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«Pluralismo», «inclusione», «umanità», il contributo cattolico alla lotta di Liberazione

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Il 25 aprile è e deve essere la festa di tutto il popolo italiano per la liberazione del Paese dall'oppressore nazifascista e l'avvio della stagione della democrazia; indipendentemente da colore politico, condizione sociale e censo. Lo ha ricordato nel migliore dei modi l'appuntamento dello scorso giovedì 20 aprile su “La partecipazione dei cattolici alla guerra di liberazione 1943-1945 nel territorio della diocesi di Piacenza”, nell'affollata sala del Seminario vescovile.
“Il fascismo nasce infatti negli anni 20' dall'incapacità delle forze politiche di restare unite per portare portare avanti il Paese – ha sottolineato Mario Spezia, moderatore del partecipato incontro a più voci – : da questa importante lezione nasce la Resistenza per la Liberazione, che ha unito tutti, perché di questo il Paese aveva bisogno in quel momento; le divisioni sono sopraggiunte solo dopo l'avvento della democrazia.
“In tale contesto l'apporto dei cattolici è stato senza dubbio determinante fin dagli inizi del fascismo, con la sua opera di contro-educazione e formazione giovanile rispetto agli oscurantismi del pensiero dittatoriale. E anche più tardi, durante l'impegno resistenziale, quella dei cattolici fu spesso, prima di tutto, una lotta piena di fede, servizio e umanità: proprio per questo va ricordata”.
È in questo preliminare ed efficace quadro di sintesi tracciato da Spezia che si inserisce la serata corale organizzata in seminario, con la pluralità dei suoi protagonisti: per cominciare Enrico Corti dell’Azione Cattolica e il presidente provinciale dell’Anpi Romano Repetti; poi il partigiano Pino Fumi, attore diretto della Resistenza; fino alle studiose Leili Kalamian e Celestina Viciguerra e a Giuseppe Borea, nipote del sacerdote impegnato nella lotta di Liberazione e trucidato dai nazifascisti il 9 febbraio 1945.

La testimonianza di Pino Fumi
Spazio quindi alla testimonianza diretta di Fumi, classe 1925, ancora lucidissimo nei ricordi e nel racconto: ”Non avevo ancora 18 anni – ha spiegato – quando all'inizio del' 43 fui reclutato con altri giovani a partecipare ad un corso di addestramento militare, in attesa di mandarci al fronte. Nel nostro gruppo dovevamo esercitarci a fare i motociclisti e il primo di luglio ci portarono in un accampamento a Pesaro: facevamo piccole riparazioni meccaniche. Poi una mattina non suonò la tromba per l'inizio delle esercitazioni, era tutto improvvisamente vuoto. Abbiamo saputo della caduta del Duce e siamo tornati a Piacenza, gioiosi al pensiero che forse la guerra sarebbe finita”.
“Venne invece settembre e la nuova formazione del governo Mussolini: in via Alberoni, dove abitavo, ho assistito alla formazione di colonne di militari rastrellati in caserma, arrestati e deportati in Germania. Come molti altri cattolici ero anche ben informato sul precipitare degli avvenimenti e così decisi, insieme alla maggior parte dei miei compagni, di non presentarmi alla chiamata militare, cominciando a nascondermi. Passavo le mie giornate in oratorio, mi rifugiai prima nella cripta di San Savino, poi a San Rocco e poi di nuovo in canonica a Piacenza, scampando più volte ai fascisti anche grazie al prezioso aiuto di Don Bruschi: il quale una mattina fu condotto clandestinamente in Svizzera per sfuggire all'arresto. Le minacce di rappresaglie verso la mia famiglia mi facevano paura, così una un giorno mi presentai al Distretto: non finì in Germania solo perché mi ammalai, ma una volta guarito decisi di scappare. Il parroco di San Savino mi aiutò a raggiungere Rivergaro, poi Pigazzano: per sei mesi feci parte della brigata del comandante Paolo, dopo la sua morte cambiai formazione. Facevo tutti i servizi necessari insieme ai miei compagni, gli attacchi fascisti erano sempre dietro l'angolo, con il rischio di morti e feriti”.

