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Pandemia: «conta molto il rapporto con le persone»

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“Quello che ci ha insegnato il Covid19 è che, più dei farmaci, conta molto il rapporto con le persone”. È questo il centro dell’intervento del dott. Augusto Pagani, medico già presidente OMCeO di Piacenza che ha partecipato, il 16 aprile, all’incontro dialogato “La salute oltre la pandemia”, in diretta streaming, sul canale Youtube piacenzadiocesi.tv.

L’evento, organizzato dall’Ufficio Pastorale Scolastica della Diocesi di Piacenza-Bobbio è stato coordinato dal dott. Giovanni Mistraletti, anestesista-rianimatore c/0 Ospedale San Paolo di Milano, e ha visto la partecipazione di Mons. Massimo Angelelli, collegato da Roma, direttore dell’Ufficio Nazionale Pastorale Salute della Cei, di Francesca Loccardi, infermiera dell’Ospedale di Piacenza, Elena Rossetti, già malata Covid e del dott. Florenzo Moccia, medico specializzando.

NON LA DISPERAZIONE

“Mi sono ammalata, contemporaneamente a mio marito, il 14 marzo 2020, nella prima ondata del Covid”. È la testimonianza di Elena Rossetti che ha dato inizio all’incontro. “Eravamo soli, - ha aggiunto - per l’isolamento. Ho vissuto uno stato di angoscia rassegnata, ma non di disperazione. Aspettavo il cessare dei giorni e la febbre non diminuiva. Mi ha aiutato la voce del medico che comunque sempre c’era”. Rossetti e il marito sono stati anche ricoverati in Ospedale, ma fortunatamente i parametri erano nella norma e sono ritornati a casa. “A volte mi mancava il respiro, ma non sono caduta nello sconforto, il mio nipotino, che mi guardava sereno, mi ha dato molta forza…”.

L’UMANITÀ NEI RAPPORTI

“Abbiamo dovuto affrontare una malattia che non conoscevano; - ha sottolineato il dott. Pagani -all’inizio non avevamo mezzi, non sapevamo come affrontare la situazione. Purtroppo, non avendo gli strumenti sufficienti, c’è stata una strage di medici e infermieri che hanno pagato a caro prezzo l’inizio della pandemia. Ci siamo resi conto della consapevolezza di poter fare di più, mettendoci in gioco in modo diverso. Oltre alla assistenza medica dei pazienti abbiamo inventato un modo di comunicare con i familiari a distanza, attraverso messaggi e video chiamate per non fare sentire gli ammalati soli, indifesi, vulnerabili e fragili. Tutto ciò ci ha fatto riscoprire, come medici, l’importanza dell’umanità nel rapporto col degente”.

LA DIMENSIONE RELAZIONALE

“Con la pandemia è cambiato tutto anche nella pastorale della salute - ha evidenziato Mons. Angelelli”. Prima - secondo il sacerdote - la malattia riguardava un numero ridotto di persone e la salute era considerata un bene comune. “Abbiamo dovuto rivedere in nostri atteggiamenti, - ha continuato - prendere atto che c’è una interdipendenza nei comportamenti sociali. Devo difendermi dal contagio e, nello stesso tempo, difendere gli altri”.

Il mondo ospedaliero, per don Angelelli, non era pronto a questa situazione e la prima risposta difensiva è stata quella di mandare tutti fuori dalle strutture. “Abbiamo considerato le relazioni come superflue e la prima reazione è stata solo farmacologica, lasciando i malati da soli, anche i medici stessi isolati”.

“Nella pastorale della salute - ha aggiunto - deve nascere un diverso modo di pensare. Bisogna affermare con forza che la dimensione relazionale è una componente fondamentale nel sistema di cura ed escludendola si aggrava la situazione, mettendo il malato in una solitudine senza il conforto dei familiari”.

TI SIAMO VICINE

“La pandemia ci ha fatto sentire la vicinanza della morte, la nostra fragilità e finitudine - ha affermato il dott. Mistraletti. Proprio ieri - ha continuato - ho parlato con le figlie di un padre 73enne, morente in terapia intensiva. Mi hanno chiesto di vederlo, manifestando il bisogno di dire qualcosa al padre, intubato, sedato, a pancia in giù, con scambi respiratori al limite e in peggioramento. Abbiamo fatto una video chiamata e, con l’infermiere, abbiamo presentato alle figlie la struttura medica, il monitor, il ventilatore, i farmaci assegnati. Le figlie hanno detto al padre - si commuove-: “Ti vogliamo bene, ti siamo vicine, non ti preoccupare se non ce la fai…”. È stato un momento molto toccante per Mistraletti che ha riconosciuto l’importanza della vicinanza dei familiari. “Si tratta di un lasso di tempo molto intenso - ha sottolineato - che siamo stati contenti di fare e, anche se emotivamente pesante, è in un certo modo liberante. La vicinanza ai pazienti critici è qualcosa di straziante, l’aspetto forse più difficile anche delle cure”.

FARE DA FAMILIARI AI DEGENTI

“In questo anno e mezzo, ho riscoperto, la mia missione di infermiera, in chiave di umanizzazione - ha affermato Francesca Loccardi. Ho visto come il rapporto diretto può fare da ponte da chi è dentro e chi è fuori. Nel nostro lavoro sanitario abbiamo fatto un po’ da familiari con gesti concreti come quello di aiutare a disfare la valigia, caricare il telefono, soprattutto agli anziani, azioni che avevo dimenticato. Mi sono resa conto dell’importanza di trattare le persone non come cartelle cliniche. Vorrei che in futuro, dopo la pandemia, non vada perso tutto ciò”.

UNA LEZIONE PREZIOSA

“Ho iniziato a fare il medico da 10 mesi ed è stata un’esperienza di forte impatto emotivo”. Sono le parole del dott. Florenzo Moccia. “Ho svolto il servizio di andare nelle case degli ammalti Covid. Eravamo in due dottori e questo mi ha aiutato a condividere ansie, paure e fatiche. I pazienti chiedevano subito cosa sarebbe successo, come la malattia potesse procedere e noi non sapevamo dare disposta. Quando la medicina non può arrivare a soluzioni immediate è importante - per Moccia - la vicinanza. “A volte capitava che ci sedessimo a casa delle persone, sulle loro sedie, vicino a loro, sapevamo di togliere tempo ad altri pazienti che ci stavano aspettando, però se non avessimo fatto ciò mancava un elemento di cura fondamentale. È questa la lezione che, tutti noi operatori sanitari, ci dobbiamo portare dentro, è troppo preziosa per essere dimenticata”.

Riccardo Tonna

Pubblicato il 19 aprile 2021

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