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Un giornalista a capo del Club
"L'inguaribile voglia di vivere"

Massimo Pandolfi, caporedattore al “Carlino”: si sta diffondendo una cultura nichilista radical chic

pandolfi


Una rivoluzione culturale all’insegna della vita. Non nell’utopia che la fatica non esiste, che la malattia e la sofferenza sono facili da digerire. Ma con la convinzione - forte, fortissima - che anche nella malattia, nella disabilità grave, nella sofferenza, è l’amore che dà gusto alle giornate. Un amore che sa sorridere, scherzare, piangere, sostenere. Sempre insieme.

Mira alto, il Club “L’inguaribile voglia di vivere”. Tutto è nato da un libro del giornalista Massimo Pandolfi, caporedattore al Resto del Carlino di Bologna. E da una frase dell’oncologo Mario Melazzini, presidente di Aisla (Associazione italiana sclerosi laterale amiotrofica) e malato di Sla, che di quel libro è divenuto il titolo. Le parole camminano, i libri hanno gambe. In questo caso, “L’inguaribile voglia di vivere”, che racconta di esperienze di disabili gravi e delle loro famiglie, ha preso forma nell’omonimo Club di cui Pandolfi è presidente. Tra i soci fondatori, troviamo lo stesso Melazzini e il cantautore Ron, l’attore Alessandro Bergonzoni, i medici Mario Maltoni e Giovanni Battista Guizzetti, tanto per citare i nomi più noti. Tra i soci onorari, anche il piacentino Giampiero Steccato, affetto dalla sindrome di Locked In, una delle persone che ha accettato di raccontarsi nel libro di Pandolfi.

Parlerà di come il Club sta lavorando per diffondere la cultura della “inguaribile voglia di vivere” Massimo Pandolfi domenica mattina 4 settembre a Palazzo Gotico, alle ore 10, al tavolo insieme all’avv. Rosaria Elefante e al dott. Mario Melazzini.

— Come mai un giornalista è finito a diventare presidente di un Club così particolare?
All’inizio è stata la curiosità professionale, che si è incrociata con una sensibilità comune. Sono nate delle amicizie. E da queste cose - ride Pandolfi dall’altro capo del telefono - non se ne esce! Diciamo che, uno dopo l’altro, sono accaduti dei fatti, degli incontri, che hanno suscitato stupore, sollecitato la riflessione. E siamo arrivati qui.

— Cosa si propone il Club?
Di aiutare disabili, anziani, malati, a realizzare i loro sogni. Un esempio: questo è il secondo anno che riusciamo a portare al mare Patrizia Donati, nostra socia onoraria, grazie al contributo del Rotary della Valle del Rubicone e grazie all’associazione culturale “Giorgia sempre con noi”, intitolata a una ragazza forlivese deceduta quasi due anni fa in un incidente stradale. I genitori di Giorgia hanno così deciso di girare al club “L’inguaribile voglia di vivere” il finanziamento necessario per consentire a Patrizia Donati di trascorrere luglio e agosto al mare, ospite di Villa Salus di Viserbella di Rimini. Alla festa prima della partenza ha partecipato anche l’ex sindaco di Forlì, che ha già promesso che, per il prossimo anno, il soggiorno lo pagherà lui.
Tra i progetti del 2011, c’è anche quello di sostegno alla famiglia Rucci di Chieti: Giancarlo, 37 anni, è malato di Sla dal 2005. Oppure l’aiuto al 28enne Marco Tremolada di Luino, perchè possa continuare la terapia riabilitativa.

— C’è un filo conduttore in tutte le storie che hai raccolto per il tuo libro?
La presa di coscienza che, a prescindere dalle condizioni in cui ci si trova, è sempre possibile dare un senso alla propria vita. È diventato anche il nostro “cavallo di battaglia”. Può sembrare assurdo che una persona cieca, in sedia a rotelle, sia felice, eppure è così. Poi ci sono gli alti e bassi, come per tutti. Il punto cruciale è trovare il modo di dare un significato alla vita, ma per farlo è importantissimo avere intorno delle persone a cui voler bene e che ti vogliono bene.

