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Verso la festa della Devota della Costa / 2

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Ai primi di agosto la Val Ceno, in provincia di Parma ma diocesi di Piacenza-Bobbio, è in festa per la Devota della Costa, al secolo Margherita Antoniazzi, serva di Dio, religiosa del ‘500, ancora oggi nel cuore della popolazione della sua terra.
Vogliamo preparare le celebrazioni ripercorrendo grazie a Gaia Corrao la sua vicenda umana. Ecco la seconda puntata.

Lontana dal mondo

All’indomani della morte della madre, mentre il morbo della peste continuava ad infuriare per quelle terre, Margherita stanca e ammalata, forse per non infettare le persone vicine a lei o forse per non essere loro di peso, prese la sua storica decisione: voltare le spalle al mondo e rifugiarsi nella più assoluta solitudine.
Fu così che si ritirò in un luogo isolato e solitario a un paio di chilometri da Cantiga, non lontano dal fiume Ceno.
Un luogo aspro e deserto, poco accessibile e quasi impraticabile. Lì si trova a tutt’oggi una grotta situata sopra un precipizio, detta dalla gente del posto “della Rondinara”, perché scelta dalle rondini per farvi il nido.
Margherita fece di quel luogo buio e tetro la sua casa, adattandosi a vivere nelle due spelonche aperte nella roccia e comunicanti tra loro attraverso uno stretto passaggio.
Abbandonata da tutti, forse dimenticata dai più, quasi sepolta viva, la giovane si diede ad una vita di meditazione e penitenza.
Nonostante la peste continuasse ad affliggerla, Margherita insisteva fiduciosa nella preghiera di quel rosario che fin da bambina era stato il suo alleato principale nelle difficoltà della vita e la Vergine non mancò di confortarla con fenomeni mistici.

La giovane divideva le sue giornate tra lunghe ore di preghiera, interminabili digiuni, brevi riposi presi sulla dura roccia.
Alla fine la morte non l’ebbe vinta su di lei.

Benché a stento, Margherita riuscì a salvarsi e miracolosamente guarì. Ma a perenne memoria di quell’angosciante esperienza rimase claudicante per tutta la vita, perché l’inguine destro su cui si era manifestato il pestifero bubbone, rimase per sempre offeso.

Durante la permanenza alla Rondinara Margherita riceveva la visita non solo della Madonna, ma anche di San Rocco, protettore degli appestati, al quale era molto devota: fu proprio a lui che soprattutto attribuì la grazia della sua guarigione miracolosa.
Appena ebbe recuperate un po’ di forze, la giovane cominciò ad allontanarsi dalla grotta per recarsi in qualche chiesa e cappella a pregare non solo per sé, ma anche per la sua gente.
Vedeva infatti intorno a lei le conseguenze della peste e in molti casi il morbo ancora attivo, mietere vittime senza pietà.

Accadde un giorno un fatto straordinario.
Margherita si recava spesso a pregare nella chiesa parrocchiale di San Bartolomeo della Costa, dove la famiglia Antoniazzi aveva fatto erigere una cappella in onore della Madonna.
Quella volta la ragazza si trovava inginocchiata ai piedi di un quadro situato sopra l’altare, raffigurante la Vergine con Gesù Bambino in braccio.
Stava supplicando tra le lacrime per la cessazione della peste e impetrando misericordia per quelle popolazioni prostrate da tanto soffrire, quando improvvisamente l’effigie della Madonna cominciò a lacrimare abbondantemente, tanto che il pianto le rigava il volto fino sulle guance.
Diversi presenti, testimoni del prodigio, gridarono immediatamente al miracolo. I
l segno di quelle lacrime rimase visibile sul dipinto per circa un centinaio d’anni, cioè almeno fino al 1620, quando la cappella crollò.
Il prodigio accese nella popolazione una più viva devozione per quell’immagine della Vergine e guadagnò a Margherita una certa stima, aumentata anche dalla fama di guarigioni portentose operate per mezzo suo, che andava diffondendosi ogni giorno di più.

