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Touadi ad Africa Mission: se vuoi la pace, occorre promuovere la giustizia

africapelle

Una speranza di pace e riconciliazione nelle parole di Jean Paul Habimana, intellettuale ruandese sopravvissuto al genocidio dei Tutsi e autore del libro “Nonostante la paura”, presentato durante una conferenza per il cinquantenario di Africa Mission nell’auditorium sant’Ilario dal titolo“ L’Africa sulla mia pelle”.
Sono intervenuti anche Jean Leonard Touadi, giornalista e docente di geografia dello sviluppo in Africa all’Università la Sapienza di Roma ed Elisabetta Paraboschi, giornalista di Libertà.

Gli echi della guerra ora sono vicini

Della guerra in Europa avevamo ricordi più o meno lontani, poi le cose improvvisamente cambiano e gli echi dei conflitti arrivano vicini a noi -evidenzia Jean Leonard Touadi-. Il processo di globalizzazione ha creato interdipendenze e interconnessioni già chiare ai nostri occhi con la pandemia. Credo che sia necessario saper scrutare i segni dei tempi per capire il significato degli eventi che ci circondano, ma purtroppo viviamo inondati da immagini ed informazioni continue che non ci danno mai l’opportunità di fermarci a riflettere per capire ciò che succede e siamo spinti a guardare altrove. Sono felice di vedere tanta partecipazione alla sofferenza di migliaia di profughi, con atti di accoglienza e compassione, ma lo stesso slancio di solidarietà non sempre si è manifestato per tutti, per questo spero che la stessa dimostrazione di umanità possa essere un punto di partenza per dimostrare sensibilità a tutti coloro che fuggono da guerra e fame. Se vuoi la pace bisogna promuovere la giustizia.

Il genocidio te lo porti dentro

 Non si può dimenticare una guerra simile, che mi ha reso orfano di padre a 10 anni, in una società dove la figura maschile era di riferimento -racconta Jean Paul Habimana- l’uccisione degli uomini era destabilizzante per tutta la comunità, perchè distruggeva il tessuto sociale nel suo intimo. Oggi vedo la stessa sorte per gli uomini ucraini, costretti a combattere una guerra per cui non sono formati e preparati. La guerra purtroppo non porta mai alla pace ma solo alla morte.

Africa terra straniera

 La storia coloniale del continente africano mostra ancora le sue cicatrici, una terra straniera diversa, abitata da persone radicalmente differenti e per troppo tempo considerate minacciose ed inferiori - ricorda Touadi- una cultura che si è sedimentata dal tempo della schiavitù e che ha portato ad un’interiorizzazione nell’africano stesso di questo senso d’inferiorità, creando comunità sfiduciate. Nel continente africano si vive una violenza strutturale, determinata anche dall’importazione di culture non proprie che si sono mescolate infruttuosamente, sfociando in realtà come l’apartheid ed il genocidio ruandese. Il linguaggio di alcuni politici europei non fa che creare ulteriore paura e diffidenza, il pericolo è che l’Africa si rivolga ad altri paesi come Cina, Giappone e Russia, per questo penso sia importante creare ponti culturali e non muri.

L’Africa sulla mia pelle

 Veniamo da una storia molto drammatica - conclude Habimana - il nero veniva considerato un “non umano”, una “razza inferiore”: uscendo dal seminario ho capito cosa volesse dire essere africano in Europa, più eri nero più ti spettavano lavori faticosi. C’è ancora tanta strada da fare, personalmente ho vissuto realtà che mi hanno permesso di cambiare, di crescere, di vedere le cose diversamente. Negli ultimi giorni con la guerra in Ucraina penso che abbiamo imparato tante cose, la Polonia per esempio, che ha seguito una politica contraria all’emigrazione, ora si rivolge al popolo ucraino esprimendo un forte spirito di accoglienza, credo che vivendo da vicino esperienze drammatiche si possa cambiare in profondità, il volto della guerra è lo stesso ovunque tu sia.

Stefania Micheli

Pubblicato il 6 aprile 2022

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