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Il Vescovo: «Impariamo da Scalabrini a non ricercare soluzioni a basso costo»

lettera

 

“Non abbiamo adottato il pensiero cattedrale, ossia quell’attitudine, tipica del Medioevo (che ancora qualcuno si ostina a considerare un periodo buio), in cui si erigevano chiese e palazzi avendo i decenni come unità di misura”. Sono le parole di Gerolamo Fazzini in un articolo pubblicato da Avvenire il 10 settembre scorso.
Parte da questa citazione mons. Adriano Cevolotto, vescovo di Piacenza-Bobbio, per introdurre la sua Lettera pastorale, nel secondo dei due giorni del Convegno pastorale diocesano in Duomo. “La nostra Cattedrale – dice il Vescovo – è stata costruita in 110 anni. Non possiamo occuparci solo di oggi, bensì guardare l’oggi come ciò che costruisce un domani, non come fine a sé stesso. Il mio invito è ad abbandonare la percezione del nostro oggi vedendo ciò che era ieri. Un «oggi» cominciato in sé e concluso in sé è destinato a implodere, a collassare”. Quest’anno due avvenimenti provvidenziali dal punto di vista pastorale, la canonizzazione di un grande vescovo della nostra diocesi, san Giovanni Battista Scalabrini, e i 900 anni della Cattedrale, coincideranno il 23 ottobre (ore 16) con una celebrazione nel massimo tempio cittadino.

Il nostro lavoro è al servizio di un domani

Nel corso della mattinata di sabato 15 ottobre il vescovo mons. Cevolotto e il vicario per il coordinamento pastorale don Paolo Cignatta hanno spiegato il contenuto della lettera e del programma pastorale 2022-2023. Prima di passare ai punti programmatici del prossimo anno pastorale, non si poteva evitare di menzionare san Giovanni Battista Scalabrini.
“Migrare, voce del verbo sperare” è il ritornello del primo canto del musical “Terre lontane”, dedicato a Scalabrini in occasione della canonizzazione. “È una frase – fa notare mons. Cevolotto – che offre una chiave di lettura importante della missione del Santo e della sua opera di cura verso coloro che migravano, che hanno custodito la speranza di avere un domani. La santità di questo vescovo si è manifestata soprattutto in questa sua cura, verso i migranti e in diocesi. Lo Scalabrini incarnò in pieno il «pensiero cattedrale».
Scalabrini disse: «Non possiamo correre il rischio di assecondare la logica della soluzione immediata ai problemi che si presentano». L’ambiente virtuale fa la sua fortuna in questo modo, illuderci che ci sia soluzione immediata per tutto. La risposta che dobbiamo dare va oltre l’oggi: è una risposta che non c’è, bisogna preparare, attendere per iniziare a lavorare. Il nostro lavoro è al servizio di un domani, come noi siamo stati frutto dell’amore, lavoro, dedizione di altri prima di noi. Intraprendiamo dunque cammini con le nostre valigie di cartone, come partivano al tempo i nostri emigrati, coltivando come loro la certezza che ci sia terra promessa oltre l’oceano. Questo è l’appello alla santità che ci è rivolto e che dobbiamo fare nostro. Scalabrini ci dice che è possibile: la santità anima la speranza”.

Ecco, io faccio una cosa nuova

Il titolo della lettera pastorale è tratto da un brano del libro del profeta Isaia: “Ecco, io faccio una cosa nuova […], non ve ne accorgete?”. Papa Francesco dice che “non viviamo in un’epoca di cambiamenti, viviamo in un cambiamento d’epoca”. “Non solo – ribadisce mons. Cevolotto nella lettera pastorale – ciò che in più occasioni viene affermato, cioè che siamo in presenza di qualcosa di nuovo che sta sorgendo, trova in molti di noi poca evidenza, poca convinzione. Di fronte alle parole del profeta Isaia molti rispondono: «No, non ce ne accorgiamo». La «cosa nuova» dipende molto da chi la riconosce e da quanto ci si dedica. Chiede infatti un atto di fede e disponibilità a farla crescere”.

