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"Al primo appuntamento,
gli ho mandato la cena di traverso..."

Costanza Miriano col futuro marito era stata chiara: “mi serve un’auto, usata, non importa quale.
Basta che sia abbastanza grande per una carrozzina.

Lui aveva altre idee, però non è scappato, né dal ristorante né dalla mia vita”

miriano figli

Sposarsi, sottomettersi, morire per qualcuno. Concetti un po’ troppo forti in un mondo così debole e fragile. Ma Costanza Miriano è senza paura e questi concetti li usa.
Dopo il successo del libro “Sposati e sii sottomessa” (ha venduto oltre 25.000 copie), con il suo secondo libro “Sposala e muori per lei” è già arrivata alla sesta edizione.
Parlerà della sua esperienza di sposa e di madre, ma anche della riflessione raccolta nei suoi libri e degli incontri che ne sono scaturiti, sabato 14 settembre alla “Grande Festa della Famiglia”. A Palazzo Galli, alle ore 17, interverrà su un tema di forte attualità: “Uomo e donna: alla radice della vita insieme”.

— Uomo e donna: ha ancora senso parlarne oggi che qualcuno propone di usare, ad esempio, “genitore 1” e “genitore 2” anzichè mamma e papà?
Ha più senso che mai! Siamo di fronte ad un’emergenza antropologica mai vista. Attraverso leggi ed altre forme di pressione culturale nell’intero mondo occidentale si sta cercando di riscrivere l’idea stessa di uomo, maschio e femmina, come l’abbiamo sempre data per assodata, dalla preistoria.

— Qual è il valore che si perde in questa lotta per annullare ogni differenza sessuale?
Perdiamo il valore di essere creature, figli di Dio, e non individui che si autodeterminano in base alle proprie esperienze o emozioni. L’identità sessuale è prima di tutto donata.

— Ma in cosa sono diversi un uomo e una donna?
Quanto tempo ho per rispondere? No, perché per esaurire le differenze tra due mondi tanto lontani non basterebbe una giornata! (ride). A volte mi chiedo persino se apparteniamo alla stessa razza, tanto siamo diversi. Piuttosto mi chiederei perché le cose stiano così. La diversità tra maschio e femmina richiama un mistero profondo, è un segnaposto dell’Altro, scriveva il cardinal Scola, è memoria del mistero di Dio, della dinamica d’amore fra le tre persone della Trinità. È una differenza chiamata ad essere feconda, a generare la vita.

— Secondo te lo scopo di questo tentativo di annullare le differenze di genere qual è?
Essere contro la fecondità che è scritta nel mistero della differenza tra maschile e femminile. Smettere di dire agli uomini e alle donne di oggi: è una cosa buona che tu abbia il coraggio di generare, di metterti a disposizione della vita.

— Tu però ti definisci, prima ancora che mamma, “sposa”. Perché sposarsi vale - ancora - la pena?
Perché Dio entra nella relazione tra uomo e donna con tutta la potenza del sacramento. È presente davvero, e personalmente. E senza Dio noi non siamo in grado di amare.

— Tu perché l’hai fatto?
Perché questa Persona ce la volevo, nella mia storia. Anche se non immaginavo quanto sarebbe stato bello.

— Qual è il piede giusto con cui partire nel matrimonio?
Quello del desiderio di aprirsi alla grazia, di fare sul serio, e l’intenzione di amare l’altro attraverso Dio, sapendo che lui o lei non saranno mai in grado di consolarci totalmente, di dissetarci profondamente.

— Cosa diresti a chi obietta o rimanda le nozze giustificandosi con i soliti “se poi cambiamo, se poi non ci amiamo più, se poi lui guarda quelle più giovani...”?
Noi siamo liberi di uscire dall’ottica di Dio, di non seguire quello che la nostra mamma, la Chiesa, ci dice. Però io sono profondamente convinta del fatto che tutte le “raccomandazioni” che questa mamma ci fa, le fa per il nostro bene. La regola non ci impedisce di essere felici, ma al contrario ci aiuta a raggiungere l’obiettivo, che è per tutti lo stesso, la felicità.

— Perché hai voluto sposare tuo marito?
Per tanti motivi che, però, oggi, sono cambiati. Dopo tanti anni posso dire che possiamo amarci davvero. Con meno egoismo, con più capacità di volere il vero bene dell’altro.

— Sapevi già di volere figli? E lui?
Al primo, sottolineo al primo, appuntamento gli ho detto che dovevo comprare una macchina. Usata, perché non avevo un soldo. Di qualsiasi modello o colore. Bastava che il portabagagli potesse contenere una carrozzina. Credo di avergli mandato la cena di traverso. Lui diciamo che non sentiva questa urgenza. Però è rimasto lì, non se n’è andato dal ristorante né dalla mia vita. Quindi forse alla fine l’idea non lo terrorizzava.

— Oggi trovare la “persona giusta” sembra una delle imprese più complicate.
La paura dell’impegno è il male principale dell’uomo contemporaneo. Poi c’è il fatto che i rapporti si bruciano, si consumano vivendoli in pienezza e senza limiti fin dall’adolescenza. Non rimane più il desiderio di qualcosa di grande.

— Che consiglio dare a chi non si vuole sposare?
Di guardare dentro il suo cuore. Il desiderio del per sempre c’è scritto di sicuro. E solo Dio può aiutarci a provare questo “per sempre”. Il nostro cuore da solo non ce la fa. È ingannevole, incostante emotivo, se non è centrato in Dio.

— Quanto conta la fede in Dio nel matrimonio?
Un po’ di fede bisogna averla, non si può scherzare con Dio, magari scegliendo la chiesa per motivi scenografici. Però posso testimoniare che davvero la fede è un granello di senapa. Parte che è un piccolo semino, ma cresce senza sosta.

— Il segreto per restare uniti nel matrimonio?
Permettere che l’altro sia diverso da noi. Non volerlo cambiare. Amarlo amando Dio attraverso di lui.

— Tornassi indietro diresti ancora “sì” a tuo marito?
Io sì, mille volte. Lui dice sempre di no, che non lo rifarebbe, e vivrebbe in una casa insonorizzata, cioè libera dalle mie chiacchiere. Ma con i fatti dice tutt’altro. Con la sua dedizione dice sì tutti i giorni. Anche lui.

— Cosa c’è di tanto bello nello sposarsi?
Il bello di un’avventura rischiosa, in cui si è scommesso tutto. Qualcosa in cui ci si gioca il tutto per tutto. Altrimenti finisci come chi fa il giro sulla pista delle macchinine all’autoscontro. Finito il giro se ne torna a casa, al calduccio, al sicuro, non rischia niente. Ma non trova niente.

Laura Gotti Tedeschi

Articolo pubblicato sull'edizione di mercoledì 11 settembre 2013

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