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Staropoli a Cives: «Per creare comunità bisogna coinvolgere tutta la popolazione»

Anna Staropoli

“Il contesto in cui viviamo ci porta a situazioni estreme, ma all’interno di questo stesso mondo ci sono energie positive. La nostra capacità dev’essere intercettarle, vedere quelle luci che nel buio provano a cambiare narrativa”. I poveri e l’ambiente, due temi di stretta attualità nell’agenda di papa Francesco: da questi bisogna partire per essere cittadini responsabili. Ne ha parlato Anna Staropoli, sociologa dell’Istituto di formazione politica “Pedro Arrupe” di Palermo e docente alla Pontificia facoltà teologica di Sicilia “San Giovanni Evangelista”, ospite al corso di formazione “Cives” il 15 novembre.

Riconoscere “ciò che inferno non è”

Per non soffrire l’inferno dei viventi c’è bisogno di riconoscere chi e cosa, in mezzo alle “fiamme”, non è inferno. E farlo durare, dargli spazio. Dalle “Città invisibili” di Calvino, Staropoli trae lo spunto per ribadire la necessità di valorizzare il buono che si cela nell’incertezza. “Solo quando sentiamo una «inquietudine etica» ci mettiamo in viaggio. Non siamo noi a convocare la realtà e a cercare di comprendere come attraversarla, ma è il mondo, la Chiesa, le diverse parti sociali che in questo momento abitano il nostro sistema mondo che ci convocano”. Il “pungiglione etico”, come lo definisce papa Francesco nell’esortazione apostolica “Laudate Deum”, è la molla che spinge a guardare oltre in un momento che “segna un cambiamento d’epoca. Non è possibile attraversare la complessità se non con un approccio complesso”.

Chi danneggia la Terra violenta anche la società

“Papa Francesco – dice Staropoli – ci invita ad ascoltare il grido dei poveri e della Terra. È impossibile pensare di cambiare narrativa soltanto affrontando i problemi sociali senza pensare a quelli ecologici. Abbiamo visto come questo approccio poliedrico è necessario. Nelle zone del ragusano, in Sicilia, chi esercita violenza contro la Terra, chi ha cancellato le dune sabbiose attraverso serre che stanno sfruttando il terreno, è la stessa mafia che sfrutta le giovani donne rumene nelle serre facendole lavorare in luoghi lontani dalle città, nell’invisibilità delle campagne, e sfruttandole sessualmente. Chi offende la dignità dei poveri e chi offende la dignità della Terra è la stessa persona”.

Immergersi nei problemi

Per sentire il “pungiglione etico” dobbiamo “stare dentro i problemi e toccarli – avverte la sociologa –. Per troppo tempo ci siamo affezionati a un pensiero solo astratto, ma questo ci ha fatto perdere qualcosa. Adesso il tempo per la Chiesa, per l’università, per chi vuole fare cittadinanza in modo responsabile, è quello di entrare nella crisi”. Il pensiero astratto ha generato “un linguaggio esclusivamente razionale, che ha finito per considerare le persone come numeri e ha preso le distanze attraverso la costruzione di categorie interpretative, una per tutte la parola «migranti»: sappiamo che chi attraversa il Mediterraneo viene da Paesi completamente diversi. Un conto è essere bengalesi, un conto è essere nigeriani, la parola «migrante» non rappresenta nessuno. Oggi viviamo in contesti ibridi e interculturali, sappiamo che il Mediterraneo non è soltanto un mare, sono le nostre città. La contaminazione culturale è una ricchezza. Dietro alle categorie noi abbiamo racchiuso dei mondi e abbiamo finito per non comprendere più”.

Le città come portatrici di pace

“Giorgio La Pira, storico sindaco di Firenze – prosegue Staropoli –, pensò che la pace potesse costruirsi a partire dalla città e non dallo Stato: per questo convocò nel capoluogo toscano le città del Mediterraneo per intraprendere dialoghi di pace. Per riprendere in mano il senso dello stare al mondo è necessario pensare anche le nostre città come capaci di anima collettiva. La Pira ci invita a vedere ogni città come una luce e una bellezza destinata a illuminare, una vita propria. Le città hanno una loro anima e un loro destino, non sono cumuli occasionali di pietra. Sentiamoci in viaggio e prendiamoci tutta l’audacia e il coraggio che il viaggio ci richiede. L’invito che rivolgo è a tornare a un pensiero immersivo che attraversi le strade. La Chiesa è il popolo di Dio che sta nelle strade”.

Preferiamo risposte facili all’inquietudine

Non dobbiamo avere paura a sentirci inquieti. “Essere insoddisfatti è essere uomini”, ha detto papa Francesco alla Gmg a Lisbona. “Per troppo tempo la Chiesa si è imborghesita – avverte la sociologa – così come la politica, gli intellettuali. «Al posto delle domande che lacerano, preferiamo le risposte facili che anestetizzano». Oggi si sente il bisogno di fare un sinodo per creare un momento di ascolto, discernimento, scelta. Bisogna raccogliere tutto per farlo passare al setaccio, approfondire e scegliere. È il momento dell’audacia. Nella Laudate Deum – prosegue – il pontefice affronta un tema fortemente laico ma che non può non coinvolgerci come uomini e donne: ci invita a considerare la natura non solo come una cornice ma come luogo stesso in cui siamo compenetrati. Il «pungiglione etico» della Cop28 di Dubai entra anche a interrogare la Chiesa nel desiderio di accelerare la transizione energetica con impegni efficaci che possono essere monitorati in modo permanente”.

Valorizzare la diversità

Cosa fare? “Innanzitutto, proviamo a generare comunità – dice – che siano «poliedri»: ogni faccia-persona è diversa, pur appartenendo alla stessa realtà, e va conosciuta. Comunità in cui non si può trascendere dai talenti e dai carismi di ogni singolo. Il tempo delle élite è finito. Oggi dobbiamo formare a una leadership diffusa scommettendo sull’intelligenza collettiva della gente comune. Per questo mi sono occupata di formazione politica delle donne delle periferie e dei giovani dei quartieri a rischio: perché o una città cresce in tutte le sue parti o è difficile che poi riesca a fare il cambio. Mettiamo insieme giovani universitari, nuovi arrivati da altri Paesi, adulti e abitanti dei quartieri della media borghesia e del centro storico. Usciamo dai mondi ghettizzati nei quali spesso viviamo tra simili e incontriamo la diversità. In questo shock culturale benefico è possibile trovare quell’approccio di biodiversità che aiuta a dare più equilibrio al sistema dentro cui viviamo e a trovare nuove strade. Chi si occupa di formare la cittadinanza attiva ha il compito di connettere le intelligenze e formarne una collettiva. La diversità porta anche conflitti, momenti in cui bisogna attraversare la dialettica. Ma se non c’è conflitto non c’è vita. Se lo si nega, rischia di andare oltre; se non lo si attraversa, rischia di diventare violenza”.

Francesco Petronzio

Nella foto, Anna Staropoli.

Pubblicato il 20 novembre 2023

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