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Noi, Dio e la corporeità

donata horak


“Coltiviamo ancora la tentazione di essere una Chiesa società perfetta, un corpo puro in un mondo impuro. Invece abbiamo scoperto che siamo tutti nella stessa barca”. È una delle suggestioni che ha sviscerato la teologa Donata Horak, nell’incontro di spiritualità dell’Azione Cattolica di Piacenza del 12 giugno, al Seminario di via Scalabrini a Piacenza. Il meeting, il primo in presenza dopo tanto tempo, aveva come tema “Un corpo mi hai preparato”, parole tratte dalla Lettera agli Ebrei.

Al modo di Melkisedek

“La Lettera agli Ebrei sottolinea che il corpo - ha affermato la teologa - deve essere offerto al posto dei sacrifici e degli olocausti tipici del mondo religioso levitico che aveva il suo cuore nel tempio di Gerusalemme”.
L’autore della Lettera, che scrive in modo raffinato, colto e probabilmente faceva parte del circolo degli ebrei di Alessandria d’Egitto, si rivolge ai giudeo cristiani che avevano nostalgia del passato e volevano recuperare l’esperienza religiosa del tempio.
“Il sacerdozio di Cristo - ha sottolineato Horak - è superiore e nuovo rispetto a quello antico, incentrato sui sacrifici per tenere lontano il male con il sangue dell’agnello, per espiare i peccati con il capro, caricato di tutte le negatività e lanciato da un dirupo”.
Il culto del tempio era officiato dai sacerdoti di Levi, tutti della stessa discendenza, ma il sacerdozio di Cristo è completamente diverso da quello di Aronne, è al modo di Melchisedek: una figura misteriosa e straordinaria, citata dal libro della Genesi al cap.14, Re di Salem (Gerusalemme) e sacerdote dell'Altissimo. “Melchisedek - ha precisato la relatrice - non appartiene a nessuna tribù e Abramo riceve da lui la benedizione. Egli fa la sua offerta di pane e vino una sola volta, ed è un tipo di culto su cui si innesta il sacerdozio di Cristo”.


La nostalgia del passato

“Anche noi come gli ebrei, di cui tratta la Lettera - ha messo in evidenza la teologa - abbiamo nostalgia di un tempo passato della cristianità, di una società religiosa chiusa, compatta con dei confini definiti, un corpo forte che non si lascia contaminare dall’esterno”. La riforma che è richiesta in questo momento storico - per Horak - è quella di non lasciarsi vincere dalla tentazione di ritornare ad un modello gerarchicamente ordinato. Lo Spirito ci aiuta ad aprirci al nuovo, assumendo gli atteggiamenti del sacerdozio al modo di Melchisedek.
“La nostra corporeità - ha precisato la relatrice - la riceviamo da Cristo, dal suo corpo e siamo anche noi innestati nel sacerdozio di Cristo. Il senso ultimo è che un giorno saremo anche noi in Cristo e dobbiamo superare ogni visione intimistica del corpo”.

Uscire da se stessi

La riflessione della teologa si è poi incentrata, alla luce dell’enciclica “Fratelli Tutti” di papa Francesco, sull’importanza di essere un unico corpo dove ci si prende cura gli uni degli altri, uscendo dall’idea corporativistica in cui salvaguardare solo se stessi e i propri intimi:
“Siamo fatti per l’amore e c’è in ognuno di noi «una specie di legge di ‘estasi’: uscire da se stessi per trovare negli altri un accrescimento di essere» (Karol Wojtyła). Perciò in ogni caso l’uomo deve pure decidersi una volta ad uscire d’un balzo da se stesso” (n.88). “Non posso quindi - ha puntualizzato Horak - ridurre la vita solo al mio entourage, c’è bisogno di un tessuto più ampio di relazioni”.
Continua il Papa: “
I gruppi chiusi e le coppie autoreferenziali, che si costituiscono come un «noi» contrapposto al mondo intero, di solito sono forme idealizzate di egoismo e di mera autoprotezione” (n. 89).
Infine non dobbiamo dimenticare l’accoglienza. come ci ricorda Francesco: “Non è un caso che molte piccole popolazioni sopravvissute in zone desertiche abbiano sviluppato una generosa capacità di accoglienza nei confronti dei pellegrini di passaggio, dando così un segno esemplare del sacro dovere dell’
ospitalità” (n. 90).

Riccardo Tonna

Pubblicato il 16 giugno 2021

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