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Rotary Piacenza: valorizzare il dialogo interreligioso

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“Convivenza, inclusione ed accoglienza nella Piacenza multietnica e multireligiosa” è il tema del ricco dibattito, organizzato dal Rotary Piacenza, che ha visto protagonisti il vescovo mons. Adriano Cevolotto, il presidente della comunità islamica di Piacenza Yassine Baradai e il diacono della chiesa ortodossa romena Teodor Ursachi.
Moderati da Augusto Pagani, i tre si sono confrontati a distanza - online - sull’importanza del dialogo interreligioso per far crescere Piacenza, alle prese, inoltre, con una crisi demografica e qualche problema nell’integrazione, nella comunità locale, dei giovanissimi.

Baradai: c'è ancora molta strada da fare

 “La nostra è una comunità recente sul territorio - ha esordito Baradai - ha vent’anni, si è costituita nel tempo ed è composta da diverse etnie: albanesi, egiziani, marocchini, arabi, sub-sahariani. Al nostro interno la convivenza è pacifica: condividendo i valori si riescono a tenere insieme le persone”. Per Baradai Piacenza è “comunque accogliente e i dati lo dimostrano”. “Non è una città esclusiva - ha aggiunto -, dà opportunità. Se tanti stranieri abitano a Piacenza, è perché qui si può vivere, oltre all’offerta di lavoro. Altrimenti se ne andrebbero altrove”.
Si stimano 10mila musulmani residenti nel capoluogo. “Rispetto ad altre realtà riteniamo che vi siano molte più famiglie, quindi nuclei stabili, con figli che crescono qui”. Per il presidente della comunità islamica il dialogo interreligioso “è uno strumento utile per introdurli alla vita nella società, far capire quali sono i valori nei quali crediamo per convivere. L’unico aspetto negativo è che abbiamo ancora molta strada da fare”.

Vescovo Cevolotto: se c'è interesse a dialogare è un bene

A detta di tutti, il cammino è ancora lungo. “Vent’anni possono sembrare molti – ha precisato mons. Cevolotto - ma in realtà è poco tempo. Lo sappiamo, all’inizio da parte di molti piacentini ci possono essere stati «timori, paure, sospetti». Qualcuno si è sentito «invaso dal nemico». Con la paura e la difesa non si va da nessuna parte, bisogna comprendere e capire”. Per il vescovo l’accoglienza e il dialogo non coinvolgono solo l’ambito religioso. “C’è anche la questione della lingua, della cultura. Però il dialogo tra noi è importante, mi riferisco più a quello umano, tra le persone, rispetto a quello istituzionale. Se c’è interesse a conoscersi e dialogare è un bene”. Comunque la diversità è sempre arricchimento. “Le distinzioni non sono separazioni: essere differenti non significa essere contrapposti”. La diocesi spalanca le porte: “stiamo incontrando la comunità islamica, quella ortodossa e quella metodista”.

Ursachi: un dialogo umano

Il diacono ortodosso Ursachi ha concordato con il Vescovo. “Il dialogo, prima di essere religioso, deve essere umano. Se entrambi i confronti proseguono, si dimostra la comunione dell’uomo. A Piacenza tutto questo lo vediamo e ne sono felice, siamo ad un buon punto. Possiamo migliorare ma la base c’è”.

Pagani ha invitato gli ospiti a discutere dei possibili interventi per favorire l’integrazione e inclusione sociale, soprattutto dei giovani. “Sono arrivato in Italia a 7 anni – ha parlato della sua storia personale Baradai -. La cosa più brutta è sentirsi chiamare «straniero». Quando ho iscritto i miei figli a scuola, non ho apprezzato sentirli definire «stranieri» dalle maestre: sono nati e cresciuti qui. Non dobbiamo far percepire ai nostri giovani questa sensazione, da piccoli. Essere visti come «non italiani», «estranei», è frustrante. La maggior parte di questi bambini, quando crescono, vengono rifiutati anche dalla propria origine. Quindi si sentono respinti da entrambi i Paesi. Per questo auspico che la scuola sia più inclusiva, per far sentire tutti a casa propria”.
“Incontrando i veneti che sono emigrati nel mondo - è il ricordo del trevigiano mons. Cevolotto – ho notato che si sentivano stranieri sia in Italia che nel Paese che li ha accolti. È giusto entrare in un contesto senza dover rinnegare le proprie origini. Bisogna aiutare ciascuno ad essere sé stesso. Le differenze non devono farci opporre. Per i giovanissimi forse non è il dialogo interreligioso lo strumento più necessario, vivono altri problemi a quell’età. Ritengo la scuola e lo sport i due mondi dove i giovani possono sentirsi integrati”.

Anche Ursachi ha parlato della sua vicenda personale. “Come Baradai sono in Italia da quando ho 7 anni, ho fatto le scuole in questo Paese e noto che le persone che hanno Fede riescono ad integrarsi meglio, da tutte le parti. Infatti ai bambini e ragazzi ai quali facciamo catechesi insegniamo prima di tutto la bontà”. Per favorire l’integrazione, Ursachi ha ribadito l’importanza di “dare il buon esempio a chi non ha ancora l’intenzione di lasciarsi coinvolgere”. Cevolotto è conscio della delicatezza del cammino da intraprendere: in tutte le comunità ci sono ancora oggi molte persone che non sono disposte a dialogare. “Serve tempo per cambiare certe dinamiche – ha convenuto Baradai -. Noi, ad esempio, ci teniamo ad insegnare la nostra religione in italiano, perché parlare in arabo significa separare i mondi. I ragazzi apprezzano, perché così si tengono in equilibrio tra i loro due mondi”.

Nella foto, da sinistra, Yassine Baradai, il vescovo Adriano Cevolotto, Teodor Ursachi.

Pubblicato il 25 gennaio 2022

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