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La strada dell'educare passa
per una nuova fratellanza tra adulti

La prof. Scabini: le famiglie sono sole, c’è bisogno di costruire relazioni significative

bellazzini cravedi


“Una nuova fratellanza tra gli adulti”: riassume così la prof. Eugenia Scabini la strada maestra dell’educazione in tempi in cui l’espressione “emergenza educativa” rischia di limitarsi a soluzioni normative o in una nostalgica fuga verso il bel tempo che fu.

Va al cuore della prospettiva con cui la 2ª “Grande Festa della Famiglia” ha scelto di parlare di educazione il direttore del Centro di Ateneo Studi e Ricerche sulla Famiglia e preside della Facoltà di psicologia all’Università Cattolica di Milano. Alla prof.ssa Scabini - che ha partecipato alla stesura del Rapporto-proposta “La sfida educativa”, a cura del Progetto Culturale della Cei (edito da Laterza) - è affidato il compito di introdurre il tema della due giorni, “Educare, opera infinita della vita”. “Davvero un bel titolo, perchè sottolinea che non si finisce mai di crescere nella vita”, commenta la prof.ssa Scabini, che interverrà sabato 18 settembre alle ore 17 nel Salone di Palazzo Gotico.

“Anche la psicologia dimostra che la condizione adulta non è una condizione statica - aggiunge -. È sempre stato così, ma oggi lo è ancora di più. Siamo in un mondo di grande trasformazione, che ci mette tutti alla prova. Anche l’adulto è continuamente sollecitato a ridare significato a ciò che fa, a rinnovare e dare nuova linfa ai legami, specie quelli più significativi; penso ad esempio al legame di coppia, che oggi può durare solo se le persone sono in grado di ri-generarlo nel tempo, lungo tutto il corso della vita che si prospetta «lunga»”.

Per questo la prof.ssa Scabini definisce l’educazione “un’impresa congiunta di adulti e ragazzi”, anche se - ci tiene a precisare - ciò non implica che i due soggetti vi giochino un ruolo alla pari. “L’adulto - evidenzia la docente - ha più responsabilità, ossia è chiamato a rispondere di sè in prima persona”. Non a caso il Rapporto-proposta “La sfida educativa” si apre con una citazione di Natalia Ginzburg che ricorda che l’unica reale possibilità che noi adulti abbiamo di essere di aiuto ai nostri figli nella ricerca di una identità, di una vocazione, è - sono le parole della scrittrice - “avere una vocazione noi stessi, conoscerla, amarla e servirla con passione: perchè l’amore alla vita genera amore alla vita”.

Nella società attuale, che è cambiata in modo vertiginoso rispetto a quella che ci siamo appena lasciati alle spalle, rendendo ancor più profondo il fisiologico gap tra generazioni, gli adulti possono sentirsi inadeguati e, di fronte alla sfida, sono tentati di gettare la spugna. “Non c’è allora altro modo di ricominciare - incoraggia la prof.ssa Scabini - se non quello di riprendere in mano se stessi e il proprio compito educativo”.

L’educazione come compito, non come problema. Ecco un’altra parola da riscoprire. “Che sia un compito non vuol dire che l’adulto sa tutto e trasmette al giovane un sapere statico - chiarisce la docente -. Implica invece che l’adulto sappia far fare al ragazzo un’esperienza generativa, cioé proseguire dal punto di vista culturale, spirituale, esperienziale, l’atto generativo che ha avuto agli inizi nei confronti del figlio”.

Il direttore del Centro studi sulla famiglia dell’Università Cattolica denuncia però uno sfasamento in corso nella relazione educativa, che fa inceppare questa capacità generativa del mondo adulto. Rifacendosi alla etimologia latina della parola educazione, fa notare come si sia passati dall’«educere» al «seducere». “Educare viene da «educere», ossia tirar fuori l’adulto dal bambino. Oggi invece, di fronte ai timori e all’incertezza di un progetto, l’adulto «seduce» il bambino, lo conduce solo a sé. Ma l’educazione - annota la Scabini - funziona solo se c’è un progetto, se puoi fornire una strada, la tua esperienza. E come puoi indicare la strada se tu per primo non la vivi? Se non c’è vivacità, sensatezza, passione progettuale nella vita, evidentemente c’è una crisi dell’educazione, che è anzitutto - specifica la docente - una crisi antropologica, cioé del senso della vita: cosa sto a fare al mondo, qual è il mio posto nella società e nel futuro? Ci si ripiega sull’immediato, ci si accontenta di una felicità a poco prezzo”.

La passione di una singola famiglia però non basta. La prof.ssa Scabini ritiene più che mai attuale il proverbio africano secondo cui “Per crescere un bambino ci vuole un villaggio”. “La crescita - sottolinea - ha bisogno di pratiche condivise. Quando si dice che bisogna tornare a trasmettere valori, bisogna stare attenti a cosa intendiamo. Valore è una parola astratta; si tratta piuttosto di rendere concreto «ciò che vale la pena» attraverso scelte, forme di vita, iniziative. Non è attraente il valore in sé; è attraente una esperienza di vita che traduce in progetti concreti il valore”.

Centrale è dunque l’alleanza tra adulti. “Spesso, anziché essere, ciascuno per la propria parte, insieme per il bambino, sono in competizione”. È il caso del genitore contro l’insegnante, dei genitori o delle famiglie tra loro. “Dobbiamo aiutare le famiglie a creare comunità, gruppi, forme di solidarietà. Serve - rimarca la docente - una nuova fratellanza tra gli adulti, perchè rigenerino quelle pratiche di vita che rendono significativa l’esperienza educativa. Questo è di grande aiuto con i figli. Se gli adolescenti - esemplifica - hanno la possibilità di avere famiglie che fanno scelte entusiasmanti e significative comuni, è più facile che possano contare su alternative alle scelte insensate che vengono loro continuamente proposte”.

Barbara Sartori

Articolo pubblicato sull'edizione di mercoledì 15 settembre 2010

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