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Il '900, «il secolo del bambino»

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Il ‘900 è stato definito in tanti modi, ma c’è una definizione particolare che merita un approfondimento: è stato il secolo del bambino, in tutte le sue sfaccettature. Non solo dell’infanzia in quanto tale, ma delle infanzie, di un nuovo modo di concepire il futuro cittadino. Se ne è parlato giovedì 12 aprile nelle aule di Scienze della Formazione in Università Cattolica assieme ad un pool di esperti quali Mario Gecchele e Paola dal Toso, dell’Università di Verona, Ilaria Mattioni, Anna Debè, Elisabetta Musi e Simonetta Polenghi dell’ateneo piacentino.
“Ci interessano i bambini in carne ed ossa – ha sottolineato quest’ultima -, sapere con cosa giocano, come vivono e come vivevano, come possono essere protagonisti della storia, produttori di simboli e codici. Il passaggio che si è verificato negli ultimi anni è enorme, perché sono sempre stati considerati come qualcosa di incompiuto”. Nel corso della storia poi molti studiosi di rinomata fama si sono occupati dell’infanzia, come Erasmo da Rotterdam – spiega la professoressa -. La devozione al Bambino Gesù si consolidava in congregazioni che portavano a sviluppare un senso materno”. Una rivalutazione del bambino dal punto di vista religioso che nell’800 subisce una trasformazione, è il secolo della scolarizzazione, preludio al ‘900 dei metodi scolastici ancora oggi diffusi capillarmente a livello globale; si pensi al Metodo Montessori o la scuola di Don Milani.
Una pubblicazione in particolare cerca di sintetizzare questi passaggi; Philippe Aries in “Padri e figli nell’età moderna” analizza fonti varie per avere un quadro delle tradizioni del passato. Altra fonte considerata per il libro sono i dipinti, valido esempio per comportamenti e modi di vestire”. L’epoca più recente è quella dello studio, della sociologia. Viene compreso che i bambini sono depositari di una loro cultura specifica, gli adulti propongono giocattoli, vestiti e scrivono libri sull’infanzia, ma come sapere se effettivamente sono adatti ai bambini, se piacciono o meno? “Non sempre la cultura dei bambini coincide con la cultura per i bambini – precisa Polenghi -, in certi casi vediamo che il bambino ha prodotto degli scritti in passato, ma sappiamo anche che esistevano precettori che indirizzavano i bambini su cosa scrivere, come accaduto anche in Italia in epoca fascista”.
L’ “uomo nuovo” è stato un punto fermo di molti totalitarismi, che vedevano nei bambini il futuro, la forza nuova che nasceva per il bene comune, qualunque fosse secondo i vari Mussolini o Hitler. “In questi casi spesso l’uomo nuovo era l’uomo soldato – considera il professor Gecchele -, tutto dipende dal contenuto che si da alla definizione. Più andiamo indietro nella storia più vediamo come i bambini fossero trattati male, con l’industrializzazione la cosa è anche peggiorata. Nel 1800 si abbandonavano più di 100 mila bambini all’anno, per i motivi più disparati: per illegittimità o per povertà”.
Il Novecento è stato anche il secolo dei diritti per l’infanzia: dalla retorica si passa alla pratica. “Pio X decide di proporre la comunione ai bambini di 7 anni, cercando di renderli parte attiva della celebrazione eucaristica. Inoltre col diritto di famiglia del 1975 si considera il bambino per come può vivere il divorzio. Viene meno lo sguardo del bambino però, è quello più indifeso. Il suo bisogno affettivo non trova soddisfazione. Col 1991 in Italia si dà attuazione alla Convenzione dei diritti del fanciullo, che riconosce una serie di diritti fondamentali ancora oggi. Tuttavia c’è ancora tanto da fare, come testimoniano alcuni casi di cronaca”.

                                                                                                         Emanuele Maffi

Pubblicato il 18 aprile 2018

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