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«Il Sinodo dei giovani non è finito»

Intervista a Letizia Bricchi, che ha partecipato come delegata dell’Acisjf all’11° International Youth Forum

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Ha guardato con curiosità i pianeti che ha tatuato sull’avambraccio sinistro, un’idea – per lei che è laureata in Scienze naturali e da sempre è appassionata di questioni ambientali – nata leggendo l’enciclica Laudato Si’.
C’era anche la piacentina Letizia Bricchi all’udienza con papa Francesco che ha concluso l’undicesimo Forum Internazionale dei Giovani. L’evento, dal titolo “Giovani in azione in una Chiesa Sinodale”, si è svolto dal 19 al 22 giugno a Sassone di Ciampino, tappa di quel percorso di ascolto che è stato il Sinodo sui giovani e la fede e che ora si vuole continuare.
Organizzato dal Dicastero Laici, famiglia e vita, ha cercato di creare una rete di giovani dei vari Paesi, raccogliendo testimonianze ed esperienze del cammino sinodale e degli spunti che emergono dalla “Christus Vivit”, l’Esortazione apostolica indirizzata dal Papa ai giovani al termine del Sinodo.

bricchi4Lasciata decantare l’emozione di un’esperienza intensa, abbiamo intervistato Letizia – che è presidente provinciale del Centro Italiano Femminile – sull’eredità e gli indirizzi emersi dal Forum.

Com’è nata la tua partecipazione allo Forum Internazionale dei Giovani?
Ho partecipazione come delegata di ACISJF (Associazione Cattolica Internazionale Al Servizio Della Giovane) in quanto sono volontaria del Comitato ACISJF – Protezione della Giovane di Piacenza.
Nel comitato piacentino mi occupo di gestire il profilo Facebook dell’associazione ed in generale della comunicazione on-line. Quando posso, aiuto anche le donne migranti nella cura dei loro bambini.
Non sono sicuramente sola: diverse amiche e conoscenti fanno volontariato alla Protezione della Giovane. Siamo un bel gruppo.

Da Piacenza a un Forum internazionale: un bel salto...
Hanno partecipato alle lezioni frontali ed ai lavori di gruppo del Forum 250 tra ragazzi e ragazze provenienti da circa 100 Paesi.
È stato arricchente soprattutto confrontarmi con coetanei di altre culture: ero l’unica italiana in un gruppo di lavoro di anglofoni provenienti da Ghana, Taiwan, Hon Kong, Timor Est, Federazione Russa, Malta, Camerun, Lituania, Siria, Georgia, Indonesia.

L’obiettivo del Forum secondo te è stato realizzato?
Il Forum si proponeva di continuare il percorso del Sinodo, valutandone la ricezione nelle Chiese locali e cercando strade di applicazione e di testimonianza. Secondo me sono obiettivi portati a termine.
È dai giovani che deve partire il rinnovamento della Chiesa, perché siamo assi portanti di essa.
La Chiesa, per dirsi davvero universale, deve essere aperta al mondo non chiusa in sé stessa. È l’importanza di questo Forum.
È emersa anche la necessità di uscire da noi stessi, di andare oltre il nostro piccolo mondo: capisco chi sono e divento me stesso se esco da me stesso.
Più volte è stata ripresa l’immagine dell’uscita da una scatola: “get out of the box”, esci dalla scatola, è stato il motto del mio gruppo di lavoro.

Quali sono le domande che i giovani hanno portato in assemblea?
I giovani chiedono coerenza e fermezza da parte della Chiesa nell’affrontare gli abusi, dell’inclusione delle donne e delle persone omosessuali, nel parlare del cambiamento climatico, dell’accoglienza dei migranti.
Sono state espresse criticità e voglia di cambiamento, di aggiornamento delle posizioni della Chiesa, di accoglienza del dubbio, si è chiesto di dare valore all’ascolto.
Non serve predicare con le parole ma con l’esperienza: non bisogna predicare per essere – ci è stato ricordato – ma essere per predicare.
La “Christus Vivit” inspira noi giovani ad essere esempio per altri coetanei, ma anche gli adulti ad essere esempio per noi. I giovani hanno bisogno di adulti che diano testimonianza, coerenti e credibili.
Il vero accompagnatore è quello che sa farsi da parte quando il giovane è fiorito. Il vero adulto è generativo.

