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"Lo scopo della vita è servire":
parola di Paolo Cevoli

Il comico romagnolo ha imparato dai genitori albergatori
che amare il prossimo è il motore del mondo


cevoli PAGANI



Come tutte le cose belle della vita, anche l’amicizia tra Paolo Cevoli e Silvio Cattarina è nata in maniera inaspettata. Il fondatore della comunità terapeutica per tossicodipendenti di Pesaro “L’Imprevisto” era in vacanza in Val d’Aosta. È chiamato a portare la sua esperienza. Tra il pubblico, i ragazzi notano un volto conosciuto. “C’è quello di Zelig”, gli dicono. E così, da un incontro all’apparenza casuale, è nato un legame che unisce il comico romagnolo Paolo Cevoli allo psicologo Silvio Cattarina. Cevoli non fa mistero che l’amicizia con la comunità di Cattarina e i suoi ragazzi sia molto imporante per la sua vita. “Perché in fondo - dice, tra il serio e il faceto com’è sua abitudine - anche io sono un po’ «pericolante», come i ragazzi della comunità”.
Cevoli torna gradito ospite alla “Grande Festa della Famiglia” 2012 insieme a Cattarina a Palazzo Gotico, domenica 16 settembre, alle ore 10.15. Introdotto dalla giornalista Barbara Tondini, dialogherà attorno al tema “Un imprevisto è la sola speranza”.
Lo scorso anno ha riempito il teatro Municipale con il suo spettacolo “La penultima cena”, in cui vestiva i panni di un cuoco truffaldino travolto - anche lui! - da un incontro imprevisto: l’incontro con Gesù. Tra risate e commozione, racconta le peripezie cui lo conduce questo incontro, fino ad organizzare una improbabile “penultima cena”. E, così facendo, il comico Cevoli racconta anche il suo personale incontro con Gesù. Uno che colpisce per lo sguardo d’amore che ha verso la gente. Uno - dice alla fine dello spettacolo - che vuole bene a ogni uomo e donna così come sono. Anche coi loro difetti e le loro contraddizioni.


La vita è “fare il cameriere”

Quella di comico, per Cevoli, è - la definizione è sua ed è ironica quanto il personaggio - “una vocazione adulta”.
Nato a Riccione nel 1958 da genitori albergatori, ha passato l’infanzia in una sorta di famiglia allargata, in cui - spiega - genitori, fratelli, clienti erano una cosa sola. Senza percepire confini tra pubblico e privato, tra lavoro e tempo libero, fin da bambino ha cominciato a dare una mano alla pensione, nei panni del cameriere, il mestiere che Benigni nel film “La vita è bella” definisce “il più nobile del mondo, perché è il mestiere che più somiglia a quello di Dio, che è servo di tutti, ma non è servo di nessuno”.
E del mestiere di cameriere Cevoli ha fatto una metafora di vita che lo accompagna anche oggi che calca il palcoscenico da professionista. “Lo scopo della vita - ha dichiarato intervenendo lo scorso aprile alla Bellotta al master organizzato dagli Uffici Catechistici di Emilia Romagna e Lombardia - è servire, ossia donare se stessi, come ha fatto Gesù”. È un’intuizione che il comico romagnolo ha maturato poco alla volta, ma che è impressa nel suo dna grazie all’esempio dei genitori.
Il papà, morto nell’ottobre 2011 a 84 anni, dopo dieci di dialisi, “che non si è mai lamentato, ma ha sempre avuto il sorriso sulle labbra, la battuta pronta anche quando è arrivato il prete poche ore prima di morire”, ha spiegato Cevoli. “E rideva sempre non perché fosse uno scemo - ha proseguito con schiettezza tutta romagnola - ma perché aveva capito che la vita, comunque, è tutta positiva, che della vita non si butta via niente, come del maiale”.


