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Giorno del Ricordo. Verità, giustizia e libertà per evitare certe tragedie

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Il 10 febbraio, “Giorno del ricordo”, a Piacenza nel Giardino dei Martiri delle Foibe, si è svolta la cerimonia commemorativa delle Vittime delle Foibe e della tragedia istriana nel secondo Dopoguerra.
Il discorso del sindaco Tarasconi

“Per gli slavi eravamo italiani. Per gli italiani eravamo slavi. In realtà noi eravamo il nulla, gente senza casa, senza patria e senza identità”. Con queste parole lo scrittore Piero Tarticchio rievoca l'esodo cui la sua famiglia, originaria di un paesino a pochi km da Pola, fu costretta dalle milizie titine nel 1947. Suo padre e altri sei parenti – tra cui il sacerdote don Angelo Tarticchio, arrestato insieme a trenta parrocchiani, percosso, torturato e gettato nel ventre di una cava di bauxite nel settembre del 1943 – erano già stati brutalmente uccisi, i loro corpi inghiottiti per sempre nel buio delle foibe. Un orrore che, ha sottolineato il presidente Mattarella, colpisce ancora oggi le nostre coscienze, ma “tardò ad essere fatto proprio dalla coscienza della Repubblica”.

Onorare il Giorno del Ricordo – attraverso la presenza partecipe e unanime delle istituzioni, delle associazioni che custodiscono l'eredità della storia, di tutti i cittadini che credono negli insegnamenti del passato come valore da condividere e tramandare – significa allora dare voce, dopo decenni di colpevole silenzio, a questa consapevolezza, rendendo l'omaggio commosso e sincero della nostra comunità a tutte le vittime.

Che furono migliaia, in quelle terre lungo il confine orientale di un Paese devastato dal conflitto, dove i cardini della propria nazionalità, della fede, degli ideali politici e delle relazioni umane divennero una colpa da espiare con la violenza, la sparizione, la deportazione o l'allontanamento forzato dalla propria casa, dalle proprie radici. Nel nome di un totalitarismo che si abbattè, con ferocia inaudita, sulle stituzioni e sugli oppositori politici, sui componenti dell'Esercito o delle Forze dell'ordine, sulle figure religiose e laiche di riferimento per le comunità cattoliche, sulla popolazione civile – senza pietà per donne, anziani, bambini. Colpendo ogni persona, ogni realtà che potesse essere considerata “nemica del popolo”, rappresentando un ostacolo all'egemonia comunista.
La repressione armata, le fucilazioni di massa, le condizioni inumane dei campi di prigionia, le persecuzioni che spinsero oltre 300 mila italiani ad abbandonare la loro terra, dopo il Trattato di Parigi che assegnava l'Istria alla Jugoslavia: come si è potuto, così a lungo, chiudere gli occhi su tutto questo? Ce lo domandiamo in questa ricorrenza, riaffermando che la tragedia delle foibe e dell'esodo giuliano-dalmata è un dolore che appartiene all'Italia intera, che va protetto e tutelato da ombre revisioniste e dal negazionismo.
“Celebrare il Giorno del Ricordo – ha ammonito qualche anno fa il presidente Mattarella – significa rivivere un capitolo buio della storia nazionale e internazionale”, richiamando “un destino comune a molti popoli dell'Est europeo: quello di sperimentare, sulla propria vita, tutto il repertorio disumanizzante dei grandi totalitarismi del Novecento, diversi nell'ideologia, ma così simili nei metodi di persecuzione, controllo, repressione, eliminazione dei dissidenti”.
E' questo, il fondamento e la necessità della cerimonia odierna: l'impegno forte, determinato e universale a tutela della pace e della democrazia, perché la memoria di ciò che è stato ci aiuti sempre a scegliere la via del dialogo e del rispetto. Perché nessuno, più, possa ritenere legittimo – persino immaginabile – violare l'esistenza e la libertà altrui per imporre un'ideologia. Perché, infine, su nessuna pagina della nostra storia possa mai più calare quello che Claudio Magris definì “un oblio oltraggioso, che nessuna spiegazione potrà mai giustificare”.

L'intervento del Prefetto

L'Italia celebra oggi 10 febbraio il Giorno del ricordo, dedicato alla commemorazione delle migliaia di vittime che tra il 1943 e il 1947 vennero catturate, uccise e gettate nelle cavità carsiche dell'Istria e della Dalmazia, le cosiddette foibe, e a quanti - istriani, fiumani e dalmati - in quel tragico secondo dopoguerra, furono costretti a lasciare le loro terre.
Complessa e dolorosa vicenda della storia italiana del Novecento, a lungo trascurata, che va accostata alle "pulizie etniche" ancora in atto, per quanto non sempre conosciute e adeguatamente denunciate.
Si moriva con estrema crudeltà: nelle foibe i condannati venivano legati tra loro con un fil di ferro stretto ai polsi e fucilati in modo che si trascinassero nelle cavità gli uni con gli altri.
La pianificata volontà di epurazione su base etnica e nazionalistica ebbe inizio con la firma dell'armistizio dell'8 settembre1943. In Istria e in Dalmazia i partigiani jugoslavi di Tito si vendicarono violentemente contro l'occupazione militare dell'Italia fascista e l'italianizzazione forzata, nel tentativo di cancellare lingua e cultura slave, intrecciate storicamente con lingua e cultura italiane.
In seguito, il persistente conflitto etnico portò all'esodo forzato, tra il maggio e il giugno del 1945 di migliaia di italiani dell'Istria, di Fiume e della Dalmazia, mentre altri furono uccisi o deportati nei campi sloveni e croati.
La Slovenia è entrata nell'Unione Europea nel 2004 e la Croazia nel 2013.
I valori della verità, giustizia e libertà, nel rispetto delle diverse culture e nella consapevolezza del valore della persona, di tutte le persone, sono i soli in grado di prevenire il ritorno di questi orrori.
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Nelle foto di Del Papa la Giornata del Ricordo.
Pubblicato il 10 febbraio 2023

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