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Le suore anziane che hanno lasciato il posto alle mamme in fuga dalla guerra

scalabriniane missionarie casaliggio

La più giovane ha 84 anni, la più anziana 90. Hanno tutte alle spalle più di sessant’anni di vita religiosa, tra gli emigrati nelle missioni di frontiera. Loro stesse, da bambine, hanno sofferto gli orrori della guerra, patito la fame. Così non hanno avuto dubbi, quando dalla madre provinciale delle suore missionarie di San Carlo-Scalabriniane suor Milva Caro è arrivata la richiesta di lasciare il “buen retiro” di Casaliggio, dove stavano trascorrendo il meritato riposo dopo anni di vita missionaria attiva, per far spazio a undici mamme e bambini in fuga dall’Ucraina.

Il “sì” di Maria tutti gli altri “sì” li trascina via

“È lo spirito scalabriniano, l’amore per il rifugiato e il migrante ce l’abbiamo dentro”, sottolinea suor Anna Farronato, una vivacità di spirito invidiabile, a dispetto del deambulatore che ne rallenta il cammino. La incontriamo con suor Fiorentina Moro, suor Ofelia Primon e suor Celina Petrone nella casa madre di piazzetta San Savino, dove si sono trasferite il 12 marzo. Da novizie, negli anni Cinquanta, si sono formate a Piacenza. Per un curioso gioco della Provvidenza, ora sono tornate alla base (una quinta consorella, suor Iolanda Zampiello, il giorno dell’intervista era a Bologna per controlli).

Di valigie, nella vita, ne hanno fatte e disfatte parecchie. Non si sono tirate indietro neppure stavolta. “Il nostro sì è legato a quello di Maria, che tutti gli altri sì se li trascina via”, scherza suor Fiorentina, 88 anni, suora da 70. La sua prima destinazione, appena pronunciati i voti, è stata la Lorena francese dove gli italiani lavoravano nelle miniere e negli altiforni. Le famiglie ancora non c'erano, così le suore si preoccupavano di preparare i pasti per gli emigrati nelle cantine. "Erano tutte nere per il fumo. Il sacerdote ci diceva: se resistete a questa missione, allora potete andare dappertutto". Lei non aveva mai preso un treno in vita sua. Era stato il papà ad affidarla alle scalabriniane di Bassano del Grappa.“Era il dopoguerra, c’era una povertà terribile. Pensa che non ho mai avuto una bambola quando ero bambina”.

"Se ci chiedono di partire, noi siamo pronte"

Le consorelle annuiscono. “Per questo, appena abbiamo visto in tv le immagini della guerra, ci siamo dette: se ci sarà chiesto di partire, noi siamo pronte”, le fa eco suor Anna. Da ragazzina voleva andare in Birmania, dove due zii sacerdoti, fratelli del papà, sono morti martiri, uno decapitato, l’altro per la febbre gialla contratta andando ad incontrare le persone. “Volevo prendere il loro posto, ma il sacerdote che mi seguiva diceva che non era adatta". A 17 anni a Bassano del Grappa, dove lavorava, conosce le scalabriniane. "Avevo già dentro il desiderio di farmi suora, il loro carisma mi ha conquistata. Ho lavorato per 25 anni a Parigi, con i malati, e poi sono stata in Portogallo, dove andavo a visitare le famiglie nelle case, seguendo in particolare sempre gli anziani e i malati". Suor Anna era a Casaliggio da sei anni. "Stare ferme, dopo una vita missionaria attiva, è difficile. Però vivo questa stagione della mia esistenza come un'occasione per prendermi cura della dimensione spirituale. La notte magari sono sveglia, così prego per le necessità che incontriamo".

"Offriamo quello che possiamo"
“Adesso offriamo quel che possiamo. Il nostro posto è ciò che potevamo dare”, riflette suor Ofelia, una vita in mezzo ai bambini degli emigrati, tra l’Italia e la Svizzera. "La mia vocazione è nata dalla mia mamma: aveva il desiderio di una figlia suora. La scelta però - sorride - è stata mia. Lavoravo al missionario degli scalabriniani di Bassano, ai tempi aveva tantissimi seminaristi. Lì ho conosciuto le missionarie. A 23 anni sono partita". Suor Ofelia è stata, in diversi momenti, nel Comasco, a Presina, a Padova, in Svizzera, tra scuola e parrocchia. "Non seguivamo solo i bimbi degli italiani, ma tutti. Li accoglievamo già alle 5 e mezza del mattino, fino alle sei di sera".

"Non vediamo l'ora di incontrarli"
“Casaliggio è un’oasi. È tutto nuovo, la cucina aveva appena un mese. Ma questo esodo non può non toccarci: ora non vediamo l’ora di incontrarli”, ribadisce suor Celina, originaria della provincia di Benevento. Da piccola, per via della meningite, l’avevano data per spacciata. Mamma e papà hanno pregato Sant’Antonio: se fosse guarita, le avrebbero confezionato un saio francescano. “Sono stata a letto tanto tempo. Quando, a 8 anni, sono uscita per la prima volta, un amico di mio fratello, vedendomi col saio, ha esclamato: «arriva la suora!». Lì è scattato qualcosa: sì, mi farò suora". La sua grande prova è la morte del papà, in un incidente stradale, mentre stava per rientrare dall'Argentina. "Era emigrato per garantirci una vita migliore. Avrebbe voluto lo seguissimo, ma io mi ero messa in testa che in Argentina non c'erano suore e che quindi non avrei potuto seguire la mia vocazione. Mi sentivo in colpa, se fossimo partiti noi forse - dicevo - sarebbe ancora vivo. La sua morte ha messo a dura prova la mia fede. Per tanto tempo ho faticato, recitando il Padre nostro, a dire la frase «sia fatta la tua volontà»". Suor Celina ha lavorato in Francia, Albania, Germania,  Svizzera. L'ultima esperienza, quella con i migranti arrivati con i barconi. "Ho visto sulla loro pelle i segni delle torture. Non lo scorderò mai”.

Barbara Sartori

Sul primo piano dell'edizione di questa settimana, altre storie di chi sta accogliendo, nella rete ecclesiale coordinata dalla Caritas diocesana, le persone in fuga dalla guerra.

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Pubblicato il 31 marzo 2022

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