— Si potrebbe obiettare che è una prospettiva un po’ idealistica, davanti a certi casi...
Non siamo dei masochisti. Abbiamo visto attraverso esperienze concrete che il problema vero delle persone disabili gravi e delle loro famiglie è anzitutto la solitudine, l’abbandono, la mancanza d’amore e compagnia. Come Club, vogliamo aiutare le persone e le famiglie che in certi casi, da sole, non ce la possono fare. Non solo offrendo un aiuto economico, ma anche un’amicizia, una vicinanza. Può capitare a noi sani dibrancolare nella nebbia, e accorgerci che tutto cambia se qualcuno ci dà una pacca sulla spalla. C’è bisogno di un vero movimento culturale, che tenga accesa la torcia per illuminare la strada.

— Il mondo dei media in effetti ha parecchie remore a dar voce a queste rivendicazioni del “diritto alla vita”. Lo si è visto, per esempio, con il caso della trasmissione “Vieni via con me” di Fazio e Saviano. Come mai?
Credo ci sia una cultura nichilista, radical chic, nel mondo dell’informazione, che ha una netta maggioranza. Vedo ad esempio che spesso si usa un linguaggio sbagliato nel parlare di questi temi, e questo genera luoghi comuni, porta le persone a dare giudizi non corrispondenti alla realtà. Penso ad Eluana Englaro: in molti pensavano fosse attaccata a delle macchine e intubata. Un altro errore ricorrente è che non si distingue mai tra coma e stato vegetativo, o si parla di “malattie incurabili” anzichè di “inguaribili”: non si potrà guarire, ma la cura è possibile sempre. O ancora, si confonde la terminalità con la disabilità grave. Così si creano le condizioni per una visione distorta, che rischia di far passare per “cattivi” i paladini della vita, liquidandoli come sostenitori dell’accanimento terapeutico. Niente di più falso.

— Il messaggio da rilanciare allora, per innescare una rivoluzione culturale, qual è?
Ci vuole anzitutto una conoscenza su questi argomenti, non bisogna limitarsi ad una informazione generale. Conoscere vuol dire anche fare esperienza. Quando si va al fondo, si conosce davvero, i pregiudizi cadono. Nel nostro Club abbiamo gente di destra, di sinistra, cattolici e mangiapreti... È la dimostrazione che la difesa della vita è nel dna di ogni uomo. La chiamerai Mistero con la “m” maiuscola se hai incontrato la Grazia. Ma che un uomo non perde valore in base alla sua condizione, ma resta l’espressione più alta, ancorché misteriosa, di un’umanità degna di essere accudita, è patrimonio di tutti.

— L’esperienza nel Club che cosa ti ha dato?
Mi fa scoprire di più la bellezza della mia vita. Le persone che partono in questi impegni con lo spirito da crocerossina non durano. Sei non sei a posto tu, come puoi relazionarti con un’altra persona? Se invece hai tu trovato il significato da dare alla tua vita, vivi meglio il presente, puoi gustarti un tramonto, la primavera fiorita, l’incontro con altre persone senza pensare “tra dieci minuti devo scappare”. Devo dire grazie a questi disabili gravi e alle loro famiglie, che mi hanno dato di capire il significato vero della mia vita da sano.

— Massimo, cos’è che dà gusto alle tue giornate?
Una domanda da niente - ride Pandolfi -. Ti direi: la bellezza. Incontrando gli artisti nel 2009, Benedetto XVI ha richiamato l’espressione di Dostoevskij: “la bellezza salverà il mondo”. Noi siamo circondati da tanta bellezza, ma a volte è come se avessimo gli occhi chiusi. Quando riesco a respirare - nella natura, nell’arte, in un incontro - questa bellezza che il Signore ci ha dato, ecco, allora sento che mi sto gustando davvero la vita.

Barbara Sartori

Articolo pubblicato sull'edizione di martedì 30 agosto 2011

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