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«Don Borea strumento di pace, faceva paura più delle armi»

boreacimitero

 

“La fede e una solidarietà senza confini furono le bussole di don Borea”. Così Salvatore Scafuto, consigliere comunale del Pd, ha ricordato la figura di don Giuseppe Borea, il sacerdote piacentino ucciso nel 1945 dai nazifascisti. Una commemorazione si è tenuta in quella che fu la parrocchia del prelato, la chiesa di Obolo di Gropparello, mentre nel capoluogo è stato ricordato nel luogo dove fu ucciso, il cimitero cittadino. “La costanza e la determinazione con cui don Borea - ha dichiarato Scafuto, tracciando i passaggi determinanti della sua vita - cercò sempre la via del dialogo, senza arretrare di fronte alle minacce di ritorsione delle gerarchie fasciste, che mal tolleravano il suo impegno sociale, gli permisero di portare avanti progetti di fondamentale importanza per la sua gente: dall’attivazione della linea elettrica al percorso educativo in oratorio per i più giovani, cui trasmise i valori e gli insegnamenti dell’Azione Cattolica. Questo giovane sacerdote di montagna, così presente e attento ai bisogni della sua comunità, di cui condivise anche le difficoltà e gli stenti, ebbe sempre a cuore gli ultimi e i sofferenti”.

“Egli fu al fianco di partigiani, militari, prigionieri, condannati all’esecuzione, senza mai fare distinzioni di parte: ciò che contava era l’umanità delle persone che avevano bisogno di aiuto, di sostegno o, semplicemente, di una parola di fede, di un gesto d’amore, di quella pietà che nel conflitto era venuta a mancare. Furono le sue mani a chiudere gli occhi alle vittime dell’eccidio del Passo dei Guselli, le sue mani strette in quelle dei genitori, figli e fratelli cui doveva portare la tragica notizia di una morte, le sue mani a ricomporre e restituire dignità ai poveri resti di tanti partigiani uccisi, celebrandone le esequie. Come Nuccia Casula, giovane studentessa originaria di Varese, uccisa sul nostro territorio durante un rastrellamento, di cui don Giuseppe raccolse la salma rimasta per qualche giorno sotto una fitta coltre di neve, per darle sepoltura nel piccolo cimitero di Obolo. Ma quella figura esile e altruista, capace di non tirarsi mai indietro laddove poteva farsi strumento di pace, faceva paura più delle armi. Quando lo arrestarono, nel gennaio del 1945, dovette subire accuse infamanti e ingiuste, fu sottoposto a un processo iniquo in cui non vennero ammessi testimoni in sua difesa, nonostante fossero numerose le persone che avrebbero voluto spendersi per proclamarne l’innocenza. Solo dopo la Liberazione, i responsabili di quelle calunnie e della sua uccisione sarebbero stati condannati, la validità del processo inficiata, le gravissime falsità nei suoi confronti smentite completamente”.

Il suo sacrificio si iscrive nel solco del contributo determinante che il mondo cattolico diede alla Resistenza, annoverando oltre 2000 caduti – di cui ben 1177 iscritti all’Azione Cattolica e alla Gioventù italiana del Movimento – e più di 2500 feriti gravi. Furono 730 i sacerdoti imprigionati o vittima di torture per non aver accettato la connivenza con ideologie violente e di sopraffazione, di cui 315 assassinati o mai più tornati dai campi di concentramento in cui vennero deportati. “La fede – ha concluso Scafuto - e una solidarietà senza confini restarono sempre la loro bussola, ad ogni passo. Così fu per don Giuseppe, quando il 9 febbraio del 1945, di fronte al muro del cimitero urbano, ebbe davanti a sé il plotone d’esecuzione. Rifiutò la sedia, non volle essere bendato. «Muoio innocente – disse – perdono di cuore coloro che mi hanno fatto del male e anche voi che state per sparare». La sua coerenza, la limpidezza d’animo, il suo straordinario esempio restano ancora oggi un faro luminoso di altissima levatura morale e civile”.

Nella foto, i presenti alla messa in suffragio di don Borea al cimitero di Piacenza.

Pubblicato l'11 febbraio 2023

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