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Madre Anna Maria Cànopi alla Casa del Padre

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È morta madre Anna Maria Cànopi, fondatrice del monastero di San Giulio, sul lago d’Orta.

"Nella luminosa festa del Transito del nostro Santo Padre Benedetto - scrivono in un comunicato la Madre Abbadessa e la Comunità monastica dell'Isola di San Giulio - il Signore ha chiamato a Sé la sua serva buona e fedele e nostra Madre Fondatrice M. Anna Maria Cànopi osb di 87 anni di età, 56 di professione monastica e 45 di abbaziato".
"Umilmente amando - prosegue il comunicato - ha totalmente donato se stessa al Signore, cantando le sue lodi in Coro e maternamente prodigandosi per la Comunità monastica e per quanti hanno bussato alla porta del suo cuore in cerca di luce e di conforto. Il Signore l’accolga nella sua pace e nella sua gioia. Ringraziamo tutti coloro che si uniranno alla nostra preghiera di suffragio".

Madre Anna Maria Cànopi era nata il 24 aprile 1931 a Costalta di Pecorara, quinta di otto figli di una famiglia contadina.
Quand’era ancora una bambina sui 7-8 anni si è dovuta trasferire nel Pavese per seguire il papà che lavorava nelle risaie.
Era entrata in monastero a Viboldone dopo la laurea in Materie letterarie all’Università Cattolica di Milano e, dopo 15 anni, nel 1973 con cinque consorelle, su invito dell’allora vescovo di Novara Aldo Del Monte, si era trasferita nell’ex seminario dell’isola di San Giulio sul lago d’Orta, per dar vita al monastero “Mater Ecclesiae”.

L’isola era disabitata dal 1947. La presenza di quel piccolo gruppo di donne dedite alla preghiera fece rinascere il luogo da cui il sacerdote greco Giulio nel quarto secolo aveva cacciato serpenti e draghi per renderlo il fulcro della evangelizzazione delle zone circostanti.
Era il fascino delle origini del cristianesimo che Madre Cànopi amava di più di quest’isola, nella quale - diceva - si era sentita subito al posto giusto, “con i piedi piantati come radici nella terra”. E ciò a dispetto della vegetazione selvaggia, dell’edificio da ristrutturare, della mancanza di riscaldamento, di acqua potabile e di altri servizi. “Sono stati anni duri, ma che ricordiamo con gioia, perché ci siamo fondate nello spirito monastico, arrivando in un deserto e affidandoci in tutto a Dio”.

Dalle sei pioniere la famiglia del “Mater Ecclesiae” è arrivata a un centinaio tra monache e novizie. Circa 70 vivono nell’isola, le altre nelle due fondazioni nate, nel 2002 e 2009, su richiesta dei vescovi diocesani a Saint-Oyen in Val d’Aosta e a Fossano, nel Cuneese; in spirito di fraternità, alcune monache sono state inviate a sostegno di comunità che rischiavano di scomparire per mancanza di vocazioni, come San Raimondo a Piacenza - da sette anni guidato da Madre Maria Emmanuel - e Sant’Antonio a Ferrara.

Madre Cànopi ha ricevuto nel 2015 l'Antonino d'oro dalle mani del vescovo mons. Gianni Ambrosio e per quell'occasione era stata intervistata da Barbara Sartori.

— Madre Cànopi, da quanti anni è in monastero?
Cinquantadue.

— Qualcuno direbbe: ma che vita è questa?
Io rendo grazie a Dio sempre, perché mi ha guardata, mi ha scelta, e mi ha dato una preziosa eredità.
Già sento questa vita, dedicata a Lui nella preghiera per tutti, come un premio. È un grande onore servire Dio così.

— Che valore ha il tempo per una monaca?
Il tempo non ci appartiene, perché noi apparteniamo al Signore e tutta la nostra giornata è al suo servizio.
Non diciamo: sono le 5, le 7, le 9... ma è l’ora del Mattutino (alle 4.50, ndr), delle Lodi, di Ora Terza e così via fino a Compieta, prima di andare a coricarci.
Pregando, si vive al di là del tempo, perché si sta alla presenza di Dio.

— “Fuori” sembra sempre che il tempo ci sfugga di mano. Come possiamo recuperarne il valore?
Prendendo coscienza che siamo nel tempo, ma per l’eternità.
La presenza di Dio in noi già ci riscatta dal tempo che fugge.

— Arrivando con il battello ammiravo quest’isola, che è diventata la sua casa. Cosa ama di più?
È un posto sacro, ricco di evocazioni. Ma più di tutto amo la basilica, nata sopra la chiesa paleocristiana voluta da San Giulio. Quando vi arrivò, disse: ecco la porta del cielo.
Da qui è iniziata l’evangelizzazione della riviera.
Oggi la storia continua. Ci sono tante persone che arrivano, tanti gruppi. Da quest’isola nella preghiera abbracciamo il mondo.

— Cosa vengono a cercare le persone che bussano alla vostra porta?
Chiedono una parola di luce. Vengono a cercare consolazione.
Hanno il cuore gonfio da qualcosa che le opprime.

— Lei incontra tanta sofferenza.
Tanta e di tanti generi - annuisce Madre Cànopi, con la sua voce pacata, che pesa le parole e non ha bisogno di alzare i toni per farsi ascoltare -.
Vengono persone tribolate, che si sentono respinte dal mondo ma hanno la speranza di trovare qui accoglienza, comprensione. “Anche noi siamo persone”, ci dicono.