La potenza della preghiera

Nonostante le apparizioni sempre più frequenti tra la gente, Margherita continuava comunque a vivere alla Rondinara in quel rifugio che ormai le era divenuto caro.
Se ne allontanava oltre che per andare a pregare in chiesa, anche per visitare qualche ammalato. Aveva infatti preso l’abitudine di recarsi nelle case dei più sofferenti per assisterli, curarli, confortarli, pregare con loro.
Parecchie persone attribuirono la loro guarigione proprio alle fervide preghiere di Margherita.
Tra queste guarigioni miracolose, emblematica fu quella di un tale di nome Menino che abitava a Montereggio, nei pressi di Ca’ dei Ghinetti.

Colpito dalla peste lui e tutti i suoi familiari, Menino si dibatteva inutilmente sotto i colpi del morbo mortale.
Avendo sentito parlare dell’efficacia delle preghiere di Margherita, l’uomo la mandò a chiamare.
Margherita non esitò e corse al capezzale di Menino, ma giunta nei pressi della casa si sentì respingere dal puzzo rivoltante della peste che impregnava tutta l’aria e per poco non svenne.
Si fece tuttavia forza ed entrò nell’abitazione avvolta da quel tanfo di morte.

La tradizione vuole che varcata la soglia, al suo apparire in quei locali si diffondesse ovunque un soave profumo ma il prodigio non si limitò a questo.
Dopo una breve preghiera di Margherita infatti, Menino e i suoi familiari si sentirono subito meglio e si trovarono presto perfettamente guariti e illesi come se non avessero mai contratto la peste.

Colpiti e commossi da tanta misericordia da parte di Nostro Signore nei loro confronti, Menino e i suoi, pieni di gratitudine per Margherita che aveva accettato di pregare per loro, vollero ricompensarla della sua bontà e offrirono in segno di riconoscenza un’abbondante elemosina del valore di 40 scudi.
Margherita la utilizzò per sciogliere un voto che aveva fatto in precedenza a san Rocco al momento della sua guarigione e con quei soldi fece costruire una statua in legno con l’effigie del santo; statua che esiste ancora nella chiesa dell’Annunciata alla Costa.

Questi episodi rappresentano solo l’inizio di un’interminabile serie di stupefacenti prodigi e miracoli attribuiti alla preghiera della Devota della Costa.
I processi per la sua beatificazione, che rappresentano la fonte principale di informazioni sulla vita di Margherita, furono aperti diversi anni dopo la sua morte.
Non è perciò da escludere che contengano anche deposizioni enfatizzate dall’affetto e dalla tradizione orale.
Un fatto comunque è certo: tutti i testimoni concordano nel descrivere Margherita come una donna di grande amore verso gli altri. E le molte attestazioni di prodigi realizzati per la sua potente intercessione, se anche non fossero del tutto esatte nel riprodurre i fatti, rimangono comunque a conferma di quanto assicurava Gesù Cristo ai suoi discepoli, quando li incoraggiava dicendo che avrebbero fatto anche cose più grandi di Lui.

Margherita era una donna di preghiera; conosceva l’umiltà.
Non c’è da stupirsi se dinanzi a certi avvenimenti della vita della Devota della Costa si rimane a bocca aperta, come dinanzi a qualcosa di impossibile da realizzarsi.
Non dimentichiamo che ciò che è impossibile agli uomini, è sempre possibile a Dio.

A tu per tu con Maria

Quando finalmente la peste si allontanò da quelle terre martoriate, le persone ritornarono alle proprie case e la vita riprese a scorrere tranquilla.
Anche per Margherita il tempo alla grotta della Rondinara stava per finire.
Fu la Madonna stessa a suggerirle la missione per la quale l’aveva scelta e che avrebbe dovuto realizzare.

