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Tradizioni piacentine/1 - Un’agricoltura con il senso della religione

25fiore1 Angelus


— di Fausto Fiorentini —

Forse ci sono anche ragioni sociali, storiche e psicologiche: chi lavora i campi guarda spesso il cielo per vedere come si comporterà il tempo e regolare il proprio lavoro.
Forse questa la motivazione. Sta di fatto, comunque, che nel passato, anche recente, gli agricoltori piacentini hanno sempre manifestato un alto senso religioso, se si preferisce una costante attenzione al Trascendentale.
Un esempio: quando, nelle ore calde dei giorni estivi si approssimava un temporale, e le nubi avevano anche componenti biancastre, si temeva la grandine e, in questi casi, la razdura, cioè la signora che guidava la famiglia, metteva sull’aia, in forma di croce, le molle e la paletta del focolare attorno al quale si riuniva la famiglia nei giorni freddi, cioè la muiëtta e ‘l gavärd, i simboli della casa.
In altri termini era la famiglia che chiedeva la protezione del Cielo. Non si scordi che una grandinata, ieri come oggi, può distruggere un anno di lavoro.

Un altro particolare da tenere in considerazione è il quadro di sant’Antonio abate, quello del porcellino, messo in ogni stalla: a lui si chiedeva di proteggere gli animali dell’azienda.
Guai a toccarlo, credenti e non, ma nessuno ci avrebbe mai provato.

Altro particolare: nei campi, questa volta era compito del capofamiglia, veniva posta una croce fatta con piccoli rami con l’inserimento di un pezzettino di candela, la Siriöla, e di ulivo benedetto.
Anche qui veniva chiesta la protezione del cielo sul prodotto dei campi e sui lavoratori che vi passavano intere giornate.
Questo avveniva ogni anno, il 3 maggio, giorno di Santa Croce.

Si dirà: gesti scaramantici e abitudinari.
Certo, gli agricoltori non erano studiosi di teologia né di Sacra Scrittura. Andavano a messa la domenica e si comunicavano a Pasqua, magari erano anche ignoranti, detto in senso buono, su cose religiose, ma avevano innato un sentito rapporto tra l’uomo e Dio, appreso con molta umiltà dai loro genitori.
A questo si aggiunga un profondo rispetto della natura.

Una generazione narra all’altra: un’affermazione quanto mai vera nel mondo dei campi.

Pubblicato il 25 luglio 2019

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