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Il buio che interroga: la mostra Christian Zucconi

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“L’ex chiesa delle Teresiane diventa uno spazio culturale dopo che nel 1964 le religiose Carmelitane si erano trasferite nel nuovo monastero di San Lazzaro”. L’edificio sullo Stradone Farnese a Piacenza, oggi legato alla Fondazione Cerati - ha spiegato il presidente della struttura don Giuseppe Basini, vicario generale della diocesi -, ospiterà fino al 30 giugno la mostra “In attesa del buio” a cura dell’architetto Manuel Ferrari con le opere dello scultore Christian Zucconi.
“Ringrazio don Basini e  l’architetto Ferrari - ha sottolineato durante la presentazione l’artista Zucconi - per la disponibilità a promuovere e ad accogliere questa mostra che ritengo la mia mostra più bella”. La mostra è stata inaugurata alla presenza del vescovo mons. Adriano Cevolotto venerdì 5 aprile.
È visitabile al venerdì dalle 15 alle 19 e al sabato e alla domenica dalle 9 alle 12 e dalle 15 alle 19.


Anche De Longe affrescò questa chiesa
“È il 1964 - sono le parole di Ferrari - quando la comunità delle Suore Carmelitane Scalze sceglie di abbandonare questo monastero per ritirarsi in uno di nuova costruzione ai margini della città. Da allora la chiesa e le strutture annesse cadono nell’oblio, fino al parziale recupero avvenuto nel 2010 a opera del Pio Ritiro Cerati. Della chiesa sopravvive il ricordo di chi l’ha frequentata, spesso citata per la presenza dei preziosi affreschi di Robert de Longe, Giuseppe e Francesco Natali, Sebastiano Galeotti. Quando la comunità monastica scelse di spostarsi altrove spogliò la chiesa dei suoi arredi, degli altari, delle grandi pale, e si fece buio. Ma la storia non si cancella e un luogo sacro rimane tale fino a che qualcuno ne farà memoria. Quel buio ha dettato l’allestimento, un buio rotto dalle sole opere sulle quali cala un occhio di luce. La chiesa, nella penombra, è diventata madre delle opere di Christian, le custodisce con la sacralità che gli è propria, le accoglie in attesa di nuova luce. In questo spazio sospeso, ogni azione, ogni gesto evoca un’antica preghiera, quella delle litanie che le monache snocciolavano celate dietro le massicce grate di ferro a fianco dell’altar maggiore. Sembra di poterle ancora sentire”.

Opere che sono la storia di un’assenza
“Le opere - aggiunge il direttore dell’Ufficio Beni culturali della diocesi - sono la storia di un’assenza. Quella evocata dalla Madonna del 2019 che segna il periodo di svolta rispetto al periodo kenoclastico elaborando una nuova concezione di vuoto, quello da cui l’opera stessa prende forma. In attesa del buio. Quasi una profezia, di certo una provocazione. Sembra riecheggiare una domanda: l’umanità vorrà riconquistare a sé la speranza?”.
“Conosco Christian da molti anni. Ho sempre apprezzato - ha aggiunto - di lui la franchezza del porsi, che si traduce nell’onestà delle sue opere. Scolpisce ciò che sente, ciò che sogna, scolpisce quell’intima sfera degli affetti che lo ha accompagnato lungo la vita. Un uomo lontano da qualsiasi forma di compromesso o accomodamento, attento a non inclinare quel mondo di valori per lui fondanti e generativi che talvolta l’esistenza può deprimere. Questo gli è possibile perché il suo lavoro ha radici primitive, in quel sapere artigianale maturato nella bottega del maestro Perotti, e poi nel laboratorio Corsanini di Carrara. Un sapere che si è fatto via via sempre più raffinato dentro una ricerca continua che denota una costante maturazione dell’artista ma ancor prima dell’uomo. Quel bisogno di fondare la sua arte nella tradizione ritorna nella scelta dei miti classici e cristiani, ben consapevole di quanto queste siano le basi della cultura e del pensiero europeo, dal quale dobbiamo ogni volta ripartire per generare nuove narrazioni incarnate nella tradizione.

