“Le opere da sole non bastano, coinvolgiamo la comunità”
Il direttore della Caritas italiana don Francesco Soddu: oggi come Caritas
dobbiamo rispondere anche a una povertà culturale che cancella gli ultimi
“Se in una parrocchia di diecimila abitanti vi fossero undicimila opere, ma senza che la comunità ne sia coinvolta, non valgono nulla”.
Mette in guardia contro l’attivismo della carità don Francesco Soddu, direttore della Caritas Italiana. Sarà a Piacenza sabato 10 ottobre al convegno delle Caritas parrocchiali al centro “Il Samaritano” di via Giordani per il primo evento diocesano dell’anno pastorale.
— “Dar da mangiare agli affamati”: fino a qualche decennio fa quest’opera di misericordia la consideravamo limitata a certi Paesi del Sud del mondo. Oggi non è più così...
È vero. Sappiamo però che a fronte di una popolazione mondiale di circa 7 miliardi, si produce per almeno 12 miliardi. Dunque il problema non è la scarsità di beni, ma la cattiva distribuzione. È la prima questione che dovremmo porci. E poi c’è l’altra questione.
— Ovvero?
Condividere. Nella Bolla di indizione del Giubileo Papa Francesco ci ricorda che le opere di misericordia sono lo specchio attraverso il quale possiamo capire se viviamo da veri discepoli. E nella “Evangelii Gaudium” invita a non ridurre la solidarietà a gesto pietistico. La condivisione si gioca a livello comunitario e tien conto dell’equa distribuzione dei beni.
— Come far sì che la Caritas non sia solo quella delle “borse viveri”?
Occorre tenere presente il dna della Caritas: tutto ciò che fa, inventa, partorisce sul fronte della testimonianza della carità deve avere una funzione pedagogica, ossia deve animare la comunità. Faccio un esempio paradossale: se in una parrocchia di 10mila abitanti dovessimo avere 11mila opere ma la comunità non è per niente toccata da quelle opere, beh... non hanno consistenza.
Quando sono diventato parroco, ho capito cosa intende Gesù quando dice: sono venuto a portare il lieto annuncio ai poveri. La testimonianza della carità dice il volto bello della Chiesa. Senza, non saprei su che pilastro la parrocchia può reggersi. Anche la liturgia - e lo dico da ex direttore dell’Ufficio liturgico della mia diocesi, Sassari - senza la testimonianza della carità non basta.
— La povertà materiale la tocchiamo con mano. Ma da quali altre forme di povertà la Caritas deve farsi interpellare?
C’è una povertà culturale che genera anche povertà materiale. Un esempio è sotto gli occhi di tutti: quando prendiamo in considerazione l’emergenza profughi, generalmente siamo a chiamati a giocare la nostra azione e la nostra sensibilità rispetto all’accoglibilità o meno. Ma bisogna andare oltre, alle ragioni che determinano i movimenti migratori.
Il Papa lo ha spiegato bene nel Messaggio in vista della Giornata del migrante e del rifugiato: al di là del diritto di essere accolti, c’è un diritto dei popoli a rimanere nella loro terra, ma non perché costretti dalle ingiustizie, dalla fame e dalla guerra, bensì perché loro stessi possono essere protagonisti del loro futuro.
Faccio un altro esempio sul tema del cibo: l’appello del Papa alla condivisione in molte parti d’Italia spesso si è focalizzato sulla raccolta degli scarti... È riduttivo e anche aberrante pensare che basti dare ai poveri quel che noi scartiamo.
— La Caritas italiana a fronte dell’aumento della povertà ha lanciato alla politica la proposta del reddito di inclusione sociale. Di che si tratta?
Rispetto al reddito di cittadinanza o al reddito minimo, il reddito di inclusione sociale (Reis in sigla, ndr) ha un valore aggiunto nella misura in cui le associazioni, le cooperative, il terzo settore sono coinvolti affinché la persona che riceve il sussidio dallo Stato non lo disperda, ma anzi le serva da volano iniziale per l’inserimento e la ricerca del lavoro. In questa prospettiva il Reis, che è una misura per combattere le forme di povertà estreme, va ben oltre la semplice pecunia.
— Qualcuno potrebbe obiettare: e quelli che sono nella zona grigia, a cavallo della soglia di povertà?
I padri fondatori della Caritas hanno sempre ricordato una necessità: partire dagli ultimi. Una persona tempo fa mi ha detto: ma se riparti dagli ultimi i penultimi dove stanno? La domanda non ha senso: partendo dagli ultimi, includi tutti. Poi certo bisogna muoversi su due binari: ci vorranno politiche di contrasto alla povertà estrema, che ha sue caratteristiche, e politiche contro la povertà.
Barbara Sartori
Articolo pubblicato sull'edizione di venerdì 9 ottobre 2015