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Lesbo, le Scalabriniane hanno portato la gioia nei bambini

lesbo, campo profughi

"Dieci giorni immerse nell'umanità devastata, per ridare speranza nello spirito del nostro fondatore, il Beato Scalabrini, che abbiamo visto sul volto di quei bambini, di quelle donne e di quegli uomini offesi nella loro dignità. Noi abbiamo svolto un compito arduo tra gli ultimiche terra più non hanno, certe che la nostra presenza sia servita a ridare fiducia. Abbiamo contribuito ad accendere i sorrisi sui volti offesi dal sole cocente, dal vento di quell'isola dove sono confinati in pochi metri, offesi dalla malvagità".
Raccontano il turbinio di sentimenti sconvolgenti suor Rosa Maria Zanchin, suor Clarice Barp, suor Erica Ortiz, suor Leticia, suor Marlene, Monica e Laura, le missionarie scalabriniane che sono state al servizio dei profughi, dei rifugiati di Moria, uno dei campi di confinamento della Gracia. Sono i figli "prediletti" di Gesù, ma scomodi derelitti per coloro che disegnano e ridisegnano forsennatamente la geografia planetaria.

Speranza nel campo profughi di Lesbo
Lesbo, isola nel cuore della Specchio Mediterraneo chiamato Egeo, terra arida dove solo gli ulivi sanno strappare gocce di vita all'arsura, è tristemente nota per essere il campo profughi più grande d'Europa, divorato dalle fiamme qualche settimana fa è stato ricostruito. Si fa presto a piazzare qualche migliaia di tende e rinchiudervi oltre 15mila esseri umani di ogni età provenienti dal Medio Oriente, dall'Asia e dall'Africa. E' una marea di bianche tende che abbagliano gli occhi, sotto vi trascorrono le vite, si sentono vagiti e si compiono anche violenze. "Siamo grate alla Comunità di Sant'Egidio che ci ha permesso di svolgere il carisma del nostro fondatore, cioè di andare oltre il mare a confortare i fratelli e le sorelle" ha detto suor Neusa Fatima, la madre generale, alle consorelle arrivate da oltre Oceano Atlantico per servire l'Europa degli ultimi. Si sono immerse nel mare di tende fluttuanti accanto al mare blu diventato la barriera alla libertà. Si sono calate tra i vagiti, i pianti, le ostilità razziali ed hanno cercato di ristorare i cuori e anche le pance di quelle vite sofferenti.

lesbo campo profughi scalabriniane

Nelle foto: sopra, da  sinistra suor Anna Rosa e suor Clarice preparano il pranzo per i profughi; in alto, da sinistra suor Anna Rosa, suor Erica e suor Clarice al cimitero dei barconi.


"Hanno compiuto il viaggio a ritroso dei nonni, delle bisnonne per donare conforto, speranza e dimostrare che le sofferenze un giorno avranno termine, che metteranno i piedi sulla terra promessa", recita suor Milva Caro, superiora della Provincia d'Europa, dal convento di Piacenza. Ogni mattina le religiose hanno fatto sgorgare la gioia dai cuori dei bambini affinché imparassero a immaginare un mondo migliore, a credere nelle proprie forze. Ogni pomeriggio calmavano il languore che attanaglia gli stomaci vuoti. Un tempo per suggerire che il loro Dio non li aveva abbandonati, che una certa umanità si preoccupa del loro dolore, che il mare si può riattraversare in condizioni di bonaccia. Un tempo per elargire pane e amore, Moria non è il cimitero, il campo brucia, ma la vita risorge.

Maria Vittoria Gazzola

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Pubblicato il 14 ottobre 2020

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