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Oltre la barriera del nostro io

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"I segni messianici hanno accompagnato la vita di Gesù e hanno creato negli apostoli una falsa ambizione umana che si è infranta sulla Croce - , ha spiegato madre Maria Emmanuel Corradini, abbadessa del Monastero benedettino di San Raimondo, alla lectio mattutina del 28 aprile scorso -.
Davanti agli eventi di Gerusalemme, i discepoli hanno visto il fallimento del proprio IO e della propria aspirazione, oltre all’inutilità di un amore basato solo sull'evidenza e sulla superficialità.

E invece con la misericordia questo IO si è svuotato, si è sgretolato davanti alla croce e alla certezza dell'amore di Cristo.
Questo IO disgregato finalmente può essere ricostituito dalla misericordia di Dio".

"Quando Dio si siede sul nostro cuore in frantumi è il momento in cui inizia a ricostruire - ha spiegato madre Maria Emmanuel -, mette se stesso come pietra scartata e poi prende i pezzetti della nostra vita e la fa ripartire.
Tommaso vuole i segni della sconfitta per poter credere ai segni della misericordia.
È bello pensare che Gesù viene ogni giorno con infinita pazienza a mostrarsi così a noi, con le sue stimmate, con le sue piaghe, il segno dei chiodi e il costato aperto che non smettono di essere lampanti a tutti.
È solo nell'accettazione di questo oltrepassamento di Gesù attraverso la morte, che noi troviamo la vita".

"Gesù invita Tommaso a mettere la mano, a toccare, a entrare - ha proseguito l'Abbadessa -; quello che invece ci può accadere è di rimanere sempre fuori dall'esperienza cristiana di familiarità con Gesù e le sue ferite.
Se rimaniamo fuori però, noi non risorgiamo davvero dentro di noi. Se non entriamo nella piaga di Cristo, se non attraversiamo davvero la Croce e non ci sporchiamo con il suo sangue, noi non riconosciamo il suo amore.

Se non abbattiamo il nostro IO, la divina misericordia non ricostruisce nulla.
Oggi ci è chiesta proprio questa fede di Tommaso di prendere la mano e di toccare la ferita; di dire a noi stessi e al nostro cuore che Lui è il Signore. Solo così possiamo sostenere i nostri giorni senza banalità e senza falsi vittimismi".

"Un detto chassidico diceva che il Mar Rosso non si è aperto quando Mosè ha battuto il bastone sulle acque, ma quando il primo ebreo ha messo il piede dentro. Ci vuole l'atto di fede.
Questo entrare con la mano nel costato aperto di Cristo fa sì che la nostra fede passi dall'essere funzionale ad altri scopi, all'essere personale.
Senza questo passaggio non si cammina nella vita spirituale, ma si vive solo una religiosità di facciata che non fa risorgere mai veramente dentro al cuore.

Il che non vuol dire non cadere più, non essere tentati, non sperimentare ancora il peccato, ma vuol dire sapere dove andare, dove guardare, dove tendere la mano.
Gesù in presenza dei suoi discepoli portò molti altri segni che sono stati scritti perché voi crediate che Gesù è il Cristo, il figlio di Dio e perché credendo abbiate la vita nel suo nome.
È il suo nome che ci dà la vita.

“Mio Dio, mio Signore tu sei sopra le cose”, anteponendo così il suo amore a tutto, abbiamo la vita.

"Quando siamo in difficoltà mettiamoci davanti al crocifisso e aspettiamo da lui un segno - ha esortato madre Maria Emmanuel -.
Tocchiamo anche noi con le nostre mani il volto di Cristo e ricevere il suo corpo con l'Eucarestia è proprio entrare fisicamente dentro questo suo corpo.

Ci viene chiesto oggi, come a Tommaso, l'atto di fede «metti qui le tue mani e la tua vita e sii credente!»".

Estratto dalla Lectio mattutina di madre Maria Emmanuel Corradini,
abbadessa del Monastero benedettino di San Raimondo
del 28 aprile 2019, Gv 20,19-31

a cura di
Gaia Leonardi


Pubblicato il 10 agosto 2019

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