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«Il primato della persona umana» alla base dottrina sociale della Chiesa

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“«Una Chiesa esperta in umanità», questa espressione, utilizzata da papa Paolo VI nel 1965, racchiude meglio di ogni altra significato e princìpi che animano la dottrina sociale della Chiesa considerata una delle colonne portanti del magistero ecclesiale”.
A dirlo mons. Celso Dosi in una riflessione appositamente dedicata alla dottrina sociale della Chiesa, attraverso l'analisi della sua evoluzione e dei suoi princìpi fondanti. L'incontro, l'ultimo promosso dai Convegni di Cultura Maria Cristina di Savoia insieme al Cif (Centro italiano femminile), si è tenuto al Seminario vescovile di via Scalabrini 67 lo scorso venerdì 19 maggio.

“Un tema quello della dottrina sociale della Chiesa – ha spiegato mons. Dosi –, che riscuote notevole interesse anche nel mondo laico; proprio perché tratta complesse problematiche di natura socio – economica”.
“Come tutte le discipline, anche questa si articola portando dietro di sé una sedimentazione lunga decenni, tanto che per parlare in modo significativo di dottrina sociale della Chiesa si dovrà attendere un'enciclica storica: la Rerum Novarum di Papa Leone XIII, a metà Ottocento. Con l'avvento della Rivoluzione Industriale le problematiche sociali si sono infatti acuite, e la chiesa, attenta alle criticità che investono le persone, è entrata in contatto con questioni molto complesse dell'epoca: si è aperta così la strada per una comunità cristiana esperta di umanità, unita nel magistero del Papa insieme a vescovi e teologi”.

L'attenzione alla persona

“Un insieme di documenti e pronunciamenti in ordine a temi inerenti la persona umana inserita nel meccanismo produttivo di una società  –, don Celso ha definito in questo modo la dottrina sociale della Chiesa –, sottolineando la centralità della tutela della dignità di uomini e donne a fronte dello sfruttamento dei lavoratori operai causato della della Rivoluzione Industriale”.
“L'attenzione alla persona è quindi il criterio fondante che anima la dottrina, ribadito in modo trasversale in alcuni interventi, a partire da Papa Leone XIII: la Rerum Novarum ha voluto infatti parlare sia alla manovalanza investita nei processi produttivi sia allo Stato imprenditore, perché cercasse di operare con equità”.
Poi il rifermento all'attualità: ”Lo sfruttamento è una stortura trasversale – ha osservato il sacerdote –, basti pensare ai migranti di oggi, di cui tanto spesso parla papa Francesco; lavoratori sfruttati per mansioni faticose e ripetitive a pochi euro”.
“La dottrina sociale della Chiesa ha una dimensione fondamentalmente comunitaria – continua –, vuole dare annuncio di salvezza parlando di esperienze che coinvolgono l'uomo in relazione: la buona economia, la politica (intesa come tutela della comunità, la polis, e dei soggetti che ne fanno parte), l'educazione, l'etica. La Chiesa da indicazioni su queste materie proprio perché uomini e donne in comunità possano compiere scelte per  migliorare il proprio vissuto. L'ambito di interesse di questa disciplina è quindi molto vasto e si è ampliato nel tempo”.

Il cambiamento con il Concilio Vaticano II

Un'evoluzione importante si è avuta a partire dal Concilio Vaticano II: Leone XIII segna l'inizio strutturato della dottrina, mai con i mutamenti sociali e gli sviluppi storici successivi, pace e giustizia diventano tematiche centrali per la Chiesa.
“Diversi i pontefici che nel corso del Novecento sono intervenuti sulla questione della pace – ha evidenziato don Celso –, ma per un'effettiva teorizzazione in merito si deve attendere Giovanni XXIII e il Concilio Vaticano II: con la Pacem in Terris elaborata nel 1963 alla luce della crisi di Cuba e della minaccia delle armi nucleari. In realtà nel Concilio Vaticano II non compaiono indicazioni esplicite relative alla dottrina sociale della chiesa, le priorità dell'assemblea si focalizzano su questioni ecclesiologiche dirimenti. Durante il Concilio rimane però evidente la preoccupazione di una chiesa che, mentre riflette su sé stessa, con la Gaudium et Spes è consapevole della necessità di entrare in contatto con il mondo socio- economico”.

“Basti pensare alla Populorum Progressio – ha ricordato il relatore– , enciclica emanata da Paolo VI all'indomani del Concilio Vaticano II ed entrata a pieno titolo a far parte della dottrina sociale della Chiesa. Un appello accorato perché le nazioni più ricche, all'indomani di un processo di colonialismo che stava perdendo i pezzi, prendessero a cuore i Paesi in via di sviluppo e l'attenzione alle persone. L'esortazione del pontefice rimasta inascoltata, voleva evitare l'abbandono repentino di popolazioni in condizioni critiche per scongiurane lo sfruttamento e favorire invece la loro formazione sul territorio. Purtroppo però le preoccupazioni di Paolo VI erano fondate: le polarizzazioni tra Stati si sarebbero accentuate nel tempo fino alla contemporaneità, con nazioni sempre più ricche e Stati sempre più povere”.