L’uso del travertino persiano
“A tutto questo Christian ci ha abituato, prendendo avvio da quel materiale, sempre lo stesso e sempre diverso, che è il travertino persiano. L’unico in grado di moltiplicare in virtù delle sue concrezioni, della sua grana e delle sue colorazioni, i segni che l’artista incide sul blocco, declinandoli in infinite varianti. In questo modo rimane vivo per chi guarda, il senso di disorientamento, dando una scultura che, come sa fare la vera arte, diventa capace di porre i grandi interrogativi esistenziali. Percorrere questa mostra nella penombra di un luogo mistico, accompagnati da un sussulto di litanie, avvicinare le opere una a una per poi allontanarci e riabbracciarle con lo sguardo nell’insieme, è in se un’esperienza trascendente. Appaiono ai nostri occhi figure la cui misura è sempre la medesima, il corpo della compagna Greta di Lorenzo, che ha posato per dar forma a modelli in gesso che servono all’artista per restituire naturale plastica anche alle pose ove gli effetti gravitazionali si fanno più evidenti”.
“Se del periodo kenoclastico e di quello Leviatano rimangono impressi nella mente i segni delle cuciture dei blocchi distrutti e poi ricomposti, della nuova stagione di opere colpisce la capacità di svuotare il blocco restituendo lame di marmo di uno spessore impensabile. Un virtuosismo tecnico che consente a Christian di indagare quel vuoto che non è solo fisico ma anzitutto valoriale, un vuoto esistenziale che l’artista avverte come «incolmabile assenza»”.

Un nuovo stile per Zucconi
“A fattor comune di questo nuovo corpus di opere - è l’analisi di Ferrari - è la capacità di far convivere l’immobile marmo, materiale non dotato di capacità resistente alla flessione, con esili strutture di metallo intorno alle quali le sculture possono ruotare quasi fossero sospese nell’aria. Ancora una contraddizione che stupisce chi guarda, e affascina per la ricerca di quel labile equilibrio che sembra potersi rompere in ogni momento a dire il senso di fragilità dell’esistenza e del tempo che viviamo. Due sibille quella del mattino e quella della sera, ci raccontano dello scorrere incessante del tempo. Un tempo propizio quello della sibilla del mattino, un kairòs, un tempo giusto e opportuno, quello del qui e ora. La figura accoccolata pare prendersi cura di se, ridestandosi dolcemente dal sonno, in atto del proteggersi dalla giornata che la attende. All’opposto la sibilla della sera, sembra voler rappresentare un tempo che scorre inesorabile divorando l’uomo, la giornata è finita. Ciò che al mattino si è destato ora scende, quasi precipitando. Ogni crepuscolo sembra ricordarci la caducità della vita, richiamarci al fine ultimo delle cose, quasi da monito a chi guarda”.

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Nella foto, lo scultore Zucconi mente realizza una sua opera.



La Madonna del sonno
“Una fragilità esistenziale ancor meglio denunciata dalla Madonna del sonno. È l’opera ispirata dalla pandemia che ha generato il più profondo smarrimento dell’occidente dopo l’olocausto. Tutti abbiamo percepito il senso di fragilità dell’umanità, disarmata di fronte ad un nemico invisibile, sguarniti di armi per combatterlo. Ci siamo tutti sentiti come foglie secche al vento. Il corpo è coricato, sfigurato, naturalizzato. Pare voler ritrovare la sua condizione primitiva, lasciarsi cullare da una corrente che evoca quell’acqua da cui tutto ha inizio e tutto finisce. Ancora una volta sorprende il modo di plasmare la materia al punto da restituire lame di marmo così sottili che paiono potersi spezzare in ogni istante”.

Opere che parlano di fragilità e di amore
“Le foglie tornano in Canto delle foglie, l’ultima delle opere di Zucconi ispirata alla Dafne berniniana. La metamorfosi qui sta per compiersi ma l’esito non è scontato. La salvezza è cercata dalle mani che sembrano volersi aggrappare a un cielo pietoso, ma il corpo invece di essere trasportato da un moto ascendente sembra piuttosto scivolare verso il basso. Sembra ripiegarsi nel dio-fiume Peneo, quel padre amorevole che ha cercato di difenderla da Apollo, per trovare in esso la consolazione di un amore vero. Il turbamento pare trovare quiete posando lo sguardo nel più bello degli abbracci, quello di Paolo e Francesca in Canto del vento.  Osservando l’opera siamo richiamati ai versi danteschi che vivono della contraddizione tra precetto religioso e forza travolgente dell'amore espressa in forma così alta e rarefatta. Ma qui accade qualcosa di inatteso. I corpi sono immobili, non sballonzolati ma violentati dal vento. Il corpo di Francesca è lacerato da un vortice impetuoso dal quale pare voler proteggere l’amato. Nella sofferenza fisica il suo cuore trova pace, il suo volto è ricurvo e dolcemente rassegnato al suo eterno destino: è la pace di chi vive nell’amore. Se fino a questo momento le opere di Christian ci hanno parlato di vuoto, di dolore, di sofferenza e di fragilità, in Canto del Vento domina la dolcezza. L’amore vince la morte. Il buio delle tenebre è rotto dalla speranza di vita vera”.

Nella foto, una delle opere di Zucconi esposta nella chiesa delle Teresiane.

Pubblicato il 6 aprile 2024

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