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Il 23 novembre, come ogni anno dal Concilio Vaticano II, grazie all’opera lì svolta dall’allora vescovo di Bobbio Pietro Zuccarino, in tutto il mondo cattolico è ricordato San Colombano. In tutte le lingue i libri liturgici, i messali, i breviari, fanno memoria del Santo come straordinario fondatore di monasteri e molti suoi scritti sono inclusi tra le letture del divino Ufficio. La ricorrenza è sentita tanto più a Bobbio che custodisce le sue spoglie mortali, da 1400 anni oggetto di devozione e meta di pellegrinaggio.
Ogni anno in occasione della festività si ripetono rituali ormai entrati nella tradizione, come l’accensione dei lumini lungo i loggiati di piazza Santa Fara e piazza San Colombano ove avrà luogo la sera di lunedì 22 alle 20.30 la tradizionale processione del  Transito di San Colombano, nel solco di una tradizione millenaria che ne ricorda l’ascesa al cielo alla mezzanotte fra il 22 e il 23 novembre dell’anno 615. In tutta la città risplenderanno le luminarie che, accese per l’occasione, accompagneranno al Natale.

Martedì 23 inizierà alle 8.30 con la celebrazione delle Lodi nella cripta della basilica, seguite alle ore 9 dalla messa. Alle 11 in Basilica la concelebrazione eucaristica sarà presieduta da mons. Adriano Cevolotto, vescovo della diocesi di Piacenza-Bobbio nonché Abate di San Colombano.
Alle 17.30 la concelebrazione del Vespro nella cripta della Basilica sarà seguita alle 18 dalla messa.
Don Aldo Maggi, di seguito,  ricorda la figura di San Colombano che ha saputo coniugare il riconoscimento del primato di Dio nella sua vita con l'annuncio del Vangelo.

Padre dei monaci e annunciatore del Vangelo

«O Dio che in San Colombano Abate hai congiunto in modo mirabile l’annuncio del Vangelo e l’amore per la vita monastica…»
La prima parte della preghiera di Colletta della Liturgia di San Colombano costituisce nel suo linguaggio essenziale una sintesi della vita e del ministero del Santo Monaco irlandese che ha saputo sapientemente coniugare il riconoscimento del primato di Dio nella sua vita a cui nulla anteporre e l’esigenza dell’annuncio della Parola fatta risuonare con passione nel suo pellegrinaggio per le strade d’Europa.
Colombano è anzitutto e soprattutto monaco. Egli è «l’uomo di Dio»; il Signore e solo lui è l’unico suo grande bene. Egli condivide questa chiamata radicale con altri monaci scandendo la propria giornata e anche la notte alla lode di Dio. Nella sua Regola Monachorum composta di dieci essenziali capitoli che costituiscono il programma di vita del monaco nel cammino verso la santità, egli si sofferma in modo dettagliato a definire il numero dei salmi da cantare a seconda delle stagioni e in relazione alla durata del giorno e della notte e per i “sacri giorni” del sabato e della domenica in cui il numero dei salmi viene triplicato. Oltre alla celebrazione corale delle Ore, Colombano esorta alla preghiera individuale che deve ritmare la giornata del monaco secondo la Parola del «Salvatore che ci comanda di vegliare e pregare in ogni tempo (Lc 21,36) mentre Paolo (1Ts 5,17) ci ammonisce di pregare incessantemente».
Il biografo Giona sottolinea come Colombano vivesse tempi prolungati in solitudine, ritirato in grotte vicine ai monasteri sia di Luxeuil che di Bobbio (nella spelonca di San Michele presso Coli), in prossimità della feste per coltivare maggiormente il dialogo e l’intimità personale con il Signore. Il monaco attraverso il cammino di ascesi vissuto nel monastero tende a conformarsi con il Maestro fino a dire con San Paolo, citato da Colombano: «... e non vivo più io, ma Cristo vive in me» (Gal 2,20). L’esortazione forte di Colombano “Christi simus non nostri”, siamo di Cristo non di noi stessi, esprime la consapevolezza che diviene costante impegno a vivere la piena appartenenza al Signore (cfr 1Cor 6,19-20).
Accanto alla vocazione monastica a cui Colombano sarà fedele fino alla fine, fondando ovunque monasteri che diventavano centri di irradiazione di spiritualità, di cultura e di promozione umana, anche la passione per la vita apostolica, per l’annuncio della Parola lungo il pellegrinaggio intrapreso per amore di Cristo, ha segnato profondamente la vita del santo monaco.
Giona, nella Vita Columbani attesta: «Il sistema del venerando uomo era di annunciare la Parola evangelica in ogni luogo dove si trovava».
Lo stesso Colombano nella Lettera II inviata al Sinodo dei vescovi della Gallia così afferma: «Venni pellegrino in queste terre per amore di Cristo salvatore e nostro Signore». E ancora nella Lettera IV ai suoi monaci: «Era mio desiderio di visitare quelle popolazioni e predicare il Vangelo anche a loro, ma poiché Fidolio mi parlò della loro tiepidezza ho abbandonato il mio proposito».
La Parola del Vangelo ha “trafitto” il cuore di Colombano, la sequela radicale del Maestro pellegrino per le strade della Palestina per annunciare il Regno fa ardere il suo cuore; egli non può trattenere per sé il tesoro della Parola, deve necessariamente farne dono gratuito a coloro che incontra, perché gratuitamente l’ha ricevuto.
La seconda parte della preghiera di Colletta recita: «Concedi anche a noi di cercare te sopra ogni cosa e di lavorare assiduamente per accrescere il popolo dei credenti».
Anche se noi non abbiamo ricevuto la chiamata alla vita monastica, siamo chiamati, in ragione del Battesimo, a non anteporre nulla a Dio riconosciuto come Signore della nostra vita e contemporaneamente a far risuonare, soprattutto con la testimonianza della vita, la Parola che è stata seminata nel nostro cuore.
Il Santo monaco interceda per noi e ci doni di essere “pietre vive” per l’edificazione della sua Chiesa.


