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L'Avvocato che difende
il diritto alla vita

Rosaria Elefante, presidente dei biogiuristi italiani, ha seguito il caso di Eluana Englaro

elefante


“Supponiamo che, camminando per strada, si accorge di un neonato abbandonato sul marciapiede. Che fa?”. L’avvocato Rosaria Elefante, abituata al foro e all’insegnamento nelle aule universitarie, usa la dialettica come strumento per far capire concetti giuridici anche ai non addetti ai lavori. “Chiamerei la polizia, lo porterei in ospedale...”, rispondiamo. “Ecco, vede, il neonato è l’incapace che il legislatore protegge ad oltranza. Ma è lo stesso soggetto giuridico che può avere 30, 50 o 60 anni ed è in stato vegetativo. È come un neonato: se non lo nutriamo, non mangia; se non gli diamo da bere, non beve. In base al principio di solidarietà io, lei, tutti abbiamo l’obbligo giuridico di aiutare chi non può o non può più. Perchè allora - rilancia - sta passando il messaggio che una persona in stato vegetativo è mezza morta, che volerla aiutare a mantenersi in vita è una forma di accanimento?”.

DARE VOCE A CHI NON L’HA PIU’. Sarà per la verve partenopea. Sarà per la passione con cui, da 16 anni, si occupa a titolo gratuito della tutela legale delle persone gravemente disabili. È dall’altro capo del telefono, l’avv. Rosaria Elefante, nel suo studio a Napoli, ma pare di sentirla parlare vis à vis. Si accalora nel denunciare la disinformazione che circola attorno l’immagine delle persone in stato vegetativo. Si indigna, pure. Ha scelto un volontariato particolare. Ha messo la sua professionalità a servizio della vita nella sua espressione più inerme. “I disabili gravissimi sono quelli che nessuno vuole, che la società ritiene inutili perchè non producono. Sono quelli che non hanno più voce, che non possono più urlare”.
In questo impegno per la vita ha sempre avuto al fianco la famiglia del disabile. Tranne in una caso, quello di Eluana Englaro. L’avv. Elefante, insieme al marito, anche lui avvocato, è stata promotrice di un’azione legale contro l’applicazione del decreto che ha portato Eluana alla morte per sete e per fame. Non è servito e, rivangando quell’iter, ancora si sente che è una ferita aperta.

NON CONFONDIAMOLO COL “FINE VITA”. “Custodire la vita, sempre” è il tema che la presidente dell’Associazione italiana dei biogiuristi approfondirà domenica 4 settembre alle ore 10 a Palazzo Gotico. Una volta tanto, non la si relega - come spesso le accade nei convegni - alla riflessione sulla “terminalità”. È uno dei grandi equivoci che circolano intorno al tema della disabilità grave. “Si tende a dare un’etichetta sbagliata alle persone in stato vegetativo, minimal respondent o con sindrome di Locked In, ossia le si colloca nel fine vita. È un’associazione molto pericolosa - avverte l’avv. Elefante - perchè si finisce col fare l’equivalenza tra l’altissima disabilità e la morte. Passa l’idea che «siccome sono mezzi morti, tanto vale che li aiutiamo a farla finita»”.
A questa falsa percezione hanno contribuito non poco i giornalisti - che ancora confondono il coma con lo stato vegetativo - e alcune dichiarazioni fatte su Eluana, che, volente o nolente, è diventata per gli italiani l’icona della persona in stato vegetativo. “Eluana l’ho vista molte volte, col consenso del padre, e ancora mi chiedo come sia stato possibile da parte di qualcuno dichiarare che fosse calva, che pesasse 30 chili, che fosse attaccata a mille macchine...”. Fatto sta che queste affermazioni rese alla stampa hanno impresso nell’immaginario comune delle fotografie fuorvianti. “La vita non finisce con lo stato vegetativo, è un’altra fase della vita, una fase caratterizzata da altissima disabilità - ribadisce la legale -. Proprio perchè fragili, deboli, queste persone vanno tutelate maggiormente”.

UNA DEFINIZIONE AMBIGUA. Una delle conquiste più recenti che si è ottenuto, a livello per lo meno terminologico, grazie al lavoro della task force di specialisti che l’avv. Elefante ha promosso presso il Ministero della Salute, è la ridefinizione di questa disabilità. Si parla oggi di “sindrome di veglia a-relazionale”. “L’espressione «stato vegetativo» dà luogo a fraintendimenti - fa notare l’avv. Elefante -. L’aggettivo «vegetativo» si riferisce all’apparato neurovegetativo, mentre nella concezione comune lo si associa alla condizione da vegetale. Ma la persona in stato vegetativo non è un cavolo o un carciofo! La parola «stato», invece, suggerisce l’idea di irreversibilità. Non è così. Ci sono studi e riscontri scientifici, penso alle ricerche del prof. Giuliano Dolce, che vanno al di là della risonanza magnetica funzionale e confermano che c’è un’evoluzione continua nella sindrome, anche se questa evoluzione non è palesata all’esterno”.
Che si tratti - dunque - non di persone che non comunicano, ma che comunicano in modi che non riusciamo ancora a capire? L’interrogativo è al vaglio di scienziati di fama coinvolti nella task force. Quel che di sicuro le persone in stato vegetativo riescono a comunicare è il dolore. Ciò spiega anche come mai - osserva il presidente dei biogiuristi - la sospensione dell’idratazione e dell’alimentazione a Eluana sia stata accompagnata dalla somministrazione di un sedativo. La morte per sete, infatti, è terribile; dopo un giorno senza acqua l’organismo ha problemi enormi, iniziano dolori e quando i reni saltano si giunge a un punto di non ritorno. “Se avessero tutti avuto la convinzione, come dichiarato a gran voce, che lei tanto non sentiva nulla, non si capisce come mai somministrarle del sedativo”, osserva l’avv. Elefante, che tiene però a correggere altre false convinzioni sulle persone in stato vegetativo. “C’è l’idea che soffrano dalla mattina alla sera: non è vero - rimarca -. Spesso inoltre si pensa che siano allettate tutto il giorno; alcune invece possono essere sedute su carrozzine di postura e andare fuori, se le barriere architettoniche lo consentono...”.

