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Còccioli Mastroviti: dal Convegno su Geernaert nuove piste di ricerca

Ricerca umanistica e nuove tecnologie per il restauro: il caso “Jan Geernaert, scultore fiammingo tra Piacenza e Pontremoli”

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È stata una giornata di studi importante quella ideata e promossa dalla Diocesi di Piacenza-Bobbio e dalla Diocesi di Massa Carrara-Pontremoli, svoltasi lo scorso 15 marzo.
Ospiti al Palazzo Vescovile di Piacenza studiosi, ricercatori del CNR, conservatori di Musei, restauratori e funzionari della Soprintendenza Archeologia Belle Arti e Paesaggio per le province di Parma e Piacenza.

È motivo di grande soddisfazione ritornare sull’argomento dibattuto nel corso di questa importante giornata cui ha partecipato anche chi scrive, e i cui risultati saranno divulgati a breve, non solo in sede locale, nel volume degli Atti.
La concatenazione fra l’idea-progetto, la disponibilità dei mezzi che hanno consentito di avviare e proseguire la ricerca scientifica sui materiali delle sculture, la pubblicazione della cospicua documentazione storica che consente, oggi, di contestualizzare l’intensa attività di Jan Geernaert (1704-1777), raffinato scultore del tardo barocco attivo nello Stato Farnesiano e oltre, la diffusione dei risultati che si impongono come strumento a servizio della comunità scientifica nazionale, tutto ciò assume il carattere di un percorso virtuoso ed esemplare, perché concepito nella interrelazione delle competenze e dei saperi.
Non è cosa consueta infatti né usuale che tutte queste condizioni si verifichino.
Anche il tema, non solo Geernaert, ma la statuaria lignea e le statue vestite fra Sei e Settecento, è particolare, stante il fatto che solitamente si è abituati a pensare ad opere scolpite e dipinte destinate a una “vita eterna”, fatto salvo interventi di manutenzione e restauro.
La partecipazione al Convegno di studiosi provenienti da ambiti disciplinari diversi – e di cui Il Nuovo Giornale ha dato ampia notizia nell’edizione del 15 marzo - offre dunque nuovi dati inediti, apre nuove piste di ricerca.

Come funzionario della Soprintendenza, non posso che apprezzare, nel caso specifico, il comune denominatore sotteso al progetto che ha indirizzato verso un unico esercizio di ricerca una serie di competenze diverse, alcune delle quali – quelle a carattere più propriamente scientifico- non così frequentemente coinvolte nel dialogo e/o chiamate ad interagire con i colleghi del fronte umanistico.
Ci tengo tuttavia a sottolineare che questa compartimentazione fra le diverse discipline non ha più alcuna ragione di esistere, soprattutto oggi, con l’accumulo e il progredire delle conoscenze e a fronte di un atteggiamento di apertura, interesse, curiosità con il quale storici dell’arte e restauratori, tecnici dei materiali e architetti, botanici, agronomi, paesaggisti ecc. devono interloquire.
Voglio ricordare, a questo proposito, "In confindenza col sacro. Statue vestite al centro delle Alpi", la mostra e il ponderoso catalogo a cura di Francesca Bormetti (2011) che ha gettato nuova luce in questo specifico settore tanto diffuso entro un vasto ambito geografico, l’alta Lombardia, meglio la Valtellina e la Valchiavenna.
Rileggendo quel catalogo e ripensando anche a "Virgo gloriosa. Percorsi di conoscenza, restauro e tutela delle Madonne vestite" presentato a Ferrara restauro 2005 dalla allora Soprintendenza per il patrimonio storico artistico per le province di Parma e Piacenza, ci si avvede dell’importanza dei risultati specifici conseguiti nella conduzione della ricerca, e di un modello di correttezza metodologica nell’affrontare la conoscenza di un bene.
Per quanto attiene nello specifico alla riscoperta delle statue vestite, soprattutto a seguito di ritrovamenti effettuati in diverse regioni italiane, l’alta Lombardia era territorio del tutto inesplorato, ma di straordinaria ricchezza, soprattutto per l’ambito cronologico del Sei e Settecento, come lo erano i territori delle diocesi di Bergamo, Brescia, Pavia, Novara, che ancora oggi conservano numerose testimonianze di questo culto caratteristico nella pietà popolare.
L’estensione cronologica del fenomeno, nel quale la dimensione antropologica è strettamente legata a quella religiosa, fra il Cinque e il Settecento, con una maggiore concentrazione fra Sei e Settecento, ovvero in età moderna, ha riguardato sia il nord che il sud Italia: dal Veneto alla Liguria all’Emilia all’Abruzzo alla Toscana alla Puglia.