Colombano Padre dell’Europa

Uno dei Padri fondatori dell’Europa, il Ministro degli Esteri francese Robert Schumann di cui sono state recentemente riconosciute le “virtù eroiche” e quindi, secondo un’espressione tradizionale, «in cammino verso gli altari», partecipando nel 1950 ad un convegno colombaniano a Luxeuil dichiarava: «San Colombano, questo irlandese illustre che lasciò la sua patria in un esilio volontario, desiderò e realizzò l’unione spirituale tra le principali nazioni europee del suo tempo. Egli è il santo Patrono di tutti coloro che si prodigano per costruire un’Europa unita».
Nel giugno del 2008 in una catechesi del mercoledì, interamente dedicata a tratteggiare la figura di Colombano, Benedetto XVI lo aveva definito: «L’irlandese più noto del primo Medioevo, uno dei padri dell’Europa… ci mostra dove stanno le radici dalle quali può rinascere questa nostra Europa… egli può essere chiamato un santo europeo».
È santo europeo, è Padre dell’Europa Colombano, al di là del riconoscimento ufficiale, non soltanto perché l’ha attraversata fisicamente, almeno quella occidentale, peregrinando per sette paesi europei, ma soprattutto perché ha contribuito notevolmente alla sua ri-evangelizzazione fecondando terre desolate e devastate dalle invasioni barbariche. Sulle ceneri dell’Impero Romano da tempo dissolto, in quella realtà in cui si perpetravano violenze e soprusi per conquistare territori ad ogni costo e con ogni mezzo, Colombano e i suoi monaci venuti dall’Irlanda avviarono processi di ricostruzione di un tessuto lacerato, convinti che l’Europa avrebbe potuto innalzarsi dalle rovine e dalle barbarie radicandosi fortemente sui valori cristiani che sono anche profondamente umanizzanti.
Nelle due delle sei Lettere che ci ha lasciato, inviate ai Papi Gregorio Magno e Bonifacio IV egli usa l’espressione «Totius Europae» rarissimamente utilizzata a quell’epoca, rivolgendo un accorato invito ai Pontefici a farsi iniziatori di un processo di rivitalizzazione di una realtà estremamente povera sia da un punto di vista religioso che culturale, stremata da continue incursioni violente. Egli era convinto che in un momento di profonda decadenza, soltanto la Chiesa poteva costituire il punto di forza per ricomporre divisioni e favore unità, senza distruggere le differenze culturali, ma integrandole in un disegno più ampio e articolato.
Da parte sua Colombano, dando vita a diversi monasteri in Francia, in Austria, a Bobbio e lasciando anche i suoi compagni che come Gallo e Sigifredo ne avrebbero fondati due in Svizzera, intendeva dare avvio a luoghi di riferimento per la fede, la cultura, la promozione dell’uomo, insegnando anche a dissodare terreni, a piantare nuove colture per favorire un lavoro che ridonasse dignità all’uomo. Ed è proprio il coniugare dignità e libertà in quell’assioma di Colombano presente nella Lettera IV «Si tollis libertatem tollis dignitatem» che costituisce il monito fondamentale per la ricostruzione di un’Europa lacerata da divisioni, sopraffazioni e violenze.
In una compagine sociale che aveva smarrito ogni punto di riferimento etico, Colombano e i suoi monaci istauravano la Penitenza privata e reiterabile come “medicina dell’anima”, in corrispondenza della colpa e della gravità del peccato. Anche se questa innovazione poteva apparire qualcosa di specifico all’interno della prassi ecclesiale, che fino ad allora aveva privilegiato una forma diversa di penitenza, in realtà essa aveva una dimensione anche “sociale” nell’educare al rispetto della dignità dell’altro, all’accoglienza e al perdono, alla possibilità di rialzarsi dalla propria condizione per intraprendere un cammino di conversione attraverso una penitenza che era sempre e comunque proposta per ricominciare un cammino di vita nuova.
Coniugando concretamente la fede profonda e l’appartenenza a Cristo con l’esigenza del rispetto della dignità e libertà a cui ogni creatura ha diritto, annunciando e a volte gridando a tutti, umili e potenti, vescovi e regnanti la conversione del cuore, la pace e la solidarietà, il santo monaco irlandese ha davvero avviato processi di riconciliazione e civilizzazione offrendo un contributo notevole per plasmare poco a poco una nuova entità socio-cultura che era l’Europa.
Occorre forse da parte di tutti rivestirci un po’ della sua passione del suo entusiasmo, della sua tenacia e determinazione nell’affrontare il pellegrinaggio della vita perché il cammino dell’Unione europea non si arresti, in un tempo delicato in cui, visioni a volte divergenti, rigurgiti di individualismo, protagonismo e sfide centrifughe deresponsabilizzanti possono rallentare un processo per il quale hanno lavorato Colombano e tanti altri a prezzo di dedizione e sacrificio e forse anche della vita stessa.

Don Aldo Maggi

Pubblicato il 17 novembre 2021

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Nella foto di Paolo Ghiano la celebrazione della messa, lo scorso anno,  nell'abbazia di San Colombano presieduta dal vescovo Cevolotto.

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