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«Il Pnrr non risolve i veri problemi della scuola»

Imago Mundi 76311

Il Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr) destina 17,59 miliardi di euro all’Istruzione e alla ricerca. L’obiettivo è dare alla scuola l’occasione di poter svolgere davvero il proprio ruolo educativo strategico per la crescita del Paese. Quella che si vuole realizzare grazie al Pnrr è una scuola che forma cittadine e cittadini consapevoli, in grado di poter essere determinanti nei processi di transizione digitale ed ecologica dell’Italia di domani. È quanto si legge nelle intenzioni dei redattori del Piano.
La realtà, però, secondo alcuni dirigenti scolastici piacentini, è ben diversa dalle intenzioni. “Ben vengano i fondi per la digitalizzazione e le apparecchiature tecnologiche avanzate - la posizione di Simona Favari, dirigente scolastica del Polo Volta della val Tidone, che dal Pnrr riceve circa mezzo milione di euro - ma prima avremmo bisogno di risolvere gli annosi problemi che stanno alla base del sistema scolastico”.


favari sito“È una professione che i giovani non vogliono più svolgere”

“C’è una carenza di insegnanti di tutte le discipline. Se prima a mancare erano prevalentemente i docenti di materie scientifiche o molto specifiche come matematica, fisica, informatica, sistemi e meccanica - rileva Favari (nella foto a lato) - oggi mancano anche i professori di italiano, inglese e scienze. È una professione che evidentemente i giovani non vogliono svolgere, perché non garantisce alcuna certezza. Quella che dovrebbe essere una delle figure centrali, in quanto ha fra le mani il futuro di un intero Paese, ha perso prestigio: gli insegnanti sono spesso precari, sottopagati e non godono di considerazione sociale. Per questo motivo, le menti migliori non scelgono più di insegnare, preferendo altre strade”.

Ciò si ripercuote sulla qualità dell’insegnamento

“L’enorme problema della scuola italiana richiederebbe un cambiamento radicale del sistema - afferma la dirigente -: rivedere l’impianto ordinamentale, ripensare al sistema scolastico nel suo insieme e andare a vedere dove sono i nodi critici. A partire dal reclutamento degli insegnanti, che devono essere formati non solo a insegnare le discipline ma ad approcciarsi agli studenti in modo diverso. Nel contratto dei docenti la formazione non è neppure obbligatoria. C’è, invece, assoluta necessità che i consigli di classe lavorino in maniera coesa, condividendo le metodologie, mentre quello che si nota oggi è un approccio molto privatistico: ogni docente si preoccupa di insegnare i contenuti della propria disciplina, coi propri metodi, e il resto del lavoro lo svolge in autonomia. Se poi gli insegnanti sono precari, questa difficoltà diventa insormontabile: come si può investire in un docente che resta solo per un mese?”.

E poi c’è la piaga della dispersione scolastica

“Non possiamo pensare di risolvere i problemi facendo dei corsi in orario curricolare se manteniamo l’impianto così com’è, ossia vecchio e rigido, con un sistema obsoleto. Se vogliamo veramente cambiare le opportunità per questi ragazzi - dice - non è con qualche ora in più di italiano, matematica e inglese che ci riusciamo. Bisognerebbe essere in grado di garantire tutti i giorni un insegnamento di qualità. Mi fa sorridere l’idea che qualcuno pensi che questo sia il modo per risolvere il problema”.


La macchina della scuola si è inceppata

“All’inizio dell’anno scolastico - denuncia la dirigente Favari - nella segreteria del Volta non c’era neanche un dipendente. Solo a fine ottobre è arrivata la Direttrice dei servizi generali e amministrativi (Dsga), una figura chiave per il funzionamento della macchina amministrativa di una scuola. È chiaro che questo tipo di finanziamento (il Pnrr, nda), seppur utile, non risolva i problemi accumulati negli anni. Siamo contenti di avere i fondi, ma vorrei avere i docenti su cui investire, che siano preparati e formati”. Una parte consistente di responsabilità è da imputare alle scelte governative. “Se abbiamo alti tassi di dispersione scolastica e il numero di laureati più basso d’Europa non è perché i nostri ragazzi siano meno intelligenti. È una questione di opportunità e investimenti su un sistema di Istruzione che ha bisogno di essere riformato dalle radici. La percentuale di Pil destinata all’Istruzione continua a calare, segno della scarsa considerazione che si ha del ruolo della scuola. Eppure, siccome si prevede un calo di 800mila studenti nei prossimi dieci anni a causa della denatalità, sarebbe bastato semplicemente mantenere ferme le risorse: così si sarebbe potuto dedicare più attenzione agli studenti che restano, magari creando classi meno affollate. Tutti i governi, negli ultimi decenni, hanno tagliato sull’Istruzione: quindi, purtroppo, non vedo molte prospettive di miglioramento nell’immediato futuro. E a pagarla è l’intero Paese”.

Anche l’edilizia lascia a desiderare

I fondi per l’edilizia scolastica vengono assegnati agli enti locali, proprietari degli immobili, con vincoli stringenti di utilizzo. “Abbiamo scuole che cadono a pezzi, aule in cui piove all’interno, bagni rovinati. Ci lamentiamo sempre dei ragazzi, ma in che ambiente li facciamo stare? Che considerazione abbiamo di loro? Le scuole sono gli unici luoghi pubblici a non avere ambienti climatizzati - esemplifica Favari -. Il clima ormai è insostenibile, ma d’inverno non funziona il riscaldamento, e per l’estate non esiste neanche l’impianto di condizionamento. Svolgere un corso di recupero estivo, o anche gli esami di maturità, con 40 gradi e le zanzare che ronzano dappertutto è una sofferenza a cui si sottopongono studenti e docenti. Bisognerebbe capire che il benessere va di pari passo con l’imparare. Perché a scuola i nostri studenti devono stare in ambienti così? Perché lo accettiamo tutti?”.

Francesco Petronzio

Sull’edizione del 16 marzo 2023, tutti gli interventi finanziati dal Pnrr al Polo Volta
e le interviste alle dirigenti Elena Camminati dell’IC “Gandhi” di Rottofreno
e Monica Ferri dell’Istituto Colombini di Piacenza.

Pubblicato il 16 marzo 2023

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