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Il professor Stefano Bartolini ha presentato a Cives il suo ultimo libro: "Ecologia della felicità".
Economista ed insegnante preso l’Università di Siena, ha sottolineato come gli studi sulla felicità oggi siano diffusi in tutte le scienze sociali e come attraverso tecniche quantitative sia possibile capire cosa ci rende davvero felici.

Come affrontiamo la crisi ecologica 

“Tutti ormai sono d’accordo sulla necessità di affrontare in modo rapido e determinato il problema ecologico, ma non sempre sono concordi circa le modalità con le quali risolvere la questione - dice il professor Stefano Bartolini - . Esistono fondamentalmente due correnti di pensiero, la prima che chiameremo quella dei tecno-ottimisti, che ritiene fondamentale la trasformazione energetica, passando dai combustibili fossili alle energie rinnovabili. La seconda, propria dei pessimisti, ritiene che la trasformazione energetica non sia sufficiente poiché la crescita demografica ed il consumismo accelerano comunque il degrado ambientale in modo irreversibile". "Personalmente ritengo - prosegue nel suo intervento - che entrambe le convinzioni siano sbagliate, la prima perché toppo limitata, la seconda troppo catastrofica. Nell’ultimo secolo, il reddito procapite e la crescita demografica sono esplosi, in particolare dopo la seconda guerra mondiale e con essi l’inquinamento ed il degrado ambientale, per questo è diventato necessario rallentare questa crescita, siamo sicuramente troppi, produciamo troppo e consumiamo troppo, ma ritengo anche che l’espansione demografica, escludendo i paesi africani più poveri, stia rallentata in tutto il mondo così come l’espansione economica, che sembra aver raggiunto il suo apice. Il crollo della fertilità è andato di pari passo con l’alfabetizzazione ed in particolare con l’istruzione delle donne, l’emancipazione femminile ha svincolato le giovani dal ruolo di macchine riproduttive, e dalla fine degli anni ‘70 le economie dei paesi più industrializzati hanno rallentato in modo considerevole. La transizione economica da agricola a industriale, iniziata nel dopoguerra, ha trainato una crescita dei consumi senza uguali nella storia, ma sembra oggi aver raggiunto il suo traguardo. Il compito storico della crescita economica è quello di liberare le società dalla povertà di massa ma quando i bisogni si saziano la crescita si ferma”.

Migliorare la vita delle persone

“La decelerazione della crescita economica e demografica in realtà crea un contesto favorevole all’ecologia - continua Bartolini - ma purtroppo questa decelerazione è ancora troppo lenta. Questo ovviamente è un tema politico inaccettabile perché siamo tutti cresciuti con l’idea che progresso voglia dire espansione economica, esiste un profondo radicamento culturale sull’idea che i soldi facciamo la felicità, più soldi, più felicità, senza accorgerci che una volta che le persone hanno raggiunto uno standard di vita decente tutto il resto diventa superfluo. Quando si è liberati dalla povertà, le relazioni umane e la qualità dei rapporti sociali rappresentano la vera felicità e queste sono cose che non inquinano. La gente infelice è quella che non ha relazioni sociali e la recente pandemia ha sottolineato in maniera drammatica questa realtà: non si era tristi perché non si poteva consumare ma piuttosto perché non si potevano intrattenere appaganti relazioni umane”.

Dovremmo trovare altri modi per migliorare la vita delle persone 

Le nostre città, le scuole, i posti di lavoro sono luoghi formidabili di aggregazione umana, ma purtroppo le automobili hanno occupato gran parte degli spazi comuni - conclude - le scuole sono state pensate per imparare a produrre, a competere e ad obbedire e nel mondo del lavoro è prevalsa la cultura della gara e del conflitto. La costrizione degli spazi ha reso ancora più deboli le persone più fragili come anziani e bambini, obbligati all’isolamento. Ci si è dimenticati che la socializzazione è un elemento fondamentale per la crescita. La gente reagisce al vuoto della solitudine attraverso la ricerca del successo e della ricchezza, la macchina propagandistica della pubblicità ha convinto che il possesso sia felicità e così per sostenere tutto ciò dobbiamo lavorare di più, produrre di più e sopratutto spendere di più, il consumo diventa un rifugio dal malessere interiore. Fermare questo processo significa produrre meno, consumare meno e dunque essere più sostenibili e più felici. La coesione dimezza i conflitti e le diseguaglianze sociali, la riduzione della solitudine aumenta la cooperazione e la felicità delle persone.

Stefania Micheli

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Pubblicato il 6 dicembre 2021

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