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Mons. Bregantini: «mettiamo in comune tutto noi stessi»

bregantini

Alla  due giorni di aggiornamento per sacerdoti e diaconi  al Collegio Alberoni  l’intervento di mons. Giancarlo Bregantini


Uomo del nord, parlata trentina, trapiantato al sud, mons. Giancarlo Bregantini, è riuscito a mettere in viva comunicazione settentrione e meridione, spesso così distanti, nel nostro Paese. Nato a Denno (Trento) il 28 settembre 1948, è stato ordinato sacerdote il 1° luglio 1978 nella Cattedrale di Crotone. Dopo anni di insegnamento di Storia della Chiesa e Religione fra Calabria e Puglia e di attività in qualità di cappellano del Carcere Circondariale di Crotone, il 7 aprile 1994 è stato consacrato Vescovo di Locri-Gerace. Dal 2000 al 2005 è stato, fra le altre cariche Presidente della Commissione Cei per i problemi sociali e per il lavoro. L’8 novembre 2007 è stato nominato da papa Benedetto XVI Arcivescovo Metropolita della diocesi di Campobasso – Bojano.
E' intervenuto alla due giorni  di aggiornamento per sacerdoti e diaconi nella sala degli Arazzi del Collegio Alberoni in occasione della festa di  San Vincenzo de' Paoli.
Dalle sue parole si raccoglie il percorso della sua vita, che racconta il mare e il sole della Calabria e i ripidi sentieri di montagna del Trentino. Il Pastore si fa testimone, davanti alla chiesa e alla società, di una nuova speranza fatta di reciprocità e non solo di solidarietà: saggezza antica che il Sud regala al Nord e che diventa uno stile, anche politico, di interrelazione con ogni Sud del mondo. Le parole rivolte il 26 settembre alla giornata di formazione dei preti e dei diaconi di Piacenza si rifanno alle immagini suggestive del mondo agricolo che evidenzia le sue origini contadine.
“La primizia è un frutto che non si vanta, è arrivato prima perché ha ricevuto più sole. Quando arrivi prima - ha affermato mons. Bregantini - non sbandierarlo in faccia agli altri. Anche la gelosia è una cattiva consigliera, è distruttiva e nei rapporti fra presbiteri può diventare un veleno sottile”.
L’Arcivescovo di Campobasso è cresciuto in una realtà trentina ricca di cooperative e due sono le parole che provengono da questo mondo: “mio e nostro”.
“Ci vogliono tutte e due, ma non sono sullo stesso piano - ha aggiunto il presule -. Il nostro vien prima del mio ed è il cuore della dottrina della Chiesa. Infatti se si dà la priorità al “nostro” si difende anche il “mio”. La fraternità, nella vita dei preti, per Bregantini, è espressione del nostro, è sostegno e muro contro la logica della precarietà che oggi, con relazioni fragili, è vissuta in tutti gli ambiti.
“Da giovane prete, finiti gli studi a Verona, - ha raccontato l’Arcivescovo - sono stato mandato a Crotone, e il Sud mi ha aiutato a capire la concretezza della fede. Dopo venti di ore di viaggio sul treno una donna mi ha offerto, non avendo io da mangiare, un panino fragrante usando l’espressione tipica del Sud: “Favorite, favorite…”. Ciò dimostra, per il Presule, la grandezza della condivisione che significa mettere in comune tutto se stessi: le gioie, le lacrime, la tenerezza… È questo che promuove una vera fraternità.
L’altra suggestione l’Arcivescovo di Campobasso, l’ha trovata nell’esempio di due padri della Chiesa Basilio il Grande e Gregorio di Nazianzo, da un discorso di quest’ultimo ecco la frase significativa: “Ci guidava la stessa ansia di sapere, cosa fra tutte eccitatrice d'invidia; eppure fra noi nessuna invidia, si apprezzava invece l'emulazione. Questa era la nostra gara: non chi fosse il primo, ma chi permettesse all'altro di esserlo”.
Anche nella fraternità sacerdotale, per Bregantini, l’emulazione è una parola fantastica, perché mostra il successo dell’altro a cui posso tendere anch’io senza invidia. Infine l’esperienza del carcere come cappellano, ha insegnato al Vescovo molisano la giusta interpretazione del passo evangelico “Perché siate figli del Padre vostro celeste, che fa sorgere il suo sole sopra i malvagi e sopra i buoni” di Matteo 5,45. Quel prima i malvagi dei buoni ha fatto rivedere tante cose a mons. Bregantini: redenzione e salvezza arrivano solo per grazia e non per merito.
Il merito non deve essere un vanto, ma è un regalo. “Dobbiamo comprendere e insegnare - ha aggiunto il Vescovo - che non siamo premiati per ciò che abbiamo fatto, ma perché gratificati dall’infinita misericordia di Dio”.  

Pubblicato il 2 ottobre 2019                                        

Riccardo Tonna

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