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Né padri-padroni, né "mammi".
Semplicemente padri

Lo psicanalista Claudio Risé invita a riscoprire le differenze del ruolo materno e paterno nel percorso di crescita dei figli

papa bimbo

“Il segno del padre è quello della ferita. Il dolore, il colpo, prodotto dalla perdita”. Le affermazioni dello psicanalista Claudio Risé non sono mai scontate. In questi anni, i suoi studi e il suo impegno per riportare al centro del dibattito il ruolo del padre sono sfociati in pubblicazioni, in un sito internet (www.claudio-rise.it), perfino in un appello “Per il padre”, che ha raccolto il consenso di larga parte del mondo femminile. Questo perché il prof. Risé non scade in un maschilismo sterile quanto il femminismo vecchia maniera. Intende piuttosto valorizzare entrambe le figure genitoriali entro il percorso di crescita dei figli. Perchè il padre non deve tornare il “padre padrone” di antica memoria, ma nemmeno deve ridursi a clone materno.

Alla “Grande Festa della Famiglia”, sabato 18 settembre, proporrà una riflessione sul tema “Il padre, assente inaccettabile?”, che prende spunto dal titolo di un suo libro di successo. “Il padre - spiega nel testo il prof. Risé - insegna, testimonia che la vita non è solo appagamento, conferma, rassicurazione, ma anche perdita, mancanza, fatica. Le esperienze più profonde prendono origine e forma proprio dalla perdita. Il bambino che rimane per sempre nella sfera materna rischia di non fare un passaggio decisivo per la sua crescita di uomo”.

L’ARCO E IL DESIDERIO. Non si tratta solo del rischio di allevare bambini viziati, cui si cerca di evitare il più possibile l’esperienza del divieto, della regola. L’effetto che si produce quando questa figura autorevole viene a mancare è anche quello dell’apatia, della mancanza di desiderio. “Il desiderio - illustra lo psicoterapeuta - è come un arco: se non lo tendi, non puoi scoccare la freccia. I padri cominciano ad accorgersene guardando i figli adolescenti apatici, che fanno fatica persino a progettare una vacanza o a decidere quale regalo vogliono. Sono i padri che dovrebbero istruire a desiderare, a mettere a fuoco un obiettivo per cui impegnarsi, lottare, allenandosi nella presa di distanza e anche nel fallimento, nella caduta, da cui le madri proteggono per mestiere. Questo è il sapere che io chiamo simbolicamente «della ferita». Solo così si educa a tendere l’arco”.

PADRI E MADRI. Nel libro “Il mestiere di padre”, che nasce dal dialogo con padri e figli allacciato in otto anni sulla rubrica del settimanale del Corriere della Sera “Io Donna”, il prof. Risé registra l’inadeguatezza di tanti uomini nel pensarsi padri nel mondo di oggi. Ci sono padri rimasti figli di mamma, padri che pur di evitare conflitti non intervengono, padri che si trasformano in “mammi” e ne restano delusi. Una prova ulteriore della necessità di recuperare la giusta differenza tra il ruolo di padre e quello di madre.
“Dal calore, dall´affetto che la madre prova per il figlio, ed esprime attraverso lo sguardo e le carezze e da ogni suo gesto, dipenderà l’amore che il bambino proverà per sé stesso, la sua capacità di volersi bene. Quindi anche quella di amare realmente gli altri - sottolinea il prof. Risé -. È la simbiosi madre-figlio, la sua centralità nella vita dell’individuo che fa della presenza della madre nei primi anni di vita un caposaldo dell’esistenza individuale”.
Arriva il momento però in cui il figlio deve “staccarsi” dalla mamma, entrare nel mondo. E qui entra in gioco lo specifico maschile. “Il ruolo del padre è quello di iniziare il figlio alla vita, di fargli da ponte verso la società, soprattutto a partire dai 7, 8 anni, indicando attraverso i suoi comportamenti le norme e i limiti, sostenendolo nelle prove che deve affrontare, a cominciare dalla scuola”.
Se i padri demandano questo compito alle madri, o si uniformano al ruolo femminile del “farsi grembo”, il cammino di crescita s’inceppa. “Se la separazione non avviene correttamente - avverte lo psicoterapeuta - l’individuo rischia di rimanere per tutta la vita un bimbo che piange l’oggetto amato da cui è stato separato e ne ricerca, in una sterile richiesta narcisistica, lo sguardo d’approvazione”.

Articolo pubblicato sull'edizione di mercoledì 15 settembre 2010

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