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Maria Vercesi, il «giglio» sul monte

La sua tomba nel cimitero di Madonna del Monte

MariaVercesi
Se d’estate ci si avventura in Val Tidone si può scoprire nel piccolo cimitero di Madonna del Monte, a due passi dal santuario, nella solitudine assolata della cima del colle, circondata da campi e boschi e poco altro, una tomba che contiene una giovinetta che, nei suoi giorni, commosse e ispirò tutti quelli che la conobbero, che la consideravano una piccola santa.

Si tratta di Maria Giuseppina Vercesi che morì ad appena venti anni, dopo aver accettato e sopportato con eroica fede quindici anni di tormentosa malattia degenerativa.
Quella tomba riceve ancora visite di persone che, con fede, cercano un incontro con quella ragazza semplice e povera, afflitta dalla malattia ma salda nella sua fede incrollabile.
Padre Eugenio Fornasari, sacerdote paolino e giornalista l'ha definita “giglio sul monte” nello scriverne la storia ("Un giglio sul monte, biografia di Maria Vercesi", edizioni San Paolo), tanto bello quanto effimero.

Maria nacque il 16 agosto 1913 a Luzzano di Rovescala, in provincia di Pavia, dove si erano trasferiti i suoi genitori, Pietro Enrico Vercesi e Bollani Elvira, sposatisi a Ziano l’anno prima.
Qualche anno dopo, Pietro divenne fattore del conte Cigala-Fulgosi nel comprensorio di Careggio, nella parrocchia di Santa Maria del Monte.
I ricordi di chi lo conobbe ce lo dipingono come un buon uomo, lavoratore gioviale e socievole. Aveva però un problema: un amore sfrenato per il vino.
I racconti dicono che nei giorni di mercato egli tornava a casa solo grazie al cavallo del suo calesse, che ben conoscendo la strada lo riportava a casa, immerso in un pesante sonno.

La piccola Maria aveva capelli castani e occhi grigio-verdi pieni di vitalità e curiosità.
Da bimba era di sorriso contagioso e sempre in movimento, come avesse sentore di avere un tempo limitato davanti a sé.
E un giorno le forze le mancarono. Alzatasi a stento dal letto, riuscì a fare solo pochi passi, e ben presto non sarebbe più riuscita a reggersi in piedi.
Una forma grave di adrenoleucodistrofia, rara malattia genetica tuttora molto grave ed allora senza alcun rimedio.
Quella bambina trovò conforto nella fede, che si rafforzò più di quanto il corpo si indeboliva.
Volle subito unirsi alla gioventù femminile di Azione Cattolica quando si formò la sezione parrocchiale, nel 1922.

Il 13 aprile 1923, mons. Ersilio Menzani, nuovo vescovo di Piacenza, visitò la parrocchia di Santa Maria del Monte e vi amministrò le cresime e le comunioni. Maria ricevette così i due sacramenti, dopo essersi preparata con passione, senza lasciarsi ostacolare dall’infermità.

In quegli anni in cui la povertà era tanta e il riscaldamento non esisteva, nelle notti fredde si dormiva nel tepore della stalla.
Fu proprio qui che una notte, in un incidente, il ragazzo incaricato di badare alle bestie finì con il perforare l’occhio sinistro di Maria, che perse il cristallino lasciandola cieca.

Maria non solo accettò, ma progressivamente si innamorò del suo destino di sofferenza, il suo vivere come crocifissa con Cristo.
Quando le energie la abbandonavano e anche cucire e ricamare diventava impossibile, osservava l’orizzonte.
“Penso al paradiso”, diceva a chi la visitava.
Quando il tempo era buono portavano il suo giaciglio all’aperto e lì riceveva gli altri bambini e le persone di passaggio, con una parola buona per tutti.

Nel maggio 1929 la Gioventù Femminile di Azione Cattolica organizzò un pellegrinaggio a Madonna del Monte, su cui confluirono centinaia di circoline con i loro stendardi, e anche l’allora presidentessa diocesana, Carmela Prati, che volle incontrare la piccola malata.
Fu quell’incontro, affettuoso e sincero, a rafforzare in Maria la convinzione che la sua sofferenza era un’offerta a Gesù, e che alla sua volontà si abbandonava completamente.

Maria fu portata in pellegrinaggio a Lourdes, da dove tornò con la serena convinzione che non sarebbe guarita, ma che più grande grazia le fosse stata accordata.
Quando si presentò l’occasione di andare di nuovo al santuario, vi rinunciò dicendo che invece della guarigione aveva pregato per una differente grazie per la famiglia.

Il padre capì che Maria si sacrificava per lui, perché si salvasse dall’alcolismo che lo trasformava in quello che non era. Quella consapevolezza gli diede la forza di cambiare.

Maria fece sua la preghiera del padre gesuita Giovanni Bigazzi, anche lui allettato da un’infermità incurabile:
“Il mio penare è una chiavina d’oro, piccola, ma che apre un gran tesoro.
È croce; ma è la croce di Gesù.
Quando l’abbraccio non la sento più”.

La sua fede incrollabile divenne nota a tutti, e sempre più persone la visitarono.
Preannunciò con serenità la sua morte alla madre, dicendole che la Madonna sarebbe presto venuta per lei.
Alla sorellina Amelia disse un arrivederci altrettanto profetico: lo stesso morbo avrebbe presto aggredito anche lei, portandola alla morte a soli 23 anni.

Il 30 luglio 1933 si spense con il sorriso.
Le sue ultime parole furono “È la Madonna. Eccola, è venuta.”

Al suo funerale intervenne una folla memorabile.
Il corteo, bianco per gli abiti delle sorelle di Gioventù Femminile Azione Cattolica che a turni portarono il feretro fino al monte.

Gabriele Molinelli

Pubblicato il 7 agosto 2019

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