale e condivisa partecipazione al dialogo interreligioso con una fede indiscussa sul significato salvifico universale di Gesù Cristo”. Con questa citazione del cardinale Raniero Cantalamessa si potrebbe cercare di riassumere il senso e lo scopo del libro “Verità e dialogo: contributo per un discernimento cristiano sul fenomeno dell’Islam”, scritto dal prof. Roberto Caprini e presentato di recente al Seminario vescovile di via Scalabrini a Piacenza grazie alle associazioni Confederex (Confederazione italiana ex alunni di scuole cattoliche) e Gebetsliga (Unione di preghiera per il beato Carlo d’Asburgo).

    Conoscere l’altro

    L’autore, introdotto dal prof. Maurizio Dossena, ha raccontato come questa ricerca sia nata da un interesse personale che l’ha portato a leggere il Corano per capire meglio la spiritualità e la religione islamica, sia da un punto di vista storico sia contenutistico. La conoscenza dell’altro - sintetizziamo il suo pensiero - è un fattore fondamentale per poter dialogare, e per conoscere il mondo islamico risulta di straordinaria importanza la conoscenza del Corano, che non è solo il testo sacro di riferimento per i musulmani ma è la base, il pilastro portante del modus operandi e vivendi dei fedeli islamici, un insieme di versi da recitare a memoria (Corano dall’arabo Quran significa proprio “la recitazione”) senza l’interpretazione o la mediazione di un sacerdote. Nel libro sono spiegati numerosi passi del Corano che mettono in luce le grandi differenze tra l’islam e la religione cristiana, ma non è questo il motivo per cui far cessare il dialogo, che secondo Roberto Caprini “parte proprio dal riconoscere la Verità che è Cristo. Questo punto fermo rende possibile un dialogo solo sul piano umano che ovviamente è estremamente utile per una convivenza civile, ma tenendo sempre che è nella Chiesa e in Cristo che risiede la Verità”.

    Le differenze tra le due religioni

    Anche il cardinal Giacomo Biffi, in un’intervista nel 2004, spiegò come il dovere della carità e del dialogo si attui proprio nel non nascondere la verità, anche quando questo può creare incomprensioni. Partendo da questo il prof. Caprini ha messo in luce la presenza di Cristo e dei cristiani nel Corano, in cui sono accusati di aver creato un culto politeista (la Santissima Trinità), nonché la negazione della divinità di Gesù, descritto sempre e solo come “figlio di Maria”. Queste divergenze teologiche per Caprini non sono le uniche differenze che allontanano il mondo giudaico-cristiano da quello islamico: il concetto di sharia, il ruolo della donna e la guerra di religione sono aspetti inconciliabili con le democrazie occidentali, ma che non precludono la possibilità di vivere in pace e in armonia con persone di fede islamica. Sono chiare ed ampie le differenze religiose ma è altrettanto chiara la necessità di dover convivere con persone islamiche e proprio su questo punto Caprini ricorda un tassello fondamentale: siamo tutti uomini, tutti figli di Dio. E su questo, sull’umanità, possiamo fondare il rispetto reciproco e possiamo costruire un mondo dove, nonostante le divergenze, si può convivere guardando, però, sempre con certezza e sicurezza alla luce che proviene dalla Verità che è Gesù Cristo.

                                                                                                   Francesco Archilli

     
    Nella foto, l’autore del libro, prof. Roberto Caprini, accanto al prof. Maurizio Dossena.

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