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Francesco: il Papa
che stupisce e sa stupirsi

Il giornalista Gianni Valente conobbe il cardinal Bergoglio 
a Buenos Aires nel 2002 in occasione di un reportage. Ne nacque un’amicizia mai interrotta.

Tanto che la sera dell’elezione a Papa gli telefonò a casa

valente papaRio


Sono le dieci e trenta di una sera qualunque e in casa Valente il telefono squilla. Non è la nonna che augura la buonanotte: è il cardinal Bergoglio, appena eletto Papa.
“Rispose mio figlio; mi trovavo in Piazza San Pietro, intervistato da giornalisti che sapevano della nostra amicizia” racconta Gianni Valente, redattore presso l’agenzia “Fides”, organo d’informazione delle Pontificie Opere Missionarie, collaboratore della rivista italiana di geopolitica “Limes” e di “Vatican Insider”, il portale plurilingue online del quotidiano “La Stampa” dedicato all’informazione sull’attività della Santa Sede e sulle vicende delle comunità cristiane nel mondo.
Venerdì 13 settembre, alle ore 21, interverrà in piazza Sant’Antonino, a Piacenza, alla Grande Festa della Famiglia, sul tema “Papa Francesco: la fede di ogni giorno”.

— Come ha conosciuto Papa Francesco?
Nel 2002, in Argentina, ero impegnato in un reportage sulla crisi economica del Paese. Mi colpì la delicatezza dei padri di famiglia senza lavoro: nascondevano il dolore ai figli e piangevano di notte. Intervistai l’allora arcivescovo di Buenos Aires e da subito sentii una forte vicinanza spirituale con quel pastore che mostrava compartecipazione alle sofferenze del suo popolo.
Nel tempo intraprendemmo uno scambio epistolare e nacque un’amicizia: quando si trovava a Roma, il Papa frequentava la mia casa, mentre io mi recavo talvolta da lui in Argentina. La sua tenerezza verso di me non era solo frutto di un’indole personale, ma della misericordia di Dio per i suoi figli.

—Lo riteneva tra i papabili?
Nei giorni frenetici precedenti l’elezione non formulavo ipotesi, tuttavia ne contemplavo la possibilità. Ho sempre pensato che se quel tesoro fosse stato conosciuto da tutti sarebbe stato un miracolo e, quando è stato pronunciato il suo nome, ho toccato con mano il bene del Signore per la sua Chiesa.


La fede non è una fuga nell’irrazionale 

— Lei cita Papa Francesco come esempio della fede di ogni giorno.
Il suo ministero ci insegna che l‘orizzonte della fede è la vita di tutti i giorni e che il soggetto della vita cristiana non è il militante, ma il battezzato che nella quotidianità è illuminato da fede, speranza e carità, come insegna il Concilio Vaticano II.
Una quotidianità di cui ogni mattina il Papa parla nelle omelie in Santa Marta, offrendo un pensiero di conforto. Nel mondo milioni di fedeli si svegliano per leggere su Internet le sue parole.

— Nell’enciclica “Lumen Fidei” la fede è messa in rapporto con la ragione.
Aderendo al testo del suo predecessore, Papa Francesco mostra una continuità di pensiero. Per entrambi non c’è contraddizione tra fede e ragione, la fede non è una fuga nell’irrazionale o nell’intellettualistico. La verità della fede emerge nelle circostanze quotidiane, illuminando la ragione dell’uomo nell’affrontarle.

— In un orizzonte materialistico come quello odierno, c’è bisogno di “vedere” e di “toccare” per credere?
La dimensione sensoriale è importante, perché viviamo in una realtà materiale e perché l’Incarnazione coinvolge i sensi. Ogni discorso sulla fede svincolato dalla fisicità della vita, contiene elementi di rischio; penso ad esempio allo gnosticismo, che respinge la materia, mentre nell’annuncio cristiano Dio si incarna. L’incontro con Cristo, tuttavia, non è solo la somma di esperienza sensoriali: tocca i sensi, ma poi raggiunge il cuore. Il livello ultimo dell’esperienza di fede è la tenerezza interiore vissuta da ognuno nel rapporto con Gesù. Esperienza che richiede anche la partecipazione ai sacramenti e non solo i miracoli.

— Eppure noi sembriamo aver bisogno di miracoli...
O forse di miracolismo? Si tratta di una distorsione sociologica di questo periodo storico, di una società in cui tutto è producibile e replicabile, mentre negli anni settanta si correva il rischio opposto: spiritualizzare la fede fino a disincarnarla. L’atteggiamento miracolistico non ha nulla a che vedere con lo stupore della fede.


Papa Bergoglio: uno che non sta mai fermo

— La capacità di stupirsi e di stupire è una caratteristica del Papa: alla GMG ha fatto impazzire la sicurezza!
Non sta mai fermo, ma non perché persegua una strategia basata su effetti speciali. Nell’ordinario non c’è solo fissismo, ma anche apertura verso la libertà, al di là di formalismi e protocolli ingessati. Sa che la vita è stupore.

