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Ammalarsi di cancro

libroRuggieri

Nato in ambiente operaio, Riccardo Ruggeri - imprenditore, giornalista, editore e scrittore - è un uomo di successo. Un “self-made man”, che con costanza e professionalità, ha scalato la china, arrivando fino ai vertici di una grande azienda come la Fiat.
Un giorno riceve una comunicazione: lo informano che ha un cancro alla prostata. Comprende che il cancro, cattiva compagnia, o “bad company” appunto – come lo chiama lui – non va ingigantito. Non è un nemico, è un intruso e come tale va trattato.
Proprio di questo si occupa il suo ultimo libro, che si intitola: “Il cancro è una comunicazione di Dio” (Edizioni Grantorino Libri), presentato nelle scorse settimane al Circolo dell’Unione in Piazza Cavalli a Piacenza. A introdurre il relatore, il giornalista Gaetano Rizzuto.

— Parlare del cancro oggi: un argomento scomodo?
Credo che questo libro possa essere utile a molte persone. Io credo di aver fatto servizio pubblico, anche se mi rendo conto che parlare del cancro è una delle cose più sgradevoli che ci sia.
Mi è successo ad esempio nelle mie presentazioni, di vedere persone che non si avvicinano nemmeno, perché hanno avuto persone in casa morte a causa di questa malattia e quindi lo vivono come un nemico.
Io non l’ho vissuto come un nemico, ma come un intruso e quindi l’ho delegato a chi se ne deve occupare.

— Come ha reagito lei alla notizia e cosa intende per un intruso?
Prima di tutto non ho condiviso il fatto nominalistico di definirlo “una lesione”, come fanno i medici, perché il cancro è il cancro.
Una lesione può essere quella al menisco, ma il cancro è un’altra cosa.
Non si può banalizzare, ma neanche esaltare: è una delle tante malattie che ci sono.
Se gli diamo troppa importanza, mi sembra che poi viviamo male.

Lei parla disinvoltamente della malattia: molti non ne parlano neanche. Come ci riesce?
Io voglio parlarne e portare semplicemente la mia esperienza, non è che io abbia la soluzione in tasca.
Del cancro in sé io non ne parlo neppure, perché non ne so assolutamente niente.
Di solito molti di quelli che lo considerano un nemico, vanno su internet e si documentano al massimo sull'argomento. Così nell'arco di sei mesi sanno tutto sul cancro, più dei professori.
Io non ne so niente e non voglio saperne niente, perché ho delegato tutto agli specialisti.

Dove trova la forza per affrontarlo?
Questa è la forza: non considerarlo un nemico, ma semplicemente un intruso.
Un po’ come quando lavoravo e gestivo aziende in crisi: la prima cosa che fai quando hai un’azienda in crisi, prendi tutto – appunto - il cancro di una parte di quell'azienda, perché venga eliminato ed io ho fatto esattamente la stessa cosa.
Quindi non penso di aver fatto niente di eccezionale.

— Nella sua vita, chi le ha trasmesso questa forza?
Beh, la mia è stata una vita straordinaria, perché sono partito come operaio, figlio e nipote di operai, gente poverissima e sono salito ai vertici della Fiat.
Quindi ho passato 40 anni da poveraccio e altri 40 anni ai vertici e dunque conosco entrambi questi mondi.
Conosco perfettamente il mondo della povertà per averci vissuto a lungo e anche non essendo cambiato molto rispetto ad allora, sebbene noi come poveri avevamo più prospettive dei poveri di oggi, a mio parere.
E poi ho vissuto anche tutto questo mondo rarefatto e, detto tra noi, molto fasullo, e tutto questo mi dà una serenità che, come vede, mi fa pensare che sia utile parlarne per essere utile a qualcuno.
Se anche fossi utile ad uno solo, sarebbe già sufficiente.

— Com’è nato il titolo del libro?
Vede, come editore io ho fatto un errore, perché a dire il vero, come autore avrei voluto intitolarlo: “Il cancro è una bad company”, cioè la parte brutta di una società.
Invece la prima frase che mi è venuta è stata quella del cancro come una comunicazione di Dio, ma questa frase è stata anche fraintesa da molti lettori, che si sono forse sentiti intimoriti dal tema.

In realtà, pensando alla mia vita io avevo sempre pensato che sarei morto di problemi cardiocircolatori, come tutti i miei antenati, invece ad un certo punto della vita mi è arrivata questa “comunicazione” da parte di Dio, nella quale mi sorprendeva informandomi che avevo un cancro.
E così è nata l’idea del cancro come comunicazione da parte di Dio.

— Quindi Dio come l'ha coinvolto?
Io sono un cattolico “non adulto”. Non mi piace chi si definisce cattolico adulto. Tu sei cattolico e punto.
Io vengo da una famiglia comunista atea, ma mia madre che era un’anarchica e veniva da Massa Carrara, quindi di ambiente anarchico, ha sempre voluto che andassi a scuola dai preti, voleva che frequentassi la scuola cattolica, pur parlando malissimo dei preti e della Chiesa.
Ma il suo senso di libertà era talmente forte che me l’ha trasmesso e alla fine io ho sposato quest’esperienza giovanile.

Gaia Corrao

Nella foto, da sinistra, il dott. Stefano Sfulcini, presidente del Circolo dell’Unione, il giornalista Gaetano Rizzuto, l’autore Riccardo Ruggeri il dott. Luigi Cavanna, direttore del dipartimento di oncologia e ematologia dell’ospedale di Piacenza.

Pubblicato il 27 dicembre 2018

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