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Gli atleti disabili,
campioni di coraggio

“Non è la disabilità l’ostacolo, tutto è nella testa, nella voglia di rinascere che si ha”:
il 17 settembre 
al Giubileo della famiglia e dello sport
in prima fila 
gli atleti piacentini del Comitato Paralimpico Italiano

zanardi sir

Ormai archiviate le Olimpiadi, il 7 settembre lo sport illuminerà nuovamente Rio: si apriranno le Paralimpiadi, con la quindicesima edizione dei giochi estivi dedicati ad atleti con disabilità che fino al 18 settembre vedranno gareggiare 4.300 campioni provenienti da 176 Paesi.
Anche a Piacenza lo sport sarà sotto i riflettori: il 17 settembre - nell’ambito della Grande Festa della Famiglia - si celebrerà il Giubileo della famiglia e dello sport. Tra le fila degli sportivi vi saranno anche loro, gli atleti disabili che vedono difeso e assicurato il diritto di partecipazione all’attività sportiva, in condizioni di uguaglianza e pari opportunità, grazie all’azione del CIP, il Comitato Italiano Paralimpico. Un comitato che a Piacenza apre le porte ai giovani disabili a ben 23 discipline e che non smette mai di portare nuovi sport alla portata dei ragazzi, in base al tipo di disabilità, come canoa o pallanuoto.
A Franco Paratici, delegato CIP Piacenza, abbiamo rivolto alcune domande per conoscere da vicino il mondo sportivo dedicato alla disabilità, oltre gli stereotipi e i pregiudizi.

— Per chi ignora il mondo sportivo e la sua organizzazione, cosa è il CIP?
Il Comitato Paralimpico Italiano è diventato un ente pubblico al pari del Coni, con l’incarico di gestione delle attività sportive dei disabili. Siamo nati cinquant’anni fa, prima vi era un insieme di federazioni ed erano le quattro categorie di disabilità: non vedenti, sordi, mentali e fisici. Nel tempo le categorie hanno percorso strade differenti per poi riunirsi negli ultimi anni.
Anche per Piacenza e Provincia vi è una delegazione il cui scopo non è organizzare l’attività sportiva, bensì coordinare e favorire la preparazione atletica delle rappresentative paralimpiche delle diverse discipline in vista degli impegni nazionali ed internazionali e, soprattutto, dei Giochi Paralimpici, nelle stesse sedi e strutture utilizzate per le Olimpiadi.
I valori che ci ispirano sono l’integrazione delle persone disabili nel tessuto sociale attraverso la pratica sportiva, che deve essere strumento di benessere psicofisico.

— La torcia dei Giochi Paralimpici di Rio 2016 ha linee sinuose e profili curvi, simbolo degli alti e bassi della vita dell'atleta paralimpico, ed ha una forma quadrangolare perché si riferisce ai quattro valori paralimpici quali coraggio, determinazione, ispirazione ed uguaglianza. Punti di forza e ostacoli che ritrova negli atleti incontrati?
Se penso ai nostri ragazzi gli ostacoli maggiori non vengono dalla disabilità fisica ma dalla voglia o meno di rinascere che nutrono. Un esempio? Alex Zanardi grande pilota automobilistico che ha lasciato le sue gambe sull'asfalto. Quando è riuscito a diventare nuovamente campione? Quando si è scordato di non avere più le gambe. Lui è stato vincente perché ha avuto la capacità di uscire dal tunnel.

— “Il Comitato Italiano Paralimpico è un mondo da conoscere, da vivere, una dimensione in cui investire entusiasmo e passione, con la certezza di chi crede che lo sport è uno soltanto. E non ammette differenze", ha dichiarato Luca Pancalli, presidente del CIP. Davvero lo sport è per tutti?
Oggi chi è disabile ha realmente tanti mezzi sportivi per praticare quasi tutti gli sport. Se non lo fa è una scelta sua. Dipende dalla volontà dei ragazzi, le opportunità ci sono. Basta pensare, in termini economici, che l'offerta sportiva dedicata ai disabili è maggiore della domanda. Alle Paralimpiadi concorreranno 4300 sportivi, di cui 100 italiani. Numeri alti? Per nulla: nella sola provincia di Piacenza il numero dei disabili è di 1050 ragazzi.

— Quali reputa siano le nuove sfide per il mondo sportivo dei disabili?
Faccio un esempio: oggi le Paralimpiadi sono limitate ai disabili fisici, ma la maggior parte del nostro lavoro è con chi deve fare i conti con altre forme di disabilità. È quel che si verifica per il 70% dei ragazzi con cui lavoriamo. E se pensiamo alle tante sindromi presenti, sono come altrettanti piccoli mondi sconosciuti.

Erika Negroni

Articolo pubblicato sull'edizione de "il Nuovo Giornale" di venerdì 2 settembre 2016

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