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Glorificare i successi e dimenticare i fallimenti: così Putin “rimpiange” l’Unione Sovietica e ne riscrive la storia

de florio giulia copia

Arresti sommari e pretestuosi, bavagli alla libera informazione, indottrinamento e riscrittura della storia: tutto questo accade nella Russia di Vladimir Putin fin da tempi non sospetti. Un’impostazione di regime che gradualmente ha condotto all’invasione dell’Ucraina nel 2014 prima e nel 2022 poi. Giulia De Florio, ricercatrice all’Università di Parma, è attivista di Memorial, ong vincitrice del Premio Nobel per la Pace 2022 dopo essere stata sciolta dalla Corte suprema russa.

— Memorial è nata nel 1989 per denunciare i crimini del regime sovietico. Cosa c’è di diverso tra quel regime e il governo russo di Putin?
È sempre difficile fare paragoni storicamente validi e scientificamente fondati quando le circostanze sono così diverse. Ed è impossibile considerare il regime sovietico un'esperienza omogenea e tutta uguale, dato che il regime è evoluto e si è modificato tra Lenin e Gorbačëv. Quello che hanno notato gli studiosi negli ultimi anni è che l'ideologia di Putin si avvale di un insieme di significati e simboli che fanno leva su vari momenti della storia russa (medievale e zarista) e sovietica, inserendoli nel contesto post-sovietico attraverso una retorica nazionalista che seleziona con accuratezza determinati eventi del passato da glorificare (la vittoria nella Seconda guerra mondiale) o, al contrario, da nascondere o riscrivere (il Gulag). Il tutto espresso con un linguaggio emotivo efficace, un controllo ormai quasi assoluto dei mezzi di comunicazione e una propaganda meticolosa e capillare.

— E di simile?
Simili rispetto agli anni Sessanta-Settanta, momento in cui nasce e si sviluppa il dissenso come fenomeno sociale e artistico vero e proprio, ci sono senz'altro le pratiche di repressione delle voci di opposizione: la presenza di un sistema giudiziario totalmente alla mercé della volontà politica e gli arresti a tappeto fanno pensare ai grandi processi della seconda metà del Novecento, da Sinjavskij/Daniel' in poi, ma con condanne ancora più dure oggi rispetto al periodo di Brežnev. L'atmosfera di paura, sospetto e silenzio ricorda molto da vicino quella degli anni più bui dell'epoca staliniana.

— La corte suprema russa ha sciolto Memorial a dicembre 2021, due mesi prima dell’invasione dell’Ucraina. Allo stesso modo sono stati censurati mezzi di informazione e voci dissidenti. In Russia si parla solo la lingua di Putin. Cosa sanno e cosa pensano i russi?
Quello che un cittadino russo pensa, quello che dice e quello che fa sono diventate tre azioni ben distinte e non sempre coerenti l'una con l'altra. Di fronte ai rischi e ai pericoli a cui ci si espone esprimendo il proprio pensiero è chiaro che esternamente si minimizza la comunicazione personale e non si prendono posizioni aperte, di qualunque tipo. In ufficio probabilmente non si dice quello che si pensa o ci si adegua a un pensiero indifferente e scollegato dalla realtà. Nelle famiglie posso immaginare che il discorso si sia polarizzato. Sappiamo per certo che l'invasione russa dell'Ucraina ha distrutto molti legami intimi e familiari, nella società russa la pervasività della propaganda ha creato narrazioni molto semplici e di forte impatto, facendo leva su sentimenti profondi, quasi archetipici. Quanto sia consapevole l’adesione di una buona parte della società alla visione del mondo proposta dal governo russo è difficile capirlo, così come non si deve considerare l’opposizione un’unica massa di voci indistinte. La lingua di Putin si parla senz’altro in moltissimi luoghi e in altrettante coscienze. Ma non è data per sempre ed è importante capire che questi meccanismi, peraltro comprensibili più nell’ambito della psicologia che della sociologia o della politica, possono essere interrotti.