Tornò un giorno ad apparirle quella cara Vergine biancovestita, che le impose di lasciare il suo rifugio e recarsi sul Monte Lana “per farvi erigere al mio nome e in mio onore una chiesa”.
Margherita avrebbe preferito continuare la sua placida vita di sempre, in una lieta alternanza tra preghiera e carità, e tentò di schernirsi da quell’impegno che le pareva troppo gravoso per le sue forze e forse, a ben vedere, effettivamente lo era.
“Chi potrà mai credermi degna di tanto? - obiettò la ragazza - O dove troverò debole, rozza e poveretta qual sono i mezzi che bastino a sì grande opera?”.

Visto però che la Vergine non si curava delle sue obiezioni, si permise infine solo di chiedere che almeno detta chiesa si dovesse erigere al suo paese e non sul Monte Lana, supplicando la sua divina interlocutrice di rivolgersi ove possibile a qualcun altro e di lasciarla “nella mia oscurità e nel mio nulla”.
La Vergine acconsentì solo in parte alle richieste.
Si facesse pure la chiesa alla Costa, ma Margherita avrebbe dovuto assolutamente esserne la promotrice.
Poi si accomiatò con queste parole: “Non ti disanimi punto la tua pochezza e nullità, perché io sarò teco. Via dunque, mettiti all’opera. E ricordati che al mio divin figliuolo non si sono raccorciate le mani”.

Così Margherita, forte dell’incoraggiamento ricevuto dalla Madonna e rotto ogni indugio, lasciò finalmente la grotta della Rondinara e tornò tra la gente.
Si diede subito da fare, girando di casa in casa, di borgo in borgo, chiedendo elemosine, sensibilizzando le persone, implorando l’aiuto di tutti per la realizzazione di quella chiesa che la Vergine stessa aveva richiesta.

Com’era prevedibile le difficoltà non mancarono, sia da parte dei compaesani che la accusavano di essere esaltata da manie religiose, sia da parte del fratello Luchino, che le rimproverava certi atteggiamenti misticheggianti come un alibi per evitare il lavoro con il gregge e passare le giornate nell’ozio.
Forse Luchino aveva dimenticato che quando lui ancora giocava nel cortile di casa, Margherita trascorreva già lunghe giornate di lavoro a guardia di greggi non sue.

Persino il parroco della Costa, don Lodovico, non vedeva di buon occhio la costruzione di una chiesa a pochi passi dalla sua parrocchiale, temendo che “la concorrenza” gli avrebbe sottratto quel poco di elemosina su cui poteva contare all’epoca per vivere.

Accadde poi che in un giorno di festa, Luchino approfittasse della folla radunata davanti alla chiesa per sfogare a voce alta tutti i suoi malumori a proposito di Margherita, mettendola in cattiva luce e screditandola anche agli occhi di quei pochi che forse, ancora si fidavano di lei.
Terminato il poco edificante siparietto, Luchino riprese la via di casa ma mentre stava attraversando un prato si sentì improvvisamente bloccare e buttare per terra, così almeno riferisce un racconto popolare.
Per quanto si dimenasse, il giovane non riusciva a svincolarsi da quella morsa che lo immobilizzava, finché sopraggiunse Margherita che con la sola sua presenza lo sollevò da quell’imbarazzante situazione.
Finalmente Luchino si ricredette sul conto della sorella e si scusò tutto confuso e agitato per il suo comportamento.
Margherita lo perdonò senza obiettare e i due fecero ritorno insieme a casa, dove si sedettero a pranzare insieme, finalmente in pace.

In qualunque modo siano andate le cose, fatto sta che da quel giorno Luchino divenne non solo un collaboratore, ma addirittura un valido sostenitore di Margherita e fu sempre al suo fianco nella realizzazione dell’opera voluta dalla Vergine.

Insomma i conterranei di Margherita non le resero certo facile l’opera.
Incompresa e derisa dai più, accusata di essere una visionaria, tacciata di follia, la ragazza rimase impassibile nel suo proposito, ben sapendo che se veramente era desiderio del Cielo che quella chiesa venisse eretta, prima o poi quel desiderio si sarebbe realizzato.
A lei spettava il compito di pregare, fidarsi, perseverare.