Vengono anche tante coppie che non possono avere bambini. Io consiglio sempre di pregare davanti alla Madonna e di affidarle il loro desiderio, con l’impegno a crescere i figli da cristiani; spesso tornano con un bimbo in braccio, accolto come un dono.
Ma incontro anche coppie in crisi. Cerco di far vedere loro che l’amore vero non può essere solo godimento e gratificazione. Amare vuol dire sacrificarsi l’uno per l’altro.

— Il suo libro di memorie ha per titolo “Confesso che ho amato”. L’ha scelto lei?
In verità io avevo proposto “Una vita per amare”. L’amore è tutto quello che ho da donare. Solo l’amore salva.

Madre Cànopi prende tra le mani un suo libro di poesie, l’ultimo in ordine di pubblicazione insieme ai numerosi testi di meditazione e commento della Parola di Dio che fanno parte del suo ministero di consolazione.
In copertina c’è una poesia intitolata “L’albero”. Parla di un albero festoso e delle sue stagioni, della chioma rigogliosa “sulle colline in festa di vento” - “vede, le colline ci sono sempre, sono il mio amore, come soffrivo a Viboldone nella piatta pianura!” - ma anche dell’inverno, quando, ormai, spoglio, con i nidi rimasti vuoti, “scoprirà l’amore della sua vita”, ovvero - legge Madre Cànopi - “il dono del Suo restare povero, solo, in grande silenzio”.
Posa gli occhiali sul tavolino. Ci guarda coi suoi occhi azzurri, sereni, percorsi da guizzi birichini da bambina nei passaggi in cui i ricordi si fanno personali, e le parole han bisogno di essere sottolineate.
“Donarsi fino a dare tutto: questo è il significato della vita - ci spiega -. Quando l’albero resta spoglio, lì c’è la vera ricchezza, perché manifesta l’amore pieno”.

— Come ci si prepara ad accogliere persone che portano ferite profonde e a comunicare l’amore?
Con la vita che facciamo: pregando, la Parola di Dio ci alimenta. E con l’accoglienza fraterna proposta nella semplicità.
Abbiamo una foresteria per gli ospiti, diamo la possibilità di restare alcuni giorni e condividere con noi la giornata da Mattutino a Compieta.
Una comunità che vive nella comunione e nella preghiera è un luogo di pace, di misericordia.
Recuperano valori che il mondo ha sotterrato.
La sensazione è che la gente ha fame. Non se la spiegano, ma è fame di Dio.
La pace del cuore è il grande bisogno dell’uomo di oggi.

— E San Benedetto, com’è entrato nella sua vita?
Ne sentivo parlare a scuola e mi piaceva.
“San Benedetto, la rondine sotto il tetto” - ride Madre Cànopi -. Quando ho conosciuto Viboldone mi sono sentita attratta da quella vita. C’erano dei giovani durante l’Università che mi giravano attorno, nasceva un’amicizia ma se si proponevano io dicevo: “Non posso”. Non si spiegavano il perché di quelle parole. Che volevano dire?
Quando sono entrata in monastero hanno capito: «ah, aveva già Uno con cui non si poteva competere!».

— Chi l’ha aiutata a fare chiarezza sulla vocazione al chiostro?
Fin da bambina c’era in me un seme: Dio veniva prima di tutto.
Verso i vent’anni la mia madrina, che era insegnante, intuì cosa stavo attraversando e mi accompagnò a Tortona da un sacerdote, don Aldo del Monte, che era l’assistente diocesano dell’Azione Cattolica.
Io allora avevo una simpatia per un giovane che non era buono e volevo farlo diventare buono! Quando glielo raccontai, mi disse: «guarda che tu non vuoi bene a quel giovane, vuoi bene a Gesù, per questo vuoi che lui Lo incontri!».
Poco alla volta ho preso coscienza che un amore umano non mi sarebbe bastato, perché davvero tutto quello che facevo lo facevo per Gesù.
Don Aldo divenne poi vescovo a Novara e fu lui a rivolgersi alla Abbadessa di Viboldone per chiederle una presenza monastica nell’isola.

— La vocazione religiosa, come tutte le vocazioni, non è statica. Cosa la aiuta ad alimentare il suo “sì?
L’amore che Dio mette in me. Arrivano vocazioni, persone che hanno bisogno di aiuto. Devo accompagnarle.
Se una donna deve allattare dei figli deve avere il latte e il Signore - sorride Madre Cànopi con uno dei suoi guizzi nello sguardo - mi dà un po’ di latte spirituale.

— Per una donna la dimensione della maternità è costitutiva.
Da piccola dicevo sempre a mia mamma: quando sarò grande comprerò - perché allora si diceva così - venti figli.
Il giorno che le ho comunicato che entravo in monastero, mi disse: “e con quei 20 figli, come la mettiamo?”.
E io: “Il Signore me li darà in un altro modo.
Poi feci un sogno: ero su un parapetto e vedevo una distesa di testoline di bambini, sentivo che erano affidati a me.
Sono monaca, ma non ho rinunciato alla maternità. Una donna, ovunque viva, è chiamata a portare il dono dell’amore, dunque il dono della maternità.
Se non è madre, non è neanche donna.

— Lo sa vero che molti le contesterebbero questa affermazione?
Ah, io - altro sorriso e altro guizzo negli occhi - mi lascerei contestare.

Pubblicato il 21 marzo 2019

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