Intervista a don Giuliano Zatti. A Padova lavora per costruire rapporti tra cristiani e islamici
Dal dialogo con l’islam alla formazione dei preti e ai diaconi: sono numerosi gli ambiti del lavoro pastorale del padovano don Giuliano Zatti che il 12 febbraio ha guidato il ritiro dei preti e dei diaconi piacentini per l’inizio della Quaresima.
Don Zatti, 52 anni, è direttore dell’Istituto San Luca per la formazione dei presbiteri, delegato vescovile per il diaconato permanente, docente di teologia delle religioni e di monoteismi a Padova e responsabile del Servizio diocesano per le relazioni cristiano-islamiche.
— Don Giuliano, partiamo dall’islam. Che lavoro state facendo a Padova? Che obiettivi vi ponete?
Il lavoro si rivolge anzitutto alle comunità ecclesiali, ma anche alla scuola e alla società civile per fornire strumenti, sussidi, occasioni di incontro, di dibattito e di evangelizzazione, avvalendosi della riflessione e dell’esperienza di tanti che nel mondo della cultura, del diritto, del sociale, delle migrazioni e della carità si imbattono quotidianamente con i musulmani.
Una delle nostre priorità è stata quella di mettere assieme comunità cristiana e comunità musulmana, soprattutto nei luoghi in cui vi fosse già una presenza visibile dei musulmani, legata alla preghiera e alla socializzazione.
Proprio su questo fronte si sta impegnando il Servizio, soprattutto in provincia, creando occasioni di relazioni calde tra persone magari abituate ad incontrarsi, ma non a chiamarsi per nome, tanto meno ad ascoltarsi e a porgersi qualche domanda.
Credo comunque che anche la divulgazione semplice, fatta “dal basso” e senza clamore, costituisca già un grande servizio alla causa del dialogo interreligioso e dell’integrazione.
A Padova abbiamo la fortuna di avere un mondo di competenze che fanno capo all’Università, ma è soprattutto la comunità cristiana che dovrà esprimere in questo ambito (e in genere nel campo delle migrazioni) una cura pastorale precisa, anche se inedita.
Ampie informazioni si trovano nel sito www.padovaislam.it.
— Annunciare Cristo a un musulmano è proprio una “mission impossible”?
I tempi che viviamo hanno sicuramente esasperato situazioni, relazioni e problemi, ma non per questo deve venire meno il desiderio di “dire Gesù” con la vita e l’annuncio esplicito. Il cristianesimo ha un suo fascino presso i musulmani, dovuto alla figura stessa di Gesù, alla libertà della persona e alla pratica della carità.
Proprio su questi fronti dovremmo sentirci responsabili, senza tacere lo specifico della nostra fede e il senso delle nostre opere. L’esperienza del catecumenato nelle Chiese locali ci racconta la possibilità per un musulmano di incontrare Cristo, nonostante gravi problemi dovuti alle provenienze e alle famiglie di origine.
— Parliamo di diaconi. A Piacenza sono ormai una realtà consolidata, ma forse si fatica ancora, come in tante diocesi, a dare una fisionomia al diacono. Perché?
Il diaconato è stato ripristinato dal Vaticano II dentro un quadro ecclesiologico coerente, mentre la pastorale è evoluta in modo diverso.
La Chiesa del Vaticano II, così come la stessa riflessione sul diaconato, si trovano a fare i conti, oggi, con l’imbuto di una pratica pastorale che non ha opportunamente valorizzato la ministerialità, lasciando ancora al centro la figura del prete.
È altrettanto vero che l’autorevolezza e la valorizzazione dei diaconi andranno di pari passo con la credibilità che si acquisteranno sul campo, diventando un vero spazio di Chiesa dentro contesti nuovi, sicuramente non liturgici.
— Formazione permanente è ormai una parola chiave in tanti ambiti della società. Per i preti che cosa significa?
Il prete non può avere una formazione bastante a se stessa, data e conclusa magari con il tempo del seminario: credo sia sempre importante per un prete imparare la vita e imparare il ministero. Prima risorsa della formazione permanente è l’esercizio stesso del ministero e il valore formativo dell’esperienza stessa nella quale si è posti.
Dovrebbe poi esserci una serena e umile disponibilità a coltivare la globalità della propria persona e l’unità della vita, sentendosi primi protagonisti del cammino personale. Aggiungerei la disponibilità a condividere il vissuto umano e di fede, proprio e altrui, creando relazioni significative.
— Si apre la Quaresima nell’Anno del Giubileo. Che augurio Lei fa a se stesso?
Sto pensando molto a questo Giubileo e al suo contenuto. Se la misericordia è una vera e propria assunzione di responsabilità nei confronti degli altri, vorrei sentire crescere in me la passione per le persone e il ministero: una passione convinta e decisa.
E mi piacerebbe “camminare”, trovare proprio un percorso di pellegrinaggio che diventasse cassa di risonanza di questo mio desiderio. So che la diocesi di Piacenza-Bobbio ha delle strade significative...
D. M.
Articolo pubblicato sull'edizione di venerdì 5 febbraio 2016