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Qual è l'evento da cui comprendere l'avvenuta integrazione di un migrante, e di una donna in particolare, in un territorio a lei straniero?

Una domanda che può avere molteplici risposte a seconda del punto di vista.
Questo è stato l'obiettivo dell'incontro, organizzato dal Club Soroptimist alla Biblioteca Passerini Landi il 12 gennaio sul tema “Donne e bambini sulle rotte migratorie. Le speranze di chi si mette in viaggio e la vita di chi non sa di avere scelte. Possibilità di integrazione, casi concreti”.
Sono intervenute Aurelia Barbieri, psicologa piacentina che lavora per Medici Senza Frontiere a stretto contatto con donne migranti quasi quotidianamente, la giornalista di Libertà Patrizia Soffientini che ha moderato l’incontro e l'avvocato Maria Rosaria Bozzi.

“La donna che arriva in Italia ha molti strumenti legali atti alla sua tutela – ha evidenziato quest'ultima -, può chiedere la protezione internazionale, ottenendo lo status di rifugiata politica. Si chiede questa misura quando c'è il fondato timore che un ritorno nel Paese d'origine possa provocare discriminazioni di vario genere. La trasmissione delle domande in questo senso passa prima dalla Questura per giungere alla Commissione territoriale competente. Si redige una storia della persona nella sua lingua, che poi viene tradotta in italiano. Dopo 2 mesi dall'ottenimento del permesso, il migrante può svolgere attività lavorativa, molto importante ai fini di una sua stabilizzazione sul territorio nazionale”.

“È un tema trasversale che ho potuto toccare con mano – ha ricordato a sua volta Aurelia Barbieri -. Come Medici Senza Frontiere siamo in 71 Paesi con 3202 operatori locali espatriati; vogliamo dare supporto medico nei luoghi del mondo dove questo supporto non c'è. Le domande aperte sono tante: perchè una madre può invogliare il proprio figlio a partire da solo su barconi traballanti, per arrivare in Europa? I bambini e le donne oltretutto vengono spesso messi al centro della barca, dove il rischio di soffocamento è maggiore. Una cosa che mi ha sempre colpito di questi bambini è il loro volto tremendamente segnato dall'esperienza, truce, ma allo stesso tempo profondamente desideroso d'aiuto”.

Particolare il caso del Congo dove - spiega Aurelia - il ruolo della donna è inesistente. “Sono considerate solo per figliare – afferma la psicologa -. Non sono molti i migranti provenienti dal Congo, è un po' fuori dalle rotte migratorie. Per questo siamo andati noi in Africa, aprendo un ospedale a Kananga e una clinica mobile. Ci teniamo a far sapere alla popolazione che siamo lì per aiutare tutti indiscriminatamente. Abbiamo un settore specificatamente dedicato alle violenze sessuali: capita anche di avere 25 persone al giorno, di età compresa tra i 2 e i 65 anni. Bisogna riflettere su quanto possa essere difficile la condizione delle donne e delle bambine”.

Emanuele Maffi

Ascolta l'audio

Pubblicato il 16/1/2018

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