— È innegabile che quella di Papa Bergoglio sia una modalità diversa di presentare la fede rispetto ai predecessori.
La pluralità di approcci è una ricchezza della Chiesa. Il papa è un uomo e come tale differente dagli altri: Giovanni Paolo II fu un trascinatore, Benedetto XVI un teologo del Vaticano II. Papa Bergoglio non avverte la necessità di adeguare la Chiesa a una determinata impronta umana, perché, come sottolinea, la Chiesa è del Signore.
La continuità, semmai, è nella figura di Vescovo di Roma. Anche Benedetto XVI ripeteva che la Chiesa non si appoggia su se stessa, ma vive della grazia di Cristo. Il papa è solo colui che suggerisce, indica il cammino ogni giorno.


L’uomo cammina se Dio lo porta in braccio 

— La quotidianità sembra oggi il banco di prova della fede. Perché è così difficile credere?
Forse perché la fede è percepita come uno sforzo di adeguamento a criteri; in realtà ha una fonte misteriosa e una dinamica semplice, che nasce dall’incontro e dallo stupore. Le difficoltà, come capitò anche ai santi, possono presentarsi nel percorso, perché la fede comporta sacrificio e non è un patrimonio acquisito per sempre. Ma se la grazia splende, anche le difficoltà si superano.
L’impegno e la costanza sono necessari, ma se l’uomo avesse dovuto raggiungere la verità solo con il suo impegno, non avrebbe avuto bisogno dell’Incarnazione. L’uomo cammina perché viene portato in braccio.

— La fede può dare un senso a quella che sembra una giornata qualunque?
Sì, perché si svela nella quotidianità. Il tesoro non è l’applicazione di una dottrina e di uno sforzo: ha l’aspetto della sorpresa.


Un riformista, ma non un Savonarola

— Come insegna la parabola, però, il tesoro è nascosto ...
A volte è sotto i nostri occhi e non ce ne accorgiamo. Nella vita ordinaria della Chiesa, la grazia è accessibile a tutti e non solo, come insegna Papa Francesco, alle persone culturalmente attrezzate. In Argentina ribadiva l’importanza del battesimo e del superamento di precondizioni morali o canoniche. Lo addolorava se un parroco non battezzava il bambino di una ragazza madre e interpretava il rifiuto come un tradimento al ministero sacerdotale. Per battezzare, spiegava, basta un po’d’acqua, le formule e l’intenzione dei genitori.

— Gesù, nei Vangeli, valorizza l’intenzione del cuore.
Sì, l’intenzione del cuore come frutto della grazia. Il cuore non si stanca di perdonare. Ciò che importa è riconoscersi peccatori di fronte al Signore.

— A volte è più facile riconoscersi giudici: nella parabola, gli apostoli hanno fretta di strappare la zizzania dal campo...
Gesù insegna che non possiamo da soli estirpare la zizzania e comportarci da “purificatori”: il giudizio non spetta a noi e arriverà alla fine dei tempi.
Papa Bergoglio sta affrontando delle riforme in curia, ma non certo con un rigorismo da Savonarola: per lui occorre riportare la Chiesa alla sua natura e riconoscere che gli uomini sono peccatori, come lui stesso si è definito. A dimostrazione, come primo gesto dopo l’elezione ha chiesto che il popolo pregasse per la sua persona.
C’è differenza tra peccato e corruzione: la corruzione è un’auto-giustificazione del peccato, che si verifica quando il peccato rifiuta di percepirsi come tale e si struttura come sistema.

— Possiamo quindi imparare da peccatori?
Perché no? Lo siamo tutti, il peccato non si può eliminare o cadremmo in contraddizione: Cristo è venuto a liberarci dal peccato. Giovanni Paolo I diceva che il Signore sembra permettere certi peccati affinché cosi l’uomo non si senta un padre eterno, ma venga riportato alla sua natura di creatura.
Il peccato è un incentivo all’umiltà: chi viene perdonato sa che non è il salvatore di se stesso. Il peccato ha così una funzione terapeutica: libera dall’orgoglio e, liberandoti, ti apre all’altro.

Anche se siamo stanchi e sono le dieci di sera: il prossimo forse può avere bisogno di noi.

Silvia Manzi






valenteChi è Gianni Valente


Gianni Valente è nato e vive a Roma. Si è laureato in storia religiosa dell'Oriente cristiano, con una tesi sui cattolici indiani malabaresi e malankaresi e la loro partecipazione al Concilio Vaticano II. È stato redattore della rivista internazionale “30Giorni”, per la quale ha anche realizzato reportage sulla vita delle comunità cristiane dalla Cina, dalla Russia e da diversi Paesi dell'America Latina e del Medio Oriente. Attualmente è redattore presso l’agenzia “Fides”, organo d’informazione delle Pontificie Opere Missionarie. Collabora con la rivista italiana di geopolitica “Limes” e con “Vatican Insider”, il portale plurilingue online del quotidiano La Stampa dedicato all’informazione globale sull’attività della Santa Sede e le vicende delle comunità cristiane in tutto il mondo. È autore dei volumi “Il Tesoro che fiorisce. Storie di cristiani in Cina” (Roma 2002); “Ratzinger professore” (San Paolo, 2008), dove ha ricostruito l'itinerario di studio e d'insegnamento percorso di Joseph Ratzinger nelle facoltà teologiche tedesche, e “Ratzinger al Vaticano II” (San Paolo, 2013). 

Articolo pubblicato sull'edizione di mercoledì 11 settembre 2013

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