Il ruolo dei cattolici

Interessante poi il percorso di studi di Viciguerra, un lavoro nato quasi per caso e un po' in sordina, con una tesi di laurea sul ruolo dei cattolici e del clero nella lotta di Liberazione, e diventato un libro che rappresenta un importante punto di riferimento sul tema.
“Nessuno dei miei famigliari era stato direttamente coinvolto nell'esperienza resistenziale – ha raccontato la ricercatrice –, anche per questo il professore di università mi ritenne idonea a scrivere una tesi sull'argomento con sufficiente discanto”.
Il libro di Viciguerra affonda le sue radici nel periodo precedente la Resistenza, facendo emergere figure di grande rilievo tra le fila delle associazioni cattoliche già durante il fascismo: Francesco Daveri ne è un esempio di primo piano, destinato a lasciare un'impronta nella storia piacentina. Poi arrivano l'8 settembre' 43 con la lotta per la Liberazione e l'aprile '45.
“Un panorama estremamente variegato”, così l'autrice definisce l'apporto dei cattolici nella Resistenza, plurale nelle motivazioni e nelle modalità di partecipazione alla lotta: come ben si vede dalla coralità delle interviste a sacerdoti e laicato, con la diffusa volontà di portare umanità dove la violenza era protagonista.
“Don Bruschi diede un contributo fondamentale alla lotta di Liberazione, generalmente comunque la coscienza più profonda del momento storico in corso proveniva dalle associazioni, per il dialogo continuo tra sacerdoti e laicato. Le differenze politiche tra le varie formazioni si accentuarono poi nel'44, anche in relazione alla visione del dopoguerra”.

La pietra d'inciampo a Daveri

Dopo Viciguerra ha avuto voce Kalamian, con il suo libro dedicato a Francesco Daveri. “L'avvocato  di Dio, così lo chiama nel titolo, che difendeva i poveri senza farsi pagare: uomo dell'Azione Cattolica, capo del Comitato di Liberazione Nazionale di Piacenza, primo segretario della Democrazia Cristiana che anche a Piacenza si era costituita in forma clandestina all'inizio del '42.
Convinto antifascista e abilmente capace di intessere collaborazioni – ha detto l'insegnante e studiosa –, il suo fu uno straordinario esempio di Resistenza inclusiva, e prima di tutto di fede cristiana. Fino a prima di morire nel campo di concentramento di Gusen di Mathausen, il 13 aprile del 1945: anche lì, nella sua baracca, teneva gruppi di preghiera”.
“Un uomo come Daveri – conclude l'autrice – avrebbe meritato di essere protagonista della Ricostruzione italiana nella Costituente”.
Non a caso, la pietra d'inciampo posata sabato 22 aprile in memoria dell'avvocato in via Garibaldi 83, vuole ricordare il ruolo primogenito suo e di Piacenza nella lotta di liberazione nazionale.

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Nella foto di Del Papa la pietra d'inciampo a ricordo di Daveri posizionata sabato 21 in via Garibaldi 83 a Piacenza

123 i sacerdoti uccisi nella seconda guerra mondiale

A Giuseppe Borea è infine toccato mettere in luce la figura dello zio sacerdote, fucilato dai fascisti ad appena 35 anni.
“Sono 123 in tutto gli ecclesiastici uccisi durante la seconda guerra mondiale in Emilia Romagna; specie durante la Resistenza – ha sottolineato – e vanno ricordati tutti, quello di don Borea non è un caso unico. Mio zio è stato un punto di riferimento per gli altri parroci, ha pagato con la vita la sua vicinanza alla Resistenza, ma non lo si chiami partigiano: don Borea era il sacerdote di tutti, ha dato aiuto e conforto anche a fascisti e tedeschi; con l'unica colpa di non aver mai abbandonato il proprio gregge”.

Micaela Ghisoni

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Nelle foto, i relatori dell'incontro in Seminario e il pubblico presente.

Pubblicato il 23 aprile 2023

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