I cantieri di Betania

Il secondo anno del cammino sinodale parte dall’episodio di Marta e Maria nel vangelo di Luca, “due sorelle davanti a Gesù”. La Cei individua tre strade da percorrere: il cantiere della strada e del villaggio, il cantiere dell’ospitalità e della casa e il cantiere delle diaconie e della formazione spirituale.
“Questo secondo anno sinodale continua a essere affidato all’ascolto: è un cantiere di restauro, più che un’opera nuova, e non si riduce alla dipintura, non è un intervento sulla facciata che dà sulla strada”. Con questa metafora, il vescovo Adriano avverte che la “cosa nuova” non sarà qualcosa di evidente, di appariscente; tuttavia, sarà un’azione fondamentale per la vita della Chiesa. Dall’ascolto alla conversione pastorale: “L’ascolto – rimarca il Vescovo – è della promessa che Dio continua a fare oggi, della sua parola, che apre sguardi verso ciò che ai più distratti risulta invisibile. Conversione è dare credito al Signore. C’è di più rispetto a quello che cogliamo nel cammino di Chiesa che stiamo vivendo”. Dall’ascolto fatto in questo ultimo anno, la diocesi individua quattro pilastri – che mons. Cevolotto, mantenendo la metafora “edilizia” della Cei, chiama, ancora una volta, “cantieri” –: il primo è dedicato all’eucaristia e alle celebrazioni, “sorgente e approdo della vita cristiana”, il secondo al colpevolmente dimenticato mondo degli adulti, il terzo alla formazione all’ascolto e il quarto all’iniziazione cristiana. “I cantieri che propongo – dice il Vescovo – sono frutto di ascolto comunitario. Siamo in presenza di un sensus fidei che il popolo di Dio custodisce e a cui tutti sono chiamati a far parte. I cantieri si avviano raccogliendo nuovi spunti in itinere. Ogni comunità pastorale sceglie uno o massimo due cantieri. Sono grandi progetti, non possiamo immaginare di avere una risposta immediata. È vero, ci sono delle emergenze, ma se continuiamo sulla strada delle soluzioni a buon prezzo non otteniamo nulla”.

Il sinodo come completamento del concilio

“Fare sinodo vuol dire essere una Chiesa che impara a camminare insieme”. Don Paolo Cignatta, vicario per il coordinamento pastorale, ha illustrato il programma pastorale partendo da una frase del presidente della Cei, il card. Matteo Zuppi, secondo cui “il sinodo è il completamento del concilio Vaticano II”. “La cinghia di trasmissione del movimento sinodale – spiega don Cignatta – sono in prima persona i facilitatori del Cammino sinodale, fra cui i moderatori delle comunità pastorali e i laici rappresentanti, e i sacerdoti, chiamati a camminare insieme cambiando orizzonti, prospettive, punti di vista, sensibilità. Stiamo vivendo in prima persona un momento importante, particolare, che il Signore ci sta donando per riflettere sulla necessità dell’ascolto. Ascoltare gli Altri, noi stessi, il nostro tempo, il Signore e la sua Parola”.

Il programma pastorale

“L’obiettivo dei processi partecipativi – prosegue don Cignatta – non è l’organizzazione ecclesiale, bensì il sogno missionario di arrivare a tutti. Il primo passo è il riavvio delle prassi, cioè andare a riattivare questo sogno per capire quali passi fare. Nell’ultimo anno abbiamo fatto fatica ad abitare certi mondi: andremo quindi a riattivare degli ascolti nei mondi che abbiamo lasciato un po’ da parte. Gli ascolti fatti, scelti insieme da équipe sinodali, li portiamo ora su base diocesana”. Il cantiere della strada e del villaggio prevede otto incontri: il 29 novembre con le forze dell’ordine e le forze armate, il 16 dicembre con gli amministratori pubblici, il 13 gennaio con il mondo della cultura, il 10 febbraio con gli operatori sanitari, il 23 febbraio con il clero, il 10 marzo con gli obiettori di coscienza, il 24 marzo con il mondo della scuola e il 12 aprile con il mondo dell’arte. “Le comunità che si configurano come il caso di Betania – dice don Cignatta commentando il secondo cantiere – sono ancora capaci di attrarre. Ogni comunità pastorale si riunirà per un «incontro zero»: scopriamo che le comunità sono popolate da bambini e anziani, ma sono scoperte nella fascia di mezzo, quella degli adulti. Il terzo cantiere ci porta a chiederci quale sia la radice spirituale che dà forza al servizio che facciamo. Un gruppo di esperti del Centro Studi Missione Emmaus aiuteranno gli uffici pastorali diocesani a ripensare i servizi sul territorio”.

Francesco Petronzio

Pubblicato il 16 ottobre 2022

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