Gaia Corrao

Pubblicato il 16 luglio 2019

Qui la 1ª puntata: Margherita, una religiosa nel cuore del Cinquecento

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Verso la festa della Devota della Costa / 1

devota1Ai primi di agosto la Val Ceno, in provincia di Parma ma diocesi di Piacenza-Bobbio, è in festa per la Devota della Costa, al secolo Margherita Antoniazzi, serva di Dio, religiosa del ‘500, ancora oggi nel cuore della popolazione della sua terra.
Vogliamo preparare le celebrazioni ripercorrendo grazie a Gaia Corrao la sua vicenda umana.

Dagli intrighi di palazzo all’Appennino

Nel Cinquecento guerre e congiure di palazzo erano all’ordine del giorno.
Negli anni in cui visse la Devota della Costa, dal 1502 al 1565, la città di Piacenza cambiò padrone ben sette volte, vedendo alternarsi al suo governo francesi, pontifici, farnesiani, imperiali.
Nessuno poteva dirsi al sicuro, nemmeno all’interno degli splendidi palazzoni rinascimentali che ospitavano i notabili dell’epoca.
Lo spettro del tradimento e dell’attentato improvviso era sempre in agguato. Emblematico a questo proposito quanto accadde nel 1547 al duca Pierluigi Farnese, sgozzato senza pietà all’interno del suo gabinetto ducale e fatto precipitare dalla finestra del palazzo nel sottostante fossato.

Nella Chiesa si stava preparando il terreno per il grande Concilio di Trento, che avrebbe finalmente portato fermenti di novità dall’interno, soprattutto nel clero. In questo contesto, lo Spirito Santo non mancò di ispirare figure di grande calibro, che furono come una luce nell’oscurità. Fra tutti, ricordiamo il vescovo beato Paolo Burali, fondatore del seminario di Piacenza, e Sant’Andrea Avellino, primo direttore spirituale.

Dio non si fermò qui.
Volle che anche sulle montagne dell’Appennino piacentino sbocciasse un timido fiore il cui profumo si sarebbe diffuso per tutta l’alta Val Ceno.
Insieme a Franca dei conti di Vitalta, vissuta a cavallo del 1200, monaca cistercense medievale fondatrice di un monastero sul Montelana, Margherita Antoniazzi dei Carlotti, passata alla storia come la Devota della Costa, rappresenta l’altro esempio della santità femminile piacentina.

Vissuta sempre tra i monti, lontana dal fragore della città e dai suoi tumulti, Margherita non fu estranea al mondo.
Ricercata dai potenti come consigliera, ammirata dai contemporanei per la sua inesauribile carità, Margherita fu poi per una serie di circostanze sfortunate, vittima di una sorta di congiura del silenzio che avrebbe voluto farla dimenticare da tutti.
Nonostante ciò la sua fama di santità è giunta fino a noi.

Il ricordo della sua vita e delle sue opere è ancora vivo negli abitanti di quei borghi. 
È stato recentemente fondato un comitato che ha poi portato alla riapertura del processo di beatificazione, già precedentemente aperto per ben due volte all’indomani della sua morte, ma poi inspiegabilmente fermatosi.

Una bambina speciale

Margherita nacque il 9 marzo 1502 a Cantiga di Costageminiana, attualmente nel comune di Bardi, provincia di Parma, ma territorio della diocesi di Piacenza-Bobbio.
Questo minuscolo villaggio appollaiato sulla montagna, sulla sinistra del torrente Ceno, di fronte al monte Pelpi, sorge “in luogo piuttosto ameno e ridente e di dolce declivio, tutto a’ prati e a camperelli, con vigneti sparsi qua e là, ben procurati e condotti”, come si legge nel volume dei processi di canonizzazione, conservato nell’archivio parrocchiale di Costageminiana.

I genitori di Margherita, Carlo Antoniazzi detto dei Carlotti e Bartolomea Merizzi, erano poveri contadini.
Vivevano in una casetta disadorna e misera, composta di due ambienti: la stalla al pian terreno e una stanza al piano superiore nera per il fumo del caminetto, dove si svolgeva la vita della famiglia.
I signori Antoniazzi avevano altri due figli: Antonina che andò presto in sposa ad un membro della famiglia Bracchi di Santa Giustina e Luchino, che rimase invece a coltivare il campo paterno.