Sono uscite indicazioni o proposte particolari da vivere poi nelle diocesi?
Dal punto di vista generale posso dire che la richiesta da parte di molti ragazzi da diverse parti del mondo è stata che la Chiesa non lavori per i giovani ma lavori con i giovani.
Non si devono creare spazi preferenziali o quote: i giovani devono poter parlare e dire la loro voce su tutti i temi importanti per la comunità.
Come proposta operativa è stata suggerita la creazione di “commissioni” pastorali di giovani a livello diocesano e parrocchiale che possano discutere di attualità sul territorio.

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Cosa porti di questa esperienza nella tua associazione?
L’invito ad essere “di mente aperta”.
Nella casa della nostra associazione a Piacenza noi accogliamo donne di tutte le religioni, donne migranti.
L'ispirazione mi viene dal passo n. 93 di Christus Vivit: «I giovani che migrano sperimentano la separazione dal proprio contesto di origine e spesso anche uno sradicamento culturale e religioso. La frattura riguarda anche le comunità di origine, che perdono gli elementi più vigorosi e intraprendenti, e le famiglie, in particolare quando migra uno o entrambi i genitori, lasciando i figli nel Paese di origine. La Chiesa ha un ruolo importante come riferimento per i giovani di queste famiglie spezzate. Ma quelle dei migranti sono anche storie di incontro tra persone e tra culture: per le comunità e le società in cui arrivano sono una opportunità di arricchimento e di sviluppo umano integrale di tutti. Le iniziative di accoglienza che fanno riferimento alla Chiesa hanno un ruolo importante da questo punto di vista, e possono rivitalizzare le comunità capaci di realizzarle».

L'incontro con altre culture ti permette di migliorarti: di aprire la mente appunto.
Queste ragazze migranti sono mie coetanee o ragazze più giovani di me che sono state stuprate, sono state ridotte in schiavitù, sono state vittima di tratta. Il contatto con loro può cambiarmi: mi permette di ridimensionare i miei problemi.
Il volontariato in Acisjf ha messo in luce anche le mie debolezze. Questa riflessione mi porta a continuare a impegnarmi nel volontariato in associazione: soprattutto con i bambini, figli di queste donne migranti, per rendere la loro vita più serena.
Per aiutarli a vivere la loro infanzia come gli altri bambini.

— L’incontro si è concluso con l’udienza dal Papa: che mandato vi ha lasciato?
L’udienza con il Papa è stata emozionante, perché lui mi è parso un uomo normale, come tutti noi.
Il Papa ci ha ricordato che il Sinodo non è un documento finale; è un percorso e noi giovani siamo il Sinodo con le nostre vite. Ha voluto, dopo un breve intervento, parlarci uno per uno.
Gli ho spiegato la mission di accoglienza delle giovani donne che porta avanti ACISJF. Il Papa ha anche apprezzato i miei tatuaggi, ispirati alla enciclica Laudato Si’.

Da questa esperienza porto con me una crescita umana e spirituale non indifferente, seppur inaspettata. Penso che per dare avvio al cambiamento, in qualsiasi ambito della nostra vita, che sia la famiglia, il lavoro, lo sport o l’associazionismo, bisogna agire pensando di lasciare il mondo migliore di come lo abbiamo trovato, senza preoccuparsi del successo o del denaro, e mettere a frutto tutte le nostre competenze e conoscenze per essere noi il cambiamento che vogliamo vedere nel mondo.

I tatuaggi ispirati alla Laudato Si’? Spiegaci un po’ ...
Ho tatuato sull’avambraccio sinistro i pianeti del sistema solare, la costellazione dell’Orsa minore ed una cometa.
Nell’Enciclica il Papa parla del rispetto del Creato.
L’astronomia, per me, è una scienza che insegna l’umiltà: l’umanità si scopre piccola di fronte alla grandezza dell’universo. È il mistero del divino, che si rivela attraverso il Creato.

Barbara Sartori

Pubblicato il 22 luglio 2019

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