La destinazione universale dei beni

Dal richiamo alla giustizia per sostenere lo sviluppo dei popoli nella Populorum Progressium di Paolo VI al successivo contributo sostanziale di Papa Wojtyła il passo è breve.
“Occorre entrare in contatto con le criticità storico- sociali dell'America Latina recuperando i pronunciamenti della dottrina sociale della Chiesa”, così disse nel 1979 papa Giovanni Paolo II, in occasione del suo viaggio in Messico, il primo in Sud America. Nasce da questo discorso storico del pontificie una serie di riflessioni successive di teologia e di morale sociali, scaturita poi nella pubblicazione del poderoso “Compendio della dottrina sociale della chiesa”; ancora oggi oggetto di studio e rifermento in ambito ecclesiale”.
Proprio dal Compendio di Wojtyła derivano i principi fondamentali della dottrina sociale della Chiesa, tra i quali don Celso ha elencato i più importanti : “il primato della persona umana come punto di partenza, cui segue l'interdipendenza tra i popoli, tra Paesi ricchi occidentali e Paesi poveri del Sud del mondo; e di conseguenza l'urgenza attualissima di attuare un principio di solidarietà che non sia vago sentimento, ma impegno concreto dell'azione politica e dell'individuo a lottare per il bene degli ultimi. Il principio di sussidiarietà invita a dare spazio a piccole iniziative che, in virtù dell'appartenenza alla comunità cristiana o a organizzazioni umanitarie, riescono a prendersi a cuore determinati contesti critici della Storia portando loro aiuti. Il principio del bene comune ricorda di assumere una visione globale delle problematiche sociali, approcciandosi all'individuo come soggetto compartecipe di una vasta  rete socio-economica. La destinazione universale dei beni e la loro funzione sociale è l'ultimo, fortissimo principio: la realtà creata e anche la proprietà, come spesso sottolinea papa Francesco, non devono avere una valenza unicamente individuale, ma assumere una funzione sociale: a beneficio del benessere di tutti e in particolare a tutela delle generazioni future”.

Poi un accenno a papa Benedetto XVI e alla sua “Caritas in Veritate”, enciclica sociale in cui il pontefice eleva il dono ad emblema fondamentale della vita e della carità cristiane: “sentirci dono l'uno nei confronti degli altri, questo è l'elemento fondamentale che deve caratterizzare la vita dei cristiani”; tanto più in contesti critici di povertà sociale.
Non a caso – ha concluso mons. Dosi – la dottrina sociale della Chiesa affonda le sue radici nel Vangelo, in quella umanità presso cui Gesù Cristo si è fermato”.

Micaela Ghisoni

Nella foto, mons. Celso Dosi durante il suo intervento.

Pubblicato il 25 maggio 2023

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  • Un libro per capire le differenze tra cristianesimo e islam e costruire il dialogo

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    “La grande sfida che deve affrontare il cristianesimo oggi è di coniugare la più leale e condivisa partecipazione al dialogo interreligioso con una fede indiscussa sul significato salvifico universale di Gesù Cristo”. Con questa citazione del cardinale Raniero Cantalamessa si potrebbe cercare di riassumere il senso e lo scopo del libro “Verità e dialogo: contributo per un discernimento cristiano sul fenomeno dell’Islam”, scritto dal prof. Roberto Caprini e presentato di recente al Seminario vescovile di via Scalabrini a Piacenza grazie alle associazioni Confederex (Confederazione italiana ex alunni di scuole cattoliche) e Gebetsliga (Unione di preghiera per il beato Carlo d’Asburgo).

    Conoscere l’altro

    L’autore, introdotto dal prof. Maurizio Dossena, ha raccontato come questa ricerca sia nata da un interesse personale che l’ha portato a leggere il Corano per capire meglio la spiritualità e la religione islamica, sia da un punto di vista storico sia contenutistico. La conoscenza dell’altro - sintetizziamo il suo pensiero - è un fattore fondamentale per poter dialogare, e per conoscere il mondo islamico risulta di straordinaria importanza la conoscenza del Corano, che non è solo il testo sacro di riferimento per i musulmani ma è la base, il pilastro portante del modus operandi e vivendi dei fedeli islamici, un insieme di versi da recitare a memoria (Corano dall’arabo Quran significa proprio “la recitazione”) senza l’interpretazione o la mediazione di un sacerdote. Nel libro sono spiegati numerosi passi del Corano che mettono in luce le grandi differenze tra l’islam e la religione cristiana, ma non è questo il motivo per cui far cessare il dialogo, che secondo Roberto Caprini “parte proprio dal riconoscere la Verità che è Cristo. Questo punto fermo rende possibile un dialogo solo sul piano umano che ovviamente è estremamente utile per una convivenza civile, ma tenendo sempre che è nella Chiesa e in Cristo che risiede la Verità”.

    Le differenze tra le due religioni

    Anche il cardinal Giacomo Biffi, in un’intervista nel 2004, spiegò come il dovere della carità e del dialogo si attui proprio nel non nascondere la verità, anche quando questo può creare incomprensioni. Partendo da questo il prof. Caprini ha messo in luce la presenza di Cristo e dei cristiani nel Corano, in cui sono accusati di aver creato un culto politeista (la Santissima Trinità), nonché la negazione della divinità di Gesù, descritto sempre e solo come “figlio di Maria”. Queste divergenze teologiche per Caprini non sono le uniche differenze che allontanano il mondo giudaico-cristiano da quello islamico: il concetto di sharia, il ruolo della donna e la guerra di religione sono aspetti inconciliabili con le democrazie occidentali, ma che non precludono la possibilità di vivere in pace e in armonia con persone di fede islamica. Sono chiare ed ampie le differenze religiose ma è altrettanto chiara la necessità di dover convivere con persone islamiche e proprio su questo punto Caprini ricorda un tassello fondamentale: siamo tutti uomini, tutti figli di Dio. E su questo, sull’umanità, possiamo fondare il rispetto reciproco e possiamo costruire un mondo dove, nonostante le divergenze, si può convivere guardando, però, sempre con certezza e sicurezza alla luce che proviene dalla Verità che è Gesù Cristo.

                                                                                                   Francesco Archilli

     
    Nella foto, l’autore del libro, prof. Roberto Caprini, accanto al prof. Maurizio Dossena.

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