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Mondialità consapevole, Giordana: «Non si può essere neutrali di fronte a una guerra»

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A cosa serve la guerra? “Serve soltanto a vincer la gara dell’inutilità”. Sulle note di Edoardo Bennato, scelte dagli studenti dell’Università Cattolica di Piacenza, si è aperto il discorso di Emanuele Giordana, ospite il 14 aprile del Laboratorio di mondialità consapevole. Direttore dell’Atlante delle guerre, Giordana, che già era intervenuto al corso di formazione Cives, sempre in Cattolica, il 3 febbraio, preferisce seguire da vicino le situazioni che racconta, vivendo tra le persone colpite da conflitti. Partendo dal tema della serata, “Le guerre che non si vedono”, il giornalista ha spiegato che certe guerre vengono dimenticate “dai cittadini, incolpevoli, che non ricevono più notizie”. Meno incolpevoli, secondo Giordana, sono i mezzi di informazione che “conoscono le guerre ma non ne parlano”. “La stampa italiana è sempre stata avara rispetto a ciò che succede in altre parti del mondo – ha detto –. Per cui, la sensazione che cittadino ha è che il mondo oggi si stia concentrando in Ucraina. Di sicuro è il conflitto più importante, ma non è il solo: altri due sono stati collocati da un centro ricerca americano (che raccoglie i dati e crea un database elencando gli episodi violenti) appena sotto quello russo-ucraino: le tensioni in Myanmar e in Siria”.

Schierati dalla parte delle vittime
L’Atlante delle guerre riconosce 31 guerre in corso nel mondo, a cui si aggiungono altre situazioni in cui è presente un conflitto latente. “I giornalisti fanno una scelta di campo – afferma – non si può essere imparziali e neutrali. Noi dell’Atlante delle guerre scegliamo di non esserlo: stiamo dalla parte delle vittime. Nell’osservazione di un conflitto possiamo decidere di seguirlo da lontano o viverlo in prima persona, trasferendoci in un quartiere afghano: in questo caso la percezione della guerra cambia in maniera sostanziale. Seguendola dalla parte delle vittime, cambia la prospettiva della guerra, perché la si subisce: la paura diventa quella degli aerei, si è accomunati agli oppressi. Questo tipo di percezione tende a farci detestare la guerra, mentre l’altra scuola di pensiero ci fa credere che sia una soluzione”. Giordana è convinto che “non si può essere neutrali di fronte a una guerra”. Vivere in una zona di guerra vuol dire entrare nel ritmo della popolazione civile. “Sono stato a Kabul per dieci anni – racconta – e ho imparato a vedere i talebani sotto un’altra luce. L’informazione ha un problema lessicale: se Putin entra armato in Ucraina parliamo di un’invasione di un territorio sovrano. Però, quando noi (come Nato, nda) siamo andati in Afghanistan abbiamo fatto una ‘operazione di polizia internazionale’ chiamata ‘missione di pace’. Non l’abbiamo chiamata invasione, anche se a tutti gli effetti lo era”. Prescindendo dall’etica di governo, Giordana non esita a definire i talebani come “partigiani”, “perché hanno difeso legittimamente il proprio territorio invaso dallo straniero”. È una battaglia, quella del giornalista, che riguarda i termini da usare: “Un’invasione è un’invasione, chiunque sia a commetterla”.

La situazione in Myanmar
Dal febbraio 2021, riferisce Giordana, in Myanmar sono morte 30mila persone per gli sviluppi del colpo di stato. “Già solo andare in un posto basta a conoscerne la realtà. In Myanmar non c’è elettricità per 3-5 ore al giorno, in momenti variabili: questo influenza pesantemente l’attività produttiva e la vita delle persone. La protesta, partita come pacifica, è diventata armata quando i ribelli si sono alleati con alcune minoranze regionali, a cui era stata riconosciuta una semi-indipendenza dopo la fine della dominazione inglese post Seconda guerra mondiale. Ne è nato uno scontro violento: oggi la giunta militare controlla solo un terzo dei Comuni del Myanmar, un altro terzo è sotto scacco da una parte o dall’altra e l’ultimo terzo è una zona libera”.

Israele e Palestina
“Israele – dice Giordana – invade costantemente territori che non gli appartengono, fondando colonie. C’è una evidente violazione delle regole”. L’aggressività va contestualizzata: “Un conto è la difesa, l’esercizio della violenza per contenere un tentativo di reato; altra cosa è l’attacco sproporzionato giustificato come atto difensivo. Alla frontiera fra Betlemme e Gerusalemme si vedono scene disumane: persone di 70 anni vengono scaraventate a terra mentre si recano al lavoro. Non vedo nessun tentativo concreto da parte della diplomazia mondiale per porre fine alle ostilità”. E poi aggiunge: “Occorre fare una scelta di campo: vogliamo risolvere i conflitti con la guerra o con un accordo di pace? È evidente che con la guerra si ottengono solo morti, dunque si dovrebbe evitare. Ma per esserci dialogo ci devono essere stanze, luoghi di negoziazione”.

Il ruolo della Chiesa
Emanuele Giordana definisce Papa Francesco come “un faro nel buio dell’inciviltà”. “È un capo religioso che fa del suo carisma la forza di un messaggio che altri non hanno il coraggio di lanciare. Da laico – dice – benedico un papa che ha questo coraggio, così come il presidente della Cei (il card. Matteo Zuppi, nda). La Chiesa è molto cambiata, evidentemente risponde anche alla forte sensibilità che il mondo cattolico ha in Italia. La fede in Dio si trasforma in desiderio di dialogo”.

Francesco Petronzio

Nella foto, Emanuele Giordana durante il suo intervento.

Pubblicato il 15 aprile 2023

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