— Come si concretizza oggi l’azione di Memorial, dopo lo scioglimento?
Memorial è stata formalmente sciolta in parte, alcune sedi all’interno della Federazione Russa non sono state (ancora) chiuse e continuano le proprie attività, pur nella consapevolezza di essere nel mirino degli organi di sicurezza (altre sedi hanno subito perquisizioni e minacce) e dovendo affrontare difficoltà sempre maggiori per portare avanti le proprie ricerche e iniziative. Il lavoro con gli archivi, per esempio, è molto osteggiato, quando non apertamente bloccato. Una parte dei collaboratori di Memorial è emigrata all’estero dove sono stati ripresi i progetti lasciati in sospeso dopo lo scioglimento. Parallelamente si è consolidata la collaborazione con le altre sedi di Memorial in Europa: Francia, Germania, Repubblica Ceca, Belgio, Polonia. Due segnali mi sembrano molto importanti: innanzitutto continua la collaborazione con Memorial Ucraina, ed è motivo di grande gioia. Insieme al Gruppo per la difesa dei diritti umani di Charkiv portiamo avanti il progetto Voci dalla guerra che raccoglie testimonianze di persone ucraine che sono state colpite da questa tragedia. I video e le interviste vengono tradotte e sottotitolate in varie lingue e diffuse nei nostri canali social (Facebook, Instagram, Twitter e Telegram) e sul nostro sito. In secondo luogo, proprio nel momento di massima persecuzione e pericolo, sono state aperte nuove sedi di Memorial. Il messaggio mi sembra chiaro: siamo qui (e “qui” può voler dire il mondo intero) e non ci arrendiamo.

— Ai suoi studenti lei insegna la letteratura russa. Esattamente un anno fa un ateneo milanese chiese a un docente di rinviare una serie di lezioni dedicate a Dostoevskij. Quanto è pericoloso addossare a un popolo intero, addirittura ai suoi personaggi più illustri, le colpe di una guerra decisa da pochi?
È miope e pericoloso, ma a parte quel caso isolato fortunatamente non accade. Ricordo che alla prima della Scala l’anno scorso è stato messo in scena Evgenij Onegin, nei nostri corsi insegniamo regolarmente Tolstoj, Dostoevskij, Gogol’ e tutta la letteratura russa che vogliamo. Vedo finalmente che si dà più spazio anche alle altre letterature slave, in particolare quella ucraina, ed è un bene, visto che il nostro settore scientifico disciplinare è, appunto, Slavistica. I personaggi illustri del passato non hanno “colpe” sul presente, questo è verissimo, e il nostro compito di docenti e studiosi, a mio parere, è conoscere e far conoscere artisti e artiste collocandoli nel loro contesto e nella loro epoca. Non per giudicarli (non è quello lo scopo della letteratura e nemmeno della storia della letteratura) né per agitarli come marionette che ci raccontano cosa dobbiamo fare nel presente, ma per comprenderne le dinamiche profonde, e spesso la bellezza che racchiudono. Non è però nemmeno così semplice “fare cultura” restando al di fuori delle logiche politiche attuali. Ad esempio, il fatto che il direttore dell’Ermitage si sia apertamente schierato a favore dell’invasione russa ci impone di chiederci che significato assuma portare, oggi, qui da noi, le collezioni del museo. La lascio come domanda aperta, credo che le situazioni debbano essere esaminate caso per caso, senza isterismi. E senza lucrare da tutte le parti, anche soltanto a scopo di visibilità, su tragedie immense come la guerra.

— Questa guerra è stata preparata per anni dal governo russo. Ora bisogna preparare la pace. In che modo finirà questo conflitto?
Non sono un'esperta militare né una scienziata politica o un’economista, posso solo augurarmi che il conflitto finisca con la vittoria dell’Ucraina, con la restituzione dei territori che le appartengono, e con l’apertura di un processo all'Aja per crimini di guerra nei confronti di Vladimir Putin e di molti altri esponenti del governo e delle élite russe al potere. Posso augurarmi che tutti i prigionieri politici siano rilasciati nel minor tempo possibile e sia data agli oppositori l’opportunità di costruire nel paese un sistema democratico. E posso augurarmi che tutte le ong e le associazioni che si occupano di questioni pressanti – ecologia, Lgbt, migrazione etc. – possano tornare a lavorare e migliorare la società civile russa. Questi desideri confinano pericolosamente con l’utopia e il sogno, me ne rendo conto. Ma ognuno nel suo piccolo e piccolissimo può fare la propria parte, e se non ci poniamo un obiettivo alto, non sapremo mai se quest’ultimo è un orizzonte impossibile da raggiungere o una realtà a portata di mano.


Francesco Petronzio

Pubblicato il 27 aprile 2023

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