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Convegno AC: «Condividere la responsabilità delle cure»

PERONI ORLANDO FERNANDI

“La responsabilità della cura deve avere un valore sociale, non è solo a carico del singolo”. Si è concentrato sulla figura del caregiver il convegno “Responsabilità della cura: un impegno da condividere”, organizzato da Piergiorgio Visentin di Azione Cattolica nell’oratorio della parrocchia di Sant’Antonio abate, martedì 17 gennaio. “Anticamente questo luogo – ha ricordato Visentin in apertura – era un lazzaretto dove i pellegrini scontavano le quarantene, ma si curavano anche le malattie della pelle con le pomate fatte col lardo dei maialini di Sant’Antonio. Era un ospedale con una funzione sociale”.

VISENTIN

Chi si prende cura?
Il caregiver è “colui che assiste, che è vicino”, e può essere informale – quando a prendersi cura è un familiare – o formale, nel caso di una figura professionale. “Attraverso l’esperienza della fragilità possiamo imparare a camminare insieme”, ha sottolineato Itala Orlando, responsabile dell’Ufficio Pastorale della salute della diocesi di Piacenza-Bobbio e moderatrice dell’incontro. “Chi si prende cura – ha aggiunto – non deve mai perdere di vista il lato umano”.

Le difficoltà nel prendersi cura
Dietro un caregiver si nascondono sentimenti di diverso genere, spesso negativi come ansia, paura, stanchezza. “Il ‘burden’ del caregiver viene definito come il ‘peso dell’assistenza’ – ha spiegato Eleonora Fernandi, infermiera del reparto Malattie infettive dell’ospedale di Piacenza – L’attività di cura è gravosa e può comportare nel caregiver sentimenti di ansia, depressione o problemi fisici. Il caregiving è gravoso sul piano clinico, assistenziale, psicologico-emozionale e relazionale. Chi si occupa della cura è a contatto con il limite, con il dolore anche più atroce, e non è raro identificarsi nel malato. ‘E se succedesse a me?’. Il professionista deve interfacciarsi su diversi ambiti: la persona malata, i familiari. Nel caso di un percorso di malattia lungo, spesso c’è un sentimento di diffidenza e paura da parte del caregiver familiare nell’affidare il malato ad altre mani, anche se competenti e affidabili. La complessità e l’integrazione del vivere richiede un approccio multidisciplinare. Al centro la persona fragile, che orienta nostro agire, e poi ogni professionista che può soddisfare i bisogni specifici della persona. La famiglia ha ruolo fondamentale: è mediatrice fra il paziente e il mondo esterno, conosce certi aspetti del linguaggio che uno sconosciuto non può percepire, ha un’influenza sull’accettazione della malattia e sullo stato emozionale del paziente. Il caregiver formale ha bisogno di sostegno, collaborazione, confronto e dialogo da parte dei familiari”.

Di cosa ha bisogno il caregiver
L’Ufficio Pastorale della salute della diocesi di Piacenza-Bobbio, in collaborazione con l’associazione “La Ricerca”, organizza dei gruppi di auto mutuo aiuto che servono ai caregiver per condividere sentimenti e soluzioni pratiche apprese tramite l’esperienza diretta. I caregiver in Italia sono 8,5 milioni, tra cui 7,3 milioni sono familiari, in prevalenza donne. Poi ci sono gli ‘younger caregiver’: 7 ragazzi su 100 si occupano di membri fragili della famiglia, in media per 23 ore settimanali. “Alle persone fa piacere restituire quello che hanno ricevuto. Nei gruppi di auto mutuo aiuto – ha spiegato Donatella Peroni, facilitatrice dei gruppi per l’associazione “La Ricerca” – c’è l’incontro fra persone unite da uno stesso problema, che hanno bisogno di rompere l’isolamento per raccontarsi”. I gruppi, composti da circa dieci persone, si trovano ogni due settimane e sono coordinati da professionisti coadiuvati da facilitatori formati alla comunicazione e all’ascolto. Il caregiver ha bisogno di: pause, sostegno pratico, informazioni sulla malattia, formazione per accrescere le competenze nel lavoro di cura, sostegno emotivo, comunicazione migliore, gestire lo stress, essere coinvolto nell’erogazione e nella pianificazione dei servizi”.

È fondamentale non trascurarsi
Mai dimenticarsi di sé stessi. “Il caregiver – ha ribadito Peroni – ha il permesso di prendersi cura di sé, senza pensare di ‘togliere qualcosa’ al malato che assiste, deve avere spazi di riposo, la possibilità di essere arrabbiato, stanco, triste, disperato o ribelle. Deve essere libero di farsi aiutare, andare in vacanza e ridere con ironia e leggerezza. Non bisogna giudicare i caregiver che si prendono il diritto di fare tutto ciò”. Nelle parole dei partecipanti ai gruppi si notano tutte le sensazioni elencate dalle relatrici: “Mi sento inutile e ho paura, un domani sarò anch’io in queste condizioni”, “Nello stesso tempo amo mia madre ma provo rabbia per la situazione che sta vivendo. È possibile?”. Chi frequenta i gruppi di auto mutuo aiuto, però, dice di aver fatto un viaggio di consapevolezza, perché “la sofferenza condivisa diventa più leggera”.

Come iscriversi ai gruppi
Chi è interessato a partecipare ai gruppi può rivolgersi all’associazione “La Ricerca” (tel. 348 8557985, e-mail: ). Prima di essere ammessi al gruppo sono richiesti due colloqui conoscitivi. Il gruppo accoglie nuovi membri in qualsiasi momento.

Francesco Petronzio

Nelle foto: in alto, da sinistra, Donatella Peroni, Itala Orlando, Eleonora Fernandi; sopra, Piergiorgio Visentin.

Pubblicato il 18 gennaio 2023

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