Il comico trasmette quel che è

La verve da animale da palcoscenico Cevoli l’ha ereditata proprio dal babbo, in gioventù soprannominato “Macario”, barzellettiere incallito e adorato dai suoi clienti, che non mancavano di andarlo a trovare anche ad anni di distanza dalla chiusura della sua attività. Dalla mamma, invece, Cevoli ha attinto una variegata gamma di metafore culinarie, capaci di far sbellicare dalle risate gli ascoltatori, eppure cariche di significati profondi. Come quella della vita che “è come le lasagne: fatichi a distinguere la sfoglia dal ragù e dalla besciamella; così il bello e il brutto nella vita è mescolato tutto insieme e le cose più belle sono quelle che ti fanno ridere e piangere allo stesso tempo”.
Il mestiere del comico, visto in questa prospettiva, somiglia a quello del vasaio che prende la materia prima - “la realtà, gli incontri che faccio, i vizi miei ed altrui” - e la lavora. Nella realtà c’è dentro tutto, il bene e il male, il dolore e la felicità. Cosa fa la differenza? “Non la tecnica - avvisa Cevoli - ma la «mano» di chi impasta”, proprio come quella della mamma che fa le tagliatelle. In altre parole “l’amore per le persone che le mangeranno”. O, fuor di metafora, per coloro che beneficeranno del tuo lavoro, sia tu comico, insegnante, operaio, panettiere o che altro.
La risata in sé, allora, non basta. Dipende quel che c’è dentro e chi c’è dietro. “La molla del riso può essere molteplice: si può ridere per cinismo, per cattiveria, dietro le spalle - avverte Cevoli -. Per me, per come sono stato educato e per la storia che ho avuto, ridere vuol dire prendersi in giro, perché ci si vede come si è. In fondo, pensiamoci bene: chi è che si prende in giro? Le persone che si vogliono bene: i fidanzati che si chiamano con i nomignoli, la mamma col bambino...”.
Allo stesso modo, il comico che ama il suo pubblico, prendendosi in giro, prende bonariamente in giro anche chi lo ascolta. Cevoli cita ancora una volta Gesù: “Amare il prossimo come se stessi è il motore del mondo. Ma se non cerchi la vera felicità per te, cosa trasmetterai al tuo pubblico? Solo del cinismo. Ognuno - riecco il passato da cameriere che riemerge - serve la pietanza che ha”.


Gesù parla romagnolo

In termini di pedagogia cristiana, si chiama principio della testimonianza. “Quando ho pensato allo spettacolo «La penultima cena» - ha raccontato alla platea di catechisti - all’inizio avevo tenuto, per pudore, i brani evangelici così come sono. Il mio regista, ateo, mi ha fatto riflettere: i Vangeli non sono la fredda registrazione di quanto accaduto, sono filtrati dall’esperienza di chi scrive. Nello spettacolo io sono un testimone e posso parlare di Gesù nella misura in cui ho vissuto questo incontro. E così anche Gesù finisce col parlare romagnolo...”.
La gente ama i comici, è ben disposta ad ascoltarli. Di Cevoli è rimasta nell’immaginario collettivo l’icona dell’assessore Cangini immortalato dal piccolo schermo in “Zelig”. Chi va a vedere “La penultima cena” a teatro, forse, si aspetta un Cevoli differente. Eppure è sempre lo stesso, capace - come nella mattinata dedicata ai catechisti alla Bellotta e, siamo certi, nel dialogo con Cattarina alla Grande Festa della Famiglia - di far ridere e riflettere, di spararle grosse dicendo però delle sacrosante verità. Anche questa è una forma di annuncio ai “lontani”.
Così all’ex gestore di locali alla moda tra Bologna e Milano - solo nel 2002 è avvenuto il salto alla “vocazione adulta” del comico - capita spesso di andare nelle scuole, di parlare ai ragazzi di sé e di come Gesù è entrato nella sua vita.“Tu, comico, rappresenti quel che sei, trasmetti quel che hai incontrato - osserva Cevoli -. Ma questo vale per tutti: per il prete, il catechista, la mamma, il marito, i figli...”.


Perché gli angeli volano?

Il grande confronto, anche per chi fa ridere per mestiere, resta quello con la paura più grande di ogni uomo: il confronto con la morte. “L’attore va sul palco, la gente ride, ti batte le mani, ossia ti dice che ti vuol bene, ma la sensibilità dell’artista capisce che quell’applauso finisce, che tutte le cose sono destinate a finire, compreso te stesso. Però - prosegue Cevoli - chi ha incontrato Cristo sa che la morte non è l’ultima parola”.
La gioia del cristiano è realismo che non esclude la tristezza, ma salva dalla disperazione. “Tutto acquista un senso, un significato, anche le sofferenze”. Il centuplo per Cevoli è questo gusto nuovo che l’incontro con Gesù Risorto dà ad ogni cosa, per chi accetta - nella libertà - di accoglierlo nella sua vita. Con il bello e con il brutto, tutto mescolato insieme, appunto. Come le lasagne.
In fondo - fa notare il comico citando l’autore inglese Chesterton - gli angeli, perché volano? “Perché sanno prendersi alla leggera”. E non sarà un caso se è lo stesso scrittore tanto amato anche da Papa Ratzinger ad ipotizzare che Gesù, che pur non aveva paura di piangere in pubblico, in alcuni momenti si isolava. Quando? Forse - dice Chesterton - quand’era troppo felice. Allora, avrebbe compiuto cose che nemmeno i suoi amici sarebbero stati in grado di capire.
Benedetto umorismo.

Barbara Sartori

Articolo pubblicato sull'edizione di mercoledì 12 settembre 2012

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