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Dalla fabbrica di scarpe alla missione

La testimonianza di Maria Pia Dal Zovo, laica missionaria comboniana

DalZovoSamaritano

Con esperienza missionaria diretta in America Latina, precisamente tra le popolazioni indigene delle Ande Equatoriali, Maria Pia Dal Zovo è stata presente a Piacenza al Centro il Samaritano il 18 maggio per incontrare i gruppi missionari della diocesi.
Ora sta lavorando in diocesi di Verona dove, da alcuni anni, sta collaborando con il Centro missionario e la Famiglia Comboniana per attività con i giovani.
È sempre in contato con la città di Riobamba in Ecuador, dove ha vissuto l’esperienza missionaria, per realizzare dei progetti con le comunità indigene più emarginate e svantaggiate che non hanno accesso all’educazione.

— Maria Pia cosa faceva prima di essere missionaria?
Lavoravo in fabbrica, ero operaia in una fabbrica di scarpe.

Sono cresciuta a Verona in un contesto molto legato alla missione e partecipavo alle attività giovanili dei gruppi comboniani. È quindi scattata in me la dimensione vocazionale che mi ha portato a donare la vita.
La scelta di un istituto secolare per me è stata importante per condividere totalmente la vita quotidiana delle persone e far emergere nel mio servizio il lievito del Vangelo.

— La “Missio ad gentes”, l’annuncio del Vangelo anche a chi non crede, ha ancora senso oggi in un mondo sempre più interdipendente e globalizzato?
La Chiesa da sempre ha avuto questa dimensione della partenza, di andare. Oggi è il momento di chiedersi dove sono i lontani che possono essere anche vicini a noi.
Però la dimensione di andare lontano, di uscire non è solo un’uscita geografica è un venire fuori da se stessi, dal nostro piccolo mondo: significa andare oltre e avere una visione globale.

— Qual è il carisma comboniano?
San Daniele Comboni diceva che bisogna salvare l’Africa con l’Africa. Vuol dire far sì che gli africani stessi siano gli artefici del loro futuro, quindi non solo evangelizzazione, ma anche promozione umana.
È necessario superare, sempre secondo il pensiero comboniano, la dimensione eurocentrica. Infatti, è sempre partito tutto dall’Europa: aiuti, vocazioni...
Oggi invece anche l’Europa è diventata terra di missione.

— C’è un’esperienza che ha segnato la sua vita?
Tante cose ho imparato e mi hanno riempito il cuore, ma non dimenticherò mai un’anziana religiosa ottantenne che lavorava con gli indigeni delle Ande Equatoriali in una vita tutta dedicata gli ultimi. Mi raccontava come aveva cambiato il suo stile missionario.
Aveva cominciato insegnando la dottrina, nella lingua locale, con le domande del Catechismo di Pio X, facendo leva anche sulla paura dell’inferno e del castigo di Dio. Con il Concilio Vaticano II è venuta la fase della missione liberatrice che ha messo al centro la Parola di Dio.
Nel suo cammino personale ha capito che il Vangelo è liberante e riesce a far emergere tutte le potenzialità delle popolazioni indigene; questa persona di 80 anni ha avuto la capacità di cambiare, di leggere i segni dei tempi ed è un esempio anche per noi oggi.

La missione è sempre quella di annunciare il Vangelo ma bisogna tener conto della realtà di un mondo che cambia.
È questa la sfida a cui siamo chiamati come missionari e come operatori impegnati nei centri missionari delle diocesi.

Riccardo Tonna

Pubblicato il 21 maggio 2019

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