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Il dramma
dell’ovile

Dal Vangelo secondo Giovanni (10,11-18)
In quel tempo, Gesù disse: «Io sono il buon pastore.
Il buon pastore dà la propria vita per le pecore.
Il mercenario - che non è pastore e al quale le pecore
non appartengono - vede venire il lupo,
abbandona le pecore e fugge, e il lupo le rapisce e le disperde;
perché è un mercenario e non gli importa delle pecore.
Io sono il buon pastore, conosco le mie pecore e le mie pecore
conoscono me, così come il Padre conosce me
e io conosco il Padre, e do la mia vita per le pecore.
E ho altre pecore che non provengono da questo recinto:
anche quelle io devo guidare. Ascolteranno la mia voce
e diventeranno un solo gregge, un solo pastore.
Per questo il Padre mi ama: perché io do la mia vita,
per poi riprenderla di nuovo. Nessuno me la toglie:
io la do da me stesso. Ho il potere di darla
e il potere di riprenderla di nuovo.
Questo è il comando che ho ricevuto dal Padre mio».

La nostra vita e la Parola
vg21ap24Il lupo. Il lupo è un nemico ancestrale dell’uomo e degli animali che lo servono: è un animale crudele e sanguinario che non possiede la fierezza del leone e nemmeno la astuzia della volpe e non è nemmeno particolarmente coraggioso, ma ama cacciare di notte in assenza del pastore o dei cani da guardia, protetto dal branco. È Gesù stesso ad usare l’immagine di questo animale per indicare l’azione di colui che rapisce e disperde il gregge. La sua bramosia e la sua insaziabile voracità fanno della sua azione una minaccia terribile per l’integrità del gregge. Il lupo è l’antitesi simbolica dell’agnello. Per questo il lupo secondo i padri della Chiesa è immagine anche di tutti coloro che non hanno lo Spirito di Cristo e che diffondono nel gregge la menzogna dell’eresia: nello stesso tempo sant’Agostino dice che il lupo, quando ascolta la voce del pastore, cambia natura e da lupo diventa pecora. Ma, per tornare all’immagine del vangelo di questa domenica, è necessario che colui che ha cura del gregge sia un pastore e non un mercenario. Per questo anche Pietro prima di vedersi affidata la cura delle pecore deve fare un dialogo con Gesù per verificare che sia nelle condizioni di poter essere pastore. Mentre il mercenario tutto quello che fa lo fa per un tornaconto e non può perdere la propria vita perché è mosso da una logica di guadagno, il pastore è libero di donare la propria vita: “io do la mia vita, per poi riprenderla di nuovo. Nessuno me la toglie: io la do da me stesso”.
Le pecore. Tra le pecore e il pastore c’è un legame di familiarità così forte che quando una pecora va perduta si vive un autentico dramma nell’ovile. Ed infatti Gesù sottolinea questo legame di conoscenza reciproca tra il buon pastore e le pecore del suo gregge e tale conoscenza crea una appartenenza, non a un partito o a una organizzazione, ma alla presenza di Cristo nel suo corpo che è la Chiesa. C’è un rapporto di appartenenza alla persona di Cristo che è il punto centrale della esperienza cristiana. A lui importa della nostra vita: al mercenario non importa delle pecore. Quante volte ci troviamo di fronte a questo sostanziale disinteresse per la vita delle persone che servono solo per essere tosate e usate. Ma fino a quando Gesù rimane un estraneo, un personaggio del passato, un esempio a cui ispirarsi, un emettitore di valori che ispirano la vita di qualcuno, non incide realmente sulla vita del credente soprattutto nei momenti della prova e della difficoltà. L’appartenenza a Cristo passa attraverso l’esperienza dell’incontro con l’unico pastore che ha dato la vita per noi: fino a quando pensiamo di essere i padroni della nostra vita e non consegniamo tutto quello che siamo e possediamo a colui che ci ama rimaniamo chiusi nel recinto della nostra volontà.

Don Andrea Campisi

Pubblicato il 18 aprile 2024

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