IL PRINCIPIO DI SOLIDARIETA’. “La vita è sempre vita e va tutelata sempre, nel rispetto della persona. E guardi che parlo da giurista, non da cattolica. Qui il credo non c’entra, c’entra il diritto”, afferma l’avv. Elefante. Torniamo alla domanda iniziale sul neonato abbandonato. La persona in stato vegetativo è paragonabile, perchè incapace di provvedere a sè e per la vulnerabilità che ne consegue, a questo stadio di vita. “Il principio di solidarietà è un obbligo giuridico, sancito dalla Costituzione. Non parlo del valore della solidarietà, che è quella spinta emotiva che mi porta a impegnarmi nei confronti dell’altro e che posso avere o non avere - precisa l’avv. Elefante -. Esistono persone anaffettive, indifferenti agli altri. Ma anche una persona anaffettiva non è esente dall’obbligo della solidarietà”. Ne è la prova l’articolo del codice penale che è applicazione diretta di tale principio di solidarietà: l’omissione di soccorso. “Il codice dice che chiunque è in uno stato di incapacità palese dev’essere soccorso. Non è solo per gli incidenti. Vale per i minori, per le persone gravementi disabili... Se non avviso le autorità e quell’incapace rischia la vita o subisce gravi danni rischio un anno di reclusione o 2500 euro di multa”.
Chiaro che se la disinformazione ci porta ad intendere determinate persone come già avviate alla morte, anzichè come persone vive e che hanno il diritto di vivere, l’interpretazione diventa soggettiva e ci si infila in un tunnel senza uscita. “Quando si scivola nella valutazione della dignità di una vita fatta da chi è sano, quindi in una valutazione soggettiva di ciò che è buono o no, degno o no, è sempre pericoloso. Di persone in questi anni ne ho incontrate tante e la dignità che danno loro le famiglie con il loro amore, la loro costanza, è incredibile. Mai nessuno mi ha chiesto: «vorrei che mio figlio, mio padre, mio marito morisse». Anzi, sono loro le più determinate a chiedere aiuti, perchè l’amore a volte non basta per garantire una assistenza che sia all’altezza dei diritti della persona”.

Barbara Sartori

Gli scenari della bioetica alla luce del diritto
Chi sono i biogiuristi?

Rosaria Elefante, avvocato, docente a contratto di Diritto Civile all’Università degli studi di Napoli Federico II, è presidente dell’Associazione Nazionale Biogiuristi Italiani (Anbi) dal 2009. Con il marito, l’avv. Alfredo Granata, ha curato il ricorso presso la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo nella vicenda di Eluana Englaro per conto di 34 associazioni di familiari di persone in stato vegetativo .

LA COSTITUZIONE È FONDATA SULLA PERSONA.“I biogiuristi - spiega l’avv. Elefante - si occupano sotto un profilo meramente giuridico di tutte le problematiche che le istanze della bioetica fanno emergere. Siamo di fronte a scenari non pensabili fino poco tempo fa, pertanto è importante vedere se siano leciti, oltre che eticamente, anche e soprattutto giuridicamente”. La nostra Costituzione riesce a coprire una serie di ipotesi che, al momento della stesura, non erano certo prevedibili. La chiave di volta sta in quella centralità della persona umana che sta al cuore della Carta costituzione, fondamento dell’intero assioma gerarchico delle fonti giuridiche italiane. “La nostra è una costituzione personalista - spiega l’avv. Elefante -, cioè lo Stato esiste perché esiste la persona, quindi l’uomo va tutelato nei suoi diritti e come fondamentale diritto da sostenere c’è quello alla vita e alla salute”.

UNA TASK FORCE EUROPEA PRESSO IL MINISTERO. L’avv. Elefante - che è anche vicepresidente dell’associazione calabrese Vita Vegetativa Vi.Ve. Onlus - da 16 anni si occupa di affiancare le famiglie con parenti in condizioni di gravissima disabilità nelle loro battaglie legali, volte a garantire il diritto alle cure, all’assistenza, ai contributi. Ma è anche impegnata sul fronte istituzionale e culturale. È consulente giuridico del “Seminario permanente di confronto sullo stato vegetativo e di minima Coscienza” presso Ministero del Lavoro, della Salute e delle Politiche Sociali per il progetto “Un libro bianco sulle persone in coma e stato vegetativo: buone pratiche e percorsi di cura”.
È inoltre coordinatore e responsabile giuridico della “European Task Force on Vegetative State” presso il Ministero della Salute. Una recente conquista è quella di essere arrivati a una nuova definizione della condizione di “stato vegetativo”, oltre che alla stesura di linee di indirizzo unificate per tutte le Regioni per l’assistenza alle persone in stato vegetativo e stato di minima coscienza. In sostanza, non esisteva fino al maggio scorso un codice identificativo per queste persone, e questo rendeva disomogeneo l’accesso ai servizi così come gli iter diagnostici. “Al progetto, costituito da due tavoli, quello degli specialisti e scienziati e quello di 34 associazioni di familiari, che si occupano di persone in stato vegetativo e in minima coscienza, hanno lavorato proprio tutti e con il medesimo obiettivo - precisa l’avv. Elefante - ovvero quello della tutela e dell’interesse esclusivo e delle reali necessità dei disabili”.

Articolo pubblicato sull'edizione di martedì 30 agosto 2011

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