Le condizioni di estrema povertà in cui versava la famiglia costrinsero i genitori di Margherita, sia pur a malincuore, ad allontanare la ragazza da casa poco più che bambina.
Così per sopperire ai tanti bisogni della sua famiglia, Margherita all’età di appena dodici anni, dovette lasciare i suoi e andare a servizio a Cabianca, nel territorio di Varese Ligure, dove rimase per circa un anno lavorando come guardiana di pecore.

Non fu un periodo facile. La bimba dovette soffrire molto per la lontananza dalla sua casa e dalla madre, cui era molto legata.
Queste sofferenze contribuirono certamente a forgiare il carattere di Margherita, che crescendo divenne una ragazza forte e volitiva.

Vivendo all’aria aperta dalla mattina alla sera, Margherita ebbe modo di osservare attentamente l’ambiente che la circondava.
Rimase enormemente impressionata dal grande numero di persone, uomini e donne ancora più poveri di lei, che vagavano tutto il giorno lontani dalle loro case, in cerca di un tozzo di pane con cui sfamarsi.
Intenerita da quelle icone del degrado umano, Margherita cominciò a dividere con loro quel poco di cibo che le veniva preparato dai padroni per la sua giornata di lavoro.
Quando però ciò giunse all’orecchio dei suoi padroni questi, attribuendo l’atteggiamento della ragazza ad eccessiva delicatezza di gola, anziché ad autentico spirito di carità verso i poveri, le tagliarono senza tanti complimenti i viveri, riducendoli a metà.
Margherita non si lamentò, non reclamò.
Continuò invece a dividere con chi aveva ancora meno di lei il magro contenuto del suo fagottino.

Fu durante il periodo di permanenza a Cabianca che Margherita rimase orfana di padre e forse, proprio in seguito a questo lutto, la mamma pensò di richiamarla a casa nella speranza di riuscire a tenere l’amata figlia con sé.
Purtroppo non fu possibile, perché ben presto un improvviso rincaro del prezzo dei viveri e l’assoluta mancanza di mezzi per provvedervi, costrinse di nuovo la donna a mandare la figlia a lavorare fuori casa.

Margherita radunò di nuovo le sue povere cose e si incamminò verso la casa del nuovo padrone.
L’uomo si chiamava Sabadino Strinati e abitava a Sarizzuola, un paese poco oltre il Ceno non lontano da Cantiga.
Fortunatamente questa volta Margherita finì a servizio di una persona per bene e buona. Le fonti ce lo descrivono come un “uomo retto e semplice di cuore”, che trattava la ragazza con garbo e avendone riguardo come di una figlia.

Ripresa la vita di prima a servizio delle pecore, Margherita tornò anche alle vecchie buone abitudini di un tempo e ricominciò a dividere il suo pasto con i poveri del luogo, verso i quali nutriva sentimenti di ardente carità.
Durante le lunghe giornate trascorse sui pascoli, pregava molto. I testimoni dei processi per la causa di beatificazione riferirono che la giovane aveva l’abitudine di fermarsi nei luoghi più solitari e appartati, dove pur tenendo d’occhio il gregge, trascorreva lunghe ore recitando la corona del rosario che teneva sempre in tasca a più riprese, “senza mostrarsene mai sazia”.

Fu in questo periodo che Margherita cominciò a manifestare i primi atteggiamenti mistici.
I medesimi testimoni riferiscono infatti di certi rapimenti estatici, durante i quali la ragazza vedeva la “Beata Vergine biancovestita” e lungamente si intratteneva a conversare con lei.
Da questa singolare circostanza alcune persone maliziose colsero l’occasione per andare a riferire a Sabadino che Margherita anziché seguire il gregge, si perdeva in chiacchiere con una signora sconosciuta.
Grazie a Dio, quel buon uomo si fidava ciecamente della sua Margheritella e non diede alcun seguito a certe chiacchiere.
Presero allora a dileggiarla quando la trovavano che snocciolava il suo rosario. Per tutta risposta lei cominciò a tenerlo nascosto sotto il grembiule, in modo da poter pregare in pace senza che gli altri se ne accorgessero.

