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«Il Ceis è nato nella nostra cucina»
 

L’amicizia tra don Bosini, Benito e Gabriella Castellani e un gruppo di famiglie ha portato a Piacenza la novità di Progetto Uomo

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“Don Giorgio, mi drogo, aiutami”. Nasce dal grido d’aiuto di una studentessa di 18 anni che don Giorgio Bosini aveva conosciuto quand’era assistente dell’Azione Cattolica Ragazzi l’associazione “La Ricerca Onlus” che nel 1980 porta, a Piacenza, l’intuizione del Progetto Uomo di don Mario Picchi.
Il germoglio di questa realtà, che sin dall’inizio ha voluto camminare con i ragazzi al fianco delle famiglie, è spuntato nella cucina di Benito e Gabriella Castellani. L’sos lanciato a don Bosini - che dei Castellani era grande amico - ha smosso persone, creato incontri, tessuto relazioni. Si è partiti con una cena a casa Castellani, si è arrivati alla nascita del Ceis, Centro Italiano di Solidarietà, poi diventato associazione “La Ricerca Onlus”.

A questa umanità ferita e allo sbando, che trascina con sé le proprie famiglie, Benito Castellani si è dedicato fino alla fine mettendo a disposizione dell’associazione la sua professionalità di informatico, ma anche la sua carica umana e la sua fede.

L’amore di Dio fa nuove tutte le cose

È dedicata a lui la nuova uscita, a firma di Barbara Sartori, della collana “Il centuplo quaggiù e l’eternità”, che gli abbonati al nostro settimanale ricevono in omaggio con questa edizione de il Nuovo Giornale. Volto noto del volontariato piacentino (è stato anche vicepresidente di Svep) Benito insieme alla moglie Gabriella è stato - oltre che tra i pionieri de “La Ricerca” - uno degli attivi protagonisti della nascente parrocchia di San Giuseppe Operaio, ideatore, con gli amici, di mille iniziative di aggregazione, dalle società sportive del quartiere alla “Festa da Steimbar”.

Originario di Sant’Andrea a Bagni, in provincia di Parma, dov’era nato nel 1939, rimasto orfano di padre e cresciuto in collegio, approda a Piacenza a quasi trent’anni come tecnico della “Olivetti” incaricato di seguire l’assistenza nelle aziende. Uomo dalla volontà ferrea e dal carattere taciturno, segnato dalle ferite dell’infanzia, nell’incontro con Gabriella, che sposa nel 1969, pensa di aver trovato casa. Ma entrambi devono fare i conti con i nodi del passato.
È nella loro parrocchia di San Giuseppe Operaio che incontrano il Cammino neocatecumenale, in un momento di fortissima crisi matrimoniale. È, per loro, un nuovo inizio. Benito non esitava a definire quello suo e di Gabriella un “amore redento” dall’amore stesso di Dio, che li ha spinti a spalancare le porte di casa al prossimo, a partire dai tossicodipendenti che iniziavano il percorso di recupero, fino ai bambini di Villa Grilli.

Ricostruire la persona

Benito e Gabriella - anche se con compiti differenti - sono stati “famiglia” per tanti ragazzi dell’associazione. Nei primi anni Ottanta l’urgenza era il dilagare dell’eroina. Con il tempo si sono affrontate nuove sfide: le persone con disturbi psichiatrici legati all’uso di sostanze, le “nuove droghe” chimiche che bruciano il cervello, l’emergenza Aids che ha portato alla nascita della casa “Don Venturini”, la necessità di accompagnare in un cammino di recupero le mamme tossicodipendenti con i loro bambini.

“La Ricerca” ha esteso i suoi gruppi di auto mutuo aiuto alle coppie in crisi, a chi rischia di scoppiare per il peso di un’assistenza faticosa a familiari anziani o malati, a chi vive il dolore del lutto. Ha avviato l’accoglienza a un gruppo di richiedenti asilo, fedele al mandato di Progetto Uomo di fornire, prima che una terapia, una rete di relazioni.
Ecco perché - a distanza di oltre trent’anni - Progetto Uomo mantiene la sua attualità e può essere applicato ovunque la persona viva una lacerazione, una condizione che la mette “a rischio”.
“Il cuore - spiega don Bosini - è la valorizzazione della propria identità, la conoscenza di Dio attraverso l’uomo, attraverso l’ascolto della sua domanda più profonda, quella sul senso della vita. La comunità prima che un luogo è uno stile di vita: la relazione è determinante per il recupero”.

I giovani delle Gmg e le Lodi all’hospice

Di carattere riservato, quasi spigoloso, ha saputo farsi accanto a tanti, sul lavoro, in parrocchia, nel volontariato.
La famiglia ne ha avuto piena consapevolezza soltanto dopo la morte, avvenuta dopo 12 anni di malattia il 14 dicembre 2013.
Nella debolezza della croce, l’amore di Dio da cui si era sentito avvolgere l’ha reso maestro e amico. È stato un testimone soprattutto per i giovani che ha accompagnato alle Giornate mondiali della Gioventù, l’ultima a Madrid, nel 2011, già gravemente malato. Ogni mattina, partivano da Piacenza per recitare le Lodi con lui attorno al suo letto all’hospice di Casalpusterlengo.

(pubblicato su "il Nuovo Giornale" di giovedì 1° dicembre 2016) 

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