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Trent’anni di AVO: l'ammalato non può essere lasciato solo

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“Aiutare qualcun altro nelle difficoltà è il punto preciso in cui la civiltà inizia".  In un reparto di oncologia, psichiatria o cardiologia le difficoltà sono tante: dove finisce la malattia inizia la solitudine, il senso di vuoto e la fiammella della speranza pian piano si affievolisce. Da più di quarant’anni AVO, Associazione Volontari Ospedalieri, offre un supporto prezioso agli ammalati. Citando l’antropologa Margaret Mead, il volontario Dario Sdraiati riassume in un libretto i trent’anni di storia di AVO Piacenza, festeggiati questo sabato al Park Hotel.

Il volontariato di AVO

“Il nostro servizio si svolge in corsia, fra i reparti di Piacenza, Bobbio e Castel San Giovanni. Con la pandemia da Covid-19 non è possibile per noi accedere a ospedali, cliniche e RSA, ma non ci siamo fermati: insieme a GAPS (Gruppo Assistenza Pronto Soccorso) abbiamo consegnato farmaci percorrendo più di diecimila km, abbiamo attivato il servizio di ascolto telefonico e supportato i disabili in videochiamata. Non vediamo l’ora di tornare di persona fra di loro". – afferma Anna Boccellari, presidente AVO Piacenza. A livello nazionale non c’è stata differenza: “Impossibilitati a entrare nelle strutture, ci limitiamo ai centri vaccinali e alla distribuzione dei farmaci. Molti volontari, specialmente anziani, smettono per paura della pandemia. È necessario un ricambio generazionale, anche se i giovani disponibili sono molto pochi”, spiega Massimo Silumbra, presidente Federavo.

AVO Piacenza nasce in ambiente cattolico

“Mentre a livello nazionale è nata in ambiente ospedaliero, dall’idea di Erminio Longhini, la storia di AVO Piacenza nasce in un ambiente ecclesiale: dopo che il Concilio Vaticano II istituì il diaconato permanente, il vescovo Mazza volle che i nuovi ordinati si impegnassero in opere per la società civile. E così, nel 1990, il primo presidente piacentino di AVO fu il diacono Nello Ziliani". – racconta Dario Sdraiati, volontario dal 2011.

I volontari sono un valore aggiunto

Cosa dà AVO in più rispetto al lavoro di medici, infermieri e OSS?
“I volontari in corsia hanno un grande ruolo. I malati hanno bisogno di qualcuno con cui parlare, che li sostenga nella loro sofferenza. Il volontario aiuta anche noi a fare un’autocritica". – così il prof. Luigi Cavanna, direttore del Dipartimento di Oncoematologia dell’AUSL di Piacenza. “Il volontario ospedaliero fa ciò che il medico o l’infermiere sono impossibilitati a fare”, spiega il vescovo Adriano Cevolotto.

Il valore della reciprocità

“L’ammalato non deve essere solo. Con una manifestazione d’amore, qualunque essa sia, si realizza l’idea di arrivare a un momento di reciprocità. Abbiamo fabbricato un nuovo tipo di cittadini.” Sono le parole del fondatore di AVO, Erminio Longhini, venuto a mancare nel 2016; parole che ancor oggi per i suoi successori sono un punto fisso su cui basare la propria attività.

Riconoscersi con un sorriso

Il volontariato è necessario a chi lo riceve, ma allo stesso tempo fa star bene chi lo pratica. Madre Teresa di Calcutta diceva che “un sorriso per noi dura pochi secondi, ma per chi lo riceve può durare anche per sempre”.
Itala Orlando, direttrice Associazione “La Ricerca”, ricorda che le relazioni nascono dal sorriso: “il sorriso serve a riconoscere l’altro. I bambini, quando sorridono, ci riconoscono e stanno bene con noi”. Così, quando gli ammalati sorridono ai volontari di AVO, la loro sofferenza è un po’ alleviata. Perché, come ricorda Silumbra, “è curando le persone che si sconfiggono le malattie”.

Francesco Petronzio

Pubblicato il 7 dicembre 2021

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