Margherita fuggiva gli svaghi e i giochi tipici della sua età. Anzi, i testimoni sono concordi nel raccontare che si concedeva solo brevi sonni e il più delle volte sulla nuda terra o su pungenti fascine. Ciò unito ai prolungati digiuni, all’intensa preghiera e alle quotidiane opere di carità faceva di lei una creatura più del cielo che della terra.
La tradizione vuole che pur non sapendo leggere né scrivere, Margherita avesse imparato a recitare la narrazione della Passione di Nostro Signore, il Padre Nostro e l’Ave Maria direttamente dalla Madonna.
Fu dunque la Vergine stessa ad insegnarle a recitare il rosario, che rimase per tutta la vita la sua più intima compagnia.

La peste del 1524

Margherita era “di aspetto anzi che no avvenente, talché attraeva parenti e amici a vezzeggiarla; ma andava poi essa adorna di un riguardo così colombino e modesto, che infondeva nei petti di chi l’ascoltava sensi soavi di casti affetti e di verginal pudicizia”.
Questa la descrizione della ragazza fatta dai suoi contemporanei: una di quelle bellezze delicate che infondono rispetto e ammirazione.
Quando finalmente poté fare ritorno a casa dopo parecchi anni spesi a servizio del buon Sabadino Strinati, la mamma la trovò ormai giovane donna, “ben messa nella persona, agile di membra, di complessione robusta”.

Furono per madre e figlia giorni felici. L’anziana donna realizzava finalmente il sogno accarezzato durante tutto il tempo della lontananza.
Allentato dopo anni di durissimi sacrifici il morso della miseria e della fame, si schiudeva per la famiglia Antoniazzi un futuro sereno.
Margherita dal canto suo si rallegrava intimamente della ritrovata compagnia della mamma e dei fratelli.
Ahimè, quei giorni di pace non dovevano durare ancora a lungo. L’ombra di una sciagura stava per distendersi sopra le terre di Bardi e su tutto il piacentino.

Correva l’anno 1524. Margherita aveva 22 anni.
Improvvisa scoppiò la peste, come un fulmine a ciel sereno e cominciò a mietere vittime ovunque, spargendo morte, lutto, disperazione per ogni dove.
Quella del 1524 fu una calamità di dimensioni davvero apocalittiche: nel territorio milanese le vittime furono oltre cinquantamila, ottomila i morti nella sola città di Piacenza. Intere famiglie sterminate, cadaveri ovunque, il tanfo insopportabile della peste impregnava l’aria.

Come una bufera inarrestabile la peste investì anche le montagne di Bardi, portando con sé il suo triste bagaglio di terrore e desolazione.
La gente in preda al panico fuggiva dalle proprie case, abbandonandovi i cari ormai contagiati e per lo più moribondi e cercava di mettersi in salvo come poteva, rifugiandosi nelle campagne.

Anche Bartolomea Antoniazzi, la madre di Margherita, cadde presto ammalata.
Margherita decise di rimanere accanto alla madre fino alla fine, assistendola come poteva e coprendola di cure e tenerezze.
A quell’epoca la sorella di Margherita, Antonina, doveva essere già sposata e non viveva più a Costa; del fratello Luchino, invece, non si hanno notizie precise. I
n poco tempo Bartolomea fu ridotta in fin di vita. Vicino a lei, solo Margherita che tentava disperatamente di tenerla in vita.
Tutto però fu vano. Mamma Bartolomea si spense nel giro di pochi giorni, tra le braccia della figlia.
Margherita si trovò sola e ormai, anche lei contagiata dall’orribile flagello.

Ventidue anni, orfana e appestata: questo il ritratto di Margherita poco tempo dopo quel gioioso rientro a casa.
Tutto sembrava finito. Invece per lei, la vera vita doveva ancora cominciare.

Gaia Corrao


Pubblicato il 9 luglio 2019

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