Menu
logo new2015 ok logo appStore logo googleStore

«Giotto-non Giotto ad Assisi», il prof. Zanardi a Palazzo Galli

 Crosta Zanardi

«È complicato attribuire ad un’unica “mano” le Storie di san Francesco affrescate verso la fine del Duecento nella Basilica Superiore di Assisi»: è la conclusione a cui è giunto il prof. Bruno Zanardi sul dibattuto tema “Giotto-non Giotto ad Assisi”, nel corso della conferenza tenuta a Palazzo Galli nell’ambito della Primavera culturale organizzata dalla Banca di Piacenza.
Il relatore - come ha ricordato il direttore generale dell’Istituto di credito di via Mazzini Mario Crosta - 34 anni fa curò il restauro degli affreschi della cupola di Santa Maria di Campagna, tornati all’attenzione del grande pubblico grazie alla Salita al Pordenone.

Se le "Storie di san Francesco" siano state affrescate dal fiorentino Giotto oppure da un pittore romano di cui non si conosce il nome, è una questione a tutt’oggi irrisolta, anche se aperta da secoli: il primo a mettere in dubbio l’attribuzione fu, nel 1450, Lorenzo Ghiberti.
«La querelle è di essenziale importanza per la storia dell’arte - ha spiegato il prof. Zanardi - visto che in quegli affreschi si compie il superamento in senso naturalistico della “maniera greca”, cioè bizantina, da cui nasce la nuova lingua figurativa, appunto naturalistica, dell’Occidente».

Sul “Giotto-non Giotto” la critica si è nel tempo schierata su due sponde opposte.
Chi - soprattutto nell’area internazionale - colloca le "Storie di san Francesco" in un ambito di cultura romana (da Richard Offner a Federico Zeri); chi invece, soprattutto l’area critica italiana, da Adolfo Venturi a Roberto Longhi, ritiene gli affreschi del grande fiorentino.

Non ci sono dubbi - ha evidenziato il relatore - sul fatto che Giotto si sia occupato della parte inferiore della Basilica di Assisi, dove ha dipinto vele, transetto destro, Cappella di San Nicola, e Cappella della Maddalena, mentre è sicuramente più complicato attribuirgli anche le decorazioni della basilica superiore.
Bruno Zanardi è entrato nella questione con un nuovo sistema di indagine, derivato dalla profonda conoscenza dei dipinti da lui stesso restaurati, che prende in considerazione i modi di costruzione materiale di un’opera d’arte.
Lo studio, contenuto in due volumi scritti da Zanardi, ha preso in esame l’organizzazione del lavoro nell’intero cantiere.
«Le scene del ciclo francescano sono 28 - ha illustrato l’oratore proiettando una serie di immagini -, 13 nella parete di destra, 13 in quelle di sinistra e 2 in controfacciata. Per realizzare un ciclo così vasto il lavoro veniva organizzato in giornate e i pittori coinvolti erano tanti. Si curava l’uniformità dei colori e si usavano sagome, dette patroni, per garantire ugual proporzione alle figure. Se però si osserva la parte destra e la parte sinistra del ciclo, si vede chiaramente che la mano non è la stessa».

Risulta quindi difficile attribuire ad un solo artista questo capolavoro.
«E’ evidente - ha concluso il prof. Zanardi - che se Giotto non avesse dipinto il ciclo francescano, questo nulla toglierebbe alla grandezza del pittore».

Pubblicato il 14 marzo 2019

Ascolta l'audio

"Il Nuovo Giornale" percepisce i contributi pubblici all’editoria.
"Il Nuovo Giornale", tramite la Fisc (Federazione Italiana Settimanali Cattolici), ha aderito allo IAP (Istituto dell’Autodisciplina Pubblicitaria) accettando il Codice di Autodisciplina della Comunicazione Commerciale.

Amministrazione trasparente