Dagli interventi di singoli relatori al Convegno di Piacenza ho inoltre particolarmente apprezzato quanto profondamente maturate siano state le esperienze e le competenze nella conduzione di ogni singola parte di ricerca.
Non riassumerò in questa sede gli argomenti, ma voglio ribadire che il loro assieme, straordinariamente convergente, si colloca in un ambito disciplinare forse ancora scarsamente frequentato.
Mi riferisco all’identificazione – aspetti formali e tecnologici - della lavorazione della specie legnosa utilizzata da Geernaert, alle indagini TAC su un gruppo di statue lignee fra Pontremoli e Piacenza, che hanno conseguito risultati davvero interessanti e inattesi. Così come sta diventando sempre più importante, nell’ambito delle architetture, l’analisi archeologica, ovvero la ricerca della costruzione.
Lo studio di un monumento storico potrà approdare a risultati rispondenti alle varie stratificazioni storiche solo se si sarà applicato il metodo induttivo di carattere archeologico, tale da far confluire (lo ricordava Giorgio Bonsanti, 2010) “esami scientifico-tecnici e ricerca storica in una convergenza correlata altamente interdisciplinare”.
Sussiste infatti una strettissima interconnessione fra lo studio e la conoscenza del monumento, la messa a punto delle misure per la sua conservazione e tutela, e la loro divulgazione.
Qualsiasi intervento volto alla conservazione, alla tutela e alla valorizzazione del nostro straordinario e ricchissimo patrimonio di arredi liturgici, necessita di una conoscenza sempre più completa e approfondita, di una progettualità che deve necessariamente coinvolgere più figure professionali nell’intreccio e nella interrelazione dei saperi.
Oggi disponiamo di strumenti di analisi non invasivi, di metodologie e strumenti informatici e multimediali tecnicamente molto avanzati che ci consentono di gestire la mole di dati acquisiti da questo approccio storico e scientifico.
Non è più sufficiente dunque conoscere solo gli aspetti storico artistici di un bene e /o le ragioni della committenza che ne hanno promosso la sua realizzazione.
Dobbiamo conoscere le tecniche costruttive e di realizzazione, i materiali impiegati (se legno, quale tipo di legno; se marmo quale tipo di marmo ecc.), lo stato di conservazione, gli aspetti statici, gli interventi pittorici, le patologie del degrado ecc., solo così si potranno impostare e progettare programmi conservativi compatibili per il mantenimento dell’identità del bene, per la sua tutela e valorizzazione.
La disponibilità economica non è sufficiente se non è sostanziata da cultura, senso civico e morale della qualità che orientino alla via opportuna.
Ma, per tornare a Geernaert e scultura lignea, ai problemi e agli ulteriori elementi conoscitivi emersi dalle singole relazioni, voglio ribadire l’importanza di questi studi che coinvolgono più figure professionali con competenze integrate, perché offrono elementi tecnici per una sempre più approfondita conoscenza di questo fenomeno culturale – nello specifico le statue lignee vestite – fermo restando il riconoscimento delle qualità artistiche e delle sculture e dei manufatti tessili, permettendoci così di passare dalla fede alla comprensione della storia e dell’arte senza percepire stacchi.
Anche questa espressione è, lo scriveva Hernst Hans Gombrich, “custode della nostra memoria”.

Anna Còccioli Mastroviti
Funzionario storico dell’Arte, responsabile area Educazione e Ricerca
Soprintendenza Archeologia Belle Arti e Paesaggio per le province di Parma e Piacenza

Pubblicato